Corte
di Cassazione Civile Sezione lavoro 16/5/2013 n. 11828
La
vestizione rientra nel normale orario di lavoro e deve quindi essere
retribuita se eseguita oltre l'orario.
(Omissis)
Svolgimento
del processo
1.-
Con ricorso al Giudice del lavoro di Milano A.M. C., + ALTRI OMESSI
tutti dipendenti
dell'Azienda
di Servizi alla persona (A.S.P.) "Golgi-Redaelli", in
servizio presso l'Istituto geriatrico
Redaelli
di (OMISSIS), esponevano che il tempo necessario ad indossare ed a
svestire la
obbligatoria
divisa di lavoro (non inferiore a 10 minuti per ciascuna operazione)
non era retribuito
ed
era a sostanziale carico dei lavoratori. Chiedevano, pertanto, che il
giudice dichiarasse che il
tempo
necessario per vestizione e svestizione della divisa fosse
considerato orario di lavoro e fosse
come
tale retribuito, con condanna del datore alla corresponsione delle
differenze dovute dal 1
gennaio
1995 al 30 novembre 2000.
2.-
Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione delle II.PP.A.B. ex
E.C.A. di Milano eccepiva il
difetto
di giurisdizione del giudice ordinario per la parte della domanda
relativa al periodo anteriore
al
30.06.98 e contestava la domanda nel merito.
3.-
Subentrata durante il giudizio di primo grado a detta Amministrazione
l'Azienda di Servizi alla
Persona
"Golgi-Redaelli" e costituitasi in giudizio quest'ultima
con le stesse conclusioni della dante
causa,
il Tribunale rigettava la domanda. Proposto appello da detti
dipendenti, la Corte d'appello di
Milano
con sentenza del 27.02.07 accoglieva la l'impugnazione solo per parte
dei dipendenti, in
favore
dei quali condannava il datore al pagamento delle differenze
retributive maturate per il titolo
dedotto;
rigettava invece l'impugnazione per i dipendenti D., S., A., M. ed
U..
La
Corte d'appello, riconosciuta la propria giurisdizione solo per la
parte di domanda attinente al
periodo
successivo al 30.06.98, sulla base delle risultanze istruttorie
rilevava che il tempo
necessario
per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro rientrava nella
prestazione e che, nella
fattispecie,
non essendo stato esso computato nell'orario di lavoro, dovesse
essere remunerato con la
normale
retribuzione. Ritenuto che le dette operazioni di vestizione e
vestizione avessero una durata
media
giornaliera di dieci minuti, accoglieva la domanda solo per coloro
che erano tenuti ad
indossare
gli indumenti di lavoro in relazione alle mansioni svolte.
4.-
Avverso questa sentenza l'A.S.P. Golgi-Redaelli ha proposto ricorso
per cassazione, cui Ba.Gi. e
gli
altri dipendenti indicati in epigrafe rispondono con controricorso e
ricorso incidentale, a sua
volta
contrastato con controricorso dalla ricorrente principale. Fissata la
discussione dei ricorsi e
depositata
memoria dai ricorrenti incidentali, la Sezione Lavoro, rilevato che
questi ultimi hanno
sollevato
questioni attinenti la giurisdizione, con ordinanza del 19.07.12 ha
trasmesso la causa al
Presidente
della Corte per la sua assegnazione alle Sezioni unite.
Successivamente
entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi
della decisione
5.-
Preliminarmente vanno riuniti il ricorso principale e quello
incidentale, ai sensi dell'art. 335
c.p.c..
6.-
L'Azienda, ricorrente principale, deduce i seguenti motivi.
6.1.-
Violazione dell'art. 299 c.p.c. (primo motivo). Parte ricorrente
sostiene che il giudizio di
appello
avrebbe dovuto essere interrotto in quanto l'appellante G. era
deceduto nel corso del
giudizio
di primo grado e, quindi, ben prima del deposito dell'atto di
appello. Erroneamente la Corte
d'appello
ha ritenuto che l'interruzione fosse evitata dalla notifica di un
atto di rinunzia agli atti del
giudizio
effettuata, successivamente alla notifica dell'atto di appello, dal
difensore per conto del
lavoratore
deceduto, in quanto l'interruzione opera automaticamente per effetto
del verificarsi del
decesso
di una parte prima della sua costituzione in giudizio. Avendo il
decesso fatto venir meno il
mandato
defensionale, sarebbero nulli la vocatio in ius e il successivo
giudizio e la stessa sentenza
ne
sarebbe inficiata, risultando anch'essa nulla.
Conseguenza
di tale situazione processuale ai sensi dell'art. 305 c.p.c. sarebbe
l'estinzione del
processo,
atteso che esso non fu proseguito, nè riassunto nei sei mesi
successivi alla conoscenza
dell'evento-decesso
(che parte ricorrente fissa al 28.10.06, data di notifica dell'atto
di rinunzia) e
della
sua automatica interruzione.
6.2.-
Violazione dell'art. 300 (secondo motivo). In via subordinata, ove la
Corte adita ritenesse
inapplicabile
l'art. 299 c.p.c. e valida la procura alle liti del G. per la
proposizione dell'appello, parte
ricorrente
sostiene che il difensore del medesimo, comunicando alla controparte
l'avvenuto decesso,
avrebbe
comunque procurato l'interruzione del giudizio ai sensi dell'art. 300
c.p.c. e la sua
conseguente
nullità.
6.3.-
Violazione dell'art. 112 c.p.c. (terzo motivo), non avendo la Corte
d'appello considerato che
l'istruttoria
aveva acclarato che i dipendenti indossavano gli indumenti di lavoro
solo dopo aver
timbrato
il cartellino di ingresso e li dismettevano prima di timbrare il
cartellino di uscita, quindi,
durante
l'orario di lavoro.
6.4.-
Violazione dell'art. 17 del c.c.n.l. 94-97 Enti locali; art. 18 del
c.c.n.l. artt. 94-97 Sanità
pubblica;
R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, artt. 3 e 6; R.D. 10 settembre 1923, n.
1955, art. 10; D.Lgs.
30
marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 2; art. 2, n. 1, della direttiva UE
23.11.93 n. 98/104/CE;
D.Lgs.
8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2, lett. a), (quarto motivo).
Parte ricorrente ribadisce che
l'istruttoria
aveva acclarato che i dipendenti indossavano e dismettevano gli
indumenti di lavoro
durante
l'orario di lavoro e che il datore di lavoro non imponeva la
timbratura del cartellino di
ingresso
a vestizione avvenuta, pertanto, la Corte d'appello affermando che
dette operazioni
avvenivano
durante l'orario di lavoro, enuclea un concetto non corretto, atteso
che per "orario di
lavoro"
deve intendersi il periodo di tempo in cui il lavoratore sia a
disposizione del datore e
nell'esercizio
delle sue attività e funzioni.
6.5.-
Carenza di motivazione ed error in procedendo (quinto motivo), avendo
il giudice di appello
affermato
che i lavoratori dovevano indossare gli indumenti di lavoro
all'inizio del turno e che,
timbrando
il cartellino di entrata ed uscita rispettivamente alcuni minuti
prima dell'inizio e della
fine
del turno stesso, i tempi concessi erano insufficienti a compiere le
operazioni di vestizione e
svestizione
durante l'orario di lavoro. Parte ricorrente ribadisce che
dall'istruttoria è emerso che
l'Azienda
non aveva imposto l'obbligo di indossare la divisa fin dall'inizio
del turno e che i
lavoratori
indossavano la divisa dopo aver timbrato il cartellino di ingresso,
lasciando altresì il
servizio
qualche minuto prima della scadenza del turno per poter dismettere la
divisa durante
l'orario
di lavoro.
6.6.-
Carenza di motivazione (sesto motivo), contestandosi la liquidazione
equitativa della durata
media
giornaliera (dieci minuti) del tempo necessario per indossare e
dismettere la divisa di lavoro
e
degli importi liquidati in favore di ciascuno dei richiedenti (metà
delle somme indicate da
ciascuno,
parametrate a venti minuti). I tempi invece avrebbero dovuto essere
determinati a seguito
di
apposita consulenza tecnica (richiesta dal datore e non ammessa dal
Collegio giudicante) e gli
importi
avrebbero dovuto tener conto delle effettive presenze in servizio, al
netto delle assenze.
7.-
Con il ricorso incidentale i dipendenti deducono un unico motivo di
impugnazione, con il quale
lamentano
violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art.
45, comma 17, (ora
D.Lgs.
30 marzo 2001, n. 165, art. 69), contestando la decisione della Corte
di appello di
pronunziare
sulla domanda solo per il periodo decorrente dal 1.07.98, ritenendo
insussistente la
propria
giurisdizione per il periodo 1.01.95-30.06.98. Ritengono i ricorrenti
che nel caso in cui un
rapporto
di lavoro con datore di lavoro a natura pubblica si sia svolto in
parte prima del 30.06.98 ed
in
parte successivamente ed il petitum sia unico, deve ritenersi che la
controversia non sia
frazionabile
e rientri per intero nella giurisdizione del giudice ordinario,
soprattutto nel caso in cui il
comportamento
dell'Amministrazione, generatore della pretesa del dipendente, sia
iniziato prima di
quest'ultima
data e sia proseguito successivamente con carattere permanente.
8.-
Con i primi due motivi, da trattare in unico contesto, la ricorrente
principale sostiene che la
Corte
d'appello avrebbe dovuto interrompere il giudizio a seguito del
decesso dell'attore G.R.,
avvenuto
nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, prima che avesse
inizio il giudizio di
appello.
Premesso
che nei confronti del G. la Corte di appello non ha adottato alcuna
decisione, avendo
preso
atto della rinunzia agli atti del giudizio formulata dal difensore
dallo stesso originariamente
officiato,
deve rilevarsi che il decesso della parte costituita, sopravvenuto
nel corso del giudizio di
primo
grado e non denunciato dal procuratore, non priva quest'ultimo del
potere di proporre
validamente
l'impugnazione per la parte deceduta. Infatti, il decesso
verificatasi nel corso del
giudizio
non determina automaticamente l'interruzione del processo, come
conseguenza
dell'estinzione
del rapporto procuratorio ai sensi dell'art. 1722 c.c., n. 4, essendo
l'interruzione
l'effetto
di una fattispecie complessa costituita dalla verificazione del
decesso e dalla dichiarazione
in
udienza o dalla notificazione alle altre parti compiuta dal
procuratore della parte deceduta. Fino a
questo
momento si verifica l'ultrattività del mandato al procuratore ad
litem, in virtù della deroga di
cui
all'art. 300 c.p.c., commi 1 e 2, alle norme che, sul piano
sostanziale, disciplinano il rapporto
procuratorio
(Cass. 10.01.06 n. 144 e 6.05.05 n. 9394).
Nel
caso di specie ferma restando la validità dell'atto di appello anche
in favore del G., per il
disposto
dell'art. 299 c.p.c. e art. 300 c.p.c., comma 2, l'evento
interruttivo risulta dichiarato (e
conosciuto
dalla controparte) solo nel corso del giudizio di secondo grado, con
la notifica
all'Azienda
appellata della rinunzia agli atti del giudizio da parte del
difensore del deceduto.
Circa
gli effetti della denunzia dell'evento, la giurisprudenza prevalente
della Corte di cassazione,
cui
questo Collegio intende dare continuità, ritiene che nel caso di
riunione di più cause in unico
processo
l'evento interruttivo che interessa la parte di uno di detti
procedimenti non intacca il
contraddittorio
rispetto alle parti degli altri procedimenti connessi per l'oggetto
(e, come tali,
scindibili
e tra di loro autonomi), nè viene a ledere l'attività difensiva o
una efficiente
rappresentanza
tecnica di dette parti, di modo che l'interruzione del processo deve
essere dichiarata
limitatamente
alla parte colpita dall'evento interruttivo e non in riferimento
all'intero processo (S.u.
5.07.07
n. 15142, nonchè Sez. lav. 1.02.07 n. 2225, 13.09.03 n. 13471 e
25.02.02 n. 2676).
Ricostruito
in tali termini lo scenario normativo, deve tuttavia rilevarsi che in
tale contesto
l'Azienda
Radaelli non ha ora interesse a far valere la mancata interruzione
del processo, atteso che
ulteriore
giurisprudenza di questa Corte ritiene che le norme che disciplinano
l'interruzione del
processo
sono preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento,
la quale è l'unica
legittimata
a dolersi dell'irrituale continuazione del processo nonostante il
verificarsi della causa
interruttiva;
ne consegue che, la mancata interruzione del processo non può essere
rilevata d'ufficio
dal
giudice, nè essere eccepita dall'altra parte come motivo di nullità
(Cass. 13.11.09 n. 24025,
20.07.05
n. 15249 e 18.07.97 n. 6625).
In
conclusione, dovendo ritenersi che l'irregolarità nella
continuazione del processo poteva essere
eccepita
soltanto dai successori della parte deceduta e che costoro non hanno
adottato alcuna
iniziativa
in tal senso, i primi due motivi del ricorso principale debbono
essere rigettati.
9.-
Procedendo ulteriormente nell'esame dei motivi terzo, quarto e
quinto, deve rilevarsi che la
vestizione
degli indumenti di lavoro (e, più in generale, della divisa
aziendale) costituisce
un'operazione
preparatoria della prestazione di lavoro e ad essa strumentale. La
consolidata
giurisprudenza
della Sezione lavoro ritiene che al fine di valutare se il tempo
occorrente per tale
operazione
debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla
disciplina contrattuale
specifica.
In particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il
tempo e il luogo ove
indossare
la divisa o gli indumenti (anche eventualmente presso la propria
abitazione, prima di
recarsi
al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza
preparatoria allo svolgimento
dell'attività
lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non
deve essere
retribuito.
Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte
dal datore di lavoro,
che
ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, l'operazione stessa
rientra nel lavoro effettivo e
di
conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito (Cass.
10.09.10 n. 19358, 9.09.06
n.
19273 e 21.10.03 n. 15734).
Tale
affermazione non si pone in contrasto con il D.Lgs. 8 aprile 2003, n.
66, art. 1, lett. a, (che
recepisce
le direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti
dell'organizzazione dell'orario di
lavoro),
secondo il quale la nozione di orario di lavoro si identifica con
"qualsiasi periodo in cui il
lavoratore
sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio
della sua attività o delle
sue
funzioni". E', inoltre, confermata dall'interpretazione data
dalla stessa Sezione alla clausola
dell'art.
5 del contratto collettivo per i lavoratori delle industrie
metalmeccaniche - per il quale
"sono
considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione" - nel
senso che sono da
ricomprendere
nella nozione di lavoro "effettivo" anche le attività
preparatorie allo svolgimento
dell'attività
lavorativa e quelle successive alla prestazione, ove siano
eterodirette dal datore di
lavoro,
e che come tali dette attività debbono essere retribuite nella
misura contrattuale prevista per
la
prestazione (sentenze 2.07.09 n. 15492 e 25.06.09 n. 14919, entrambe
con riferimento ai tempi di
vestizione
e svestizione della divisa di lavoro, la seconda emessa ex art. 420
bis c.p.c.).
10.-
La Corte d'appello, pur aderendo a questa impostazione di diritto, è
giunta alla sua pronunzia
sulla
base di una incompleta considerazione del materiale probatorio
acquisito nel corso
dell'istruttoria.
Il
Collegio di merito ha affermato che le operazioni di vestizione e
vestizione non avvenivano
nell'ambito
dell'orario di lavoro all'esito dell'esame delle risultanze della
prova testimoniale e dei
cartellini-
orario. Tale conclusione, tuttavia, non da esauriente conto delle
risultanze della prova
testimoniale
e, in particolare delle dichiarazioni di quei testi che hanno
dichiarato che l'Azienda non
imponeva
l'obbligo di indossare la divisa fin dall'inizio del turno (teste M.)
e che i lavoratori dopo
aver
timbrato si recavano negli spogliatoi, dove indossavano la divisa, e
solo dopo si recavano al
reparto
lasciando altresì il servizio qualche minuto prima della scadenza
del turno per poter
dismettere
la divisa durante l'orario di lavoro (testi N., P. e Be.). Manca,
soprattutto, un raffronto tra
le
dichiarazioni in questione e le risultanze dei cartellini-orario, con
riferimento agli orari di
timbratura
all'ingresso ed all'uscita e l'orario di inizio e conclusione dei
turni di lavoro.
La
rilevata carenza rende insufficiente l'esame della Corte d'appello su
un punto essenziale,
rilevante
ai fini dell'applicazione del principio di diritto sopra enunziato,
ovvero se esistesse
l'obbligo
- nascente da disposizione del datore di lavoro - di indossare gli
indumenti di lavoro fin
dall'orario
di inizio del turno, oppure, fosse consentito ai singoli di
indossarli in un momento
successivo
all'inizio della prestazione. Analoga carenza si rileva per il
momento della svestizione,
non
risultando con certezza se i dipendenti potessero dismettere gli
indumenti di lavoro prima della
fine
del turno o dovessero attendere la sua conclusione.
Questa
carenza, come da disposizione che sarà di seguito formulata, dovrà
essere colmata dal
giudice
di merito in sede di rinvio previo riesame delle testimonianze e di
tutte le risultanze
documentali
acquisite in istruttoria.
In
questi limiti i motivi terzo, quarto e quinto sono fondati e debbono
essere accolti, con
conseguente
assorbimento del sesto.
11.-
Pacifica la qualità di pubblici dipendenti in regime di rapporto di
pubblico impiego privatizzato
dei
lavoratori-attori e preso atto che la domanda dagli stessi proposta è
riferita a periodi di lavoro
temporalmente
determinati, variabili per durata a seconda delle posizioni
specifiche dei singoli, ma
tutti
posti a cavallo del 30.06.98, la Corte d'appello ha ritenuto
esistente la propria giurisdizione
solo
per il periodo successivo a quella data, ravvisando la giurisdizione
del giudice amministrativo
per
il periodo anteriore.
Tale
statuizione, impugnata dai lavoratori ricorrenti incidentali, deve
essere rivista alla luce della
più
recente giurisprudenza, che tende a ricondurre tutte le fattispecie
di rapporto di lavoro pubblico
poste
a cavallo del limite temporale del 30.06.98 sotto la giurisdizione
del giudice ordinario. Grazie
all'elaborazione
concettuale delle Sezioni unite, infatti, nell'ambito di una visione
sostanzialmente
unitaria
della giurisdizione, la Corte di cassazione ha interpretato la norma
transitoria del D.Lgs. 30
marzo
2001, n. 165, art. 69, comma 7, - per la quale le controversie dei
pubblici dipendenti
privatizzati
sono attribuite al giudice ordinario solo se relative a questioni
attinenti a periodo del
rapporto
di lavoro successivo al 30.06.98 - nel senso che essa stabilisce,
come regola, la
giurisdizione
del giudice ordinario, per ogni questione che riguardi il periodo del
rapporto
successivo
al 30 giugno 1998 o che parzialmente investa anche il periodo
precedente, ove risulti
essere
sostanzialmente unitaria la fattispecie dedotta in giudizio,
relegando ad eccezione la
giurisdizione
del giudice amministrativo per le sole questioni che riguardino
unicamente il periodo
del
rapporto compreso entro la data suddetta (Sez. unite 23.11.12 n.
20726 e 1.03.12 n. 3183).
Questa
giurisprudenza, in altre parole, superando il criterio del
frazionamento della giurisdizione,
ritiene
che ove la questione attinente il rapporto di pubblico impiego
dedotta in giudizio costituisca
una
"fattispecie sostanzialmente unitaria", è consentito non
distinguere più il periodo del rapporto
antecedente
al 1 luglio 1998 da quello successivo, atteso che l'unitarietà della
fattispecie attrae la
giurisdizione
al giudice ordinario; in questo ambito la giurisdizione del giudice
amministrativo
assume
un carattere residuale, in quanto ad essa saranno devolute solo le
controversie in cui la
fattispecie
abbraccia esclusivamente il periodo fino a quella data.
In
forza di questo principio, nel caso di specie, dato che tutti i
lavoratori ricorrenti hanno iniziato il
loro
rapporto di impiego antecedentemente al 1.07.98 ed hanno formulato la
domanda avendo a
riferimento
il periodo 1.01.95-30.11.00, deve riconoscersi la giurisdizione
esclusiva del giudice
ordinario,
con accoglimento sul punto dell'odierno ricorso incidentale.
12.-
Nella trattazione del motivo di ricorso i ricorrenti incidentali
sostengono che, una volta
affermata
la giurisdizione del giudice ordinario, non troverebbe più
applicazione la decadenza
comminata
dallo stesso art. 45 per le controversie attinenti a periodi
anteriori al 30.06.98 non
proposte
entro il 15.09.00.
Tale
questione, collegata a quella di giurisdizione presa in esame al capo
che precede ma pur
sempre
implicante un autonoma risposta in diritto, non viene sottoposta al
Collegio nel quesito di
diritto
formulato ex art. 366 bis, nella specie applicabile ratione temporis.
Considerato
che il quesito in questione costituisce la sintesi logico- giuridica
della questione
sottoposta
al vaglio del giudice di legittimità e deve essere formulata in
termini tali per cui dalla
risposta
- negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda univocamente
l'accoglimento od il
rigetto
del gravame (S.u. 28.09.07 n. 20360), deve ritenersi detta ulteriore
questione non sottoposta
all'odierno
giudice di legittimità.
13.-
A prescindere dalle richieste dei ricorrenti, sul punto può qui
tuttavia rilevarsi che la già citata
sentenza
n. 20726 del 2012 ha posto in evidenza che il nuovo orientamento
giurisprudenziale
ridimensiona
l'ambito di operatività della decadenza dal diritto nelle
controversie, riguardanti un
periodo
antecedente e successivo al 30.06.98, in cui il dipendente pubblico
per il primo periodo non
ha
azionato la pretesa dinanzi al giudice amministrativo. Il mutamento
giurisprudenziale qui
richiamato
tocca anche l'affidamento che le parti hanno fatto sulla portata
della decadenza (avente
carattere
sostanziale secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte, v. S.u. 3.05.05
n.
9101); affidamento che, come in generale per il mutamento (cd.
overruling) giurisprudenziale in
materia
di termini processuali e di decadenza, trova tutela nei limiti
previsti dalla sentenza Sez. un.
11.07.11
n. 15144 quanto all'idoneità dell'atto posto in essere dalla parte,
che abbia fatto
affidamento
sulla giurisprudenza dell'epoca, ad evitare la decadenza o la
preclusione.
14.-
In conclusione, quanto al ricorso principale, debbono essere
rigettati i motivi primo e secondo e
debbono
essere accolti i motivi terzo, quarto e quinto del ricorso
principale, con assorbimento del
sesto.
Deve essere, inoltre, accolto il ricorso incidentale, dichiarando la
giurisdizione del giudice
ordinario
anche per la parte della domanda antecedente al 1.07.98.
15.-
La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice
indicato in dispositivo il quale,
previ
gli accertamenti indicati al capo 10 che precede, farà applicazione
del seguente principio di
diritto:
il tempo occorrente per la vestizione e la svestizione degli
indumenti di lavoro rientra
nell'orario
di lavoro effettivo, e deve essere retribuito come tale, ove dette
operazioni, con apposita
disciplina
del momento e del luogo di esecuzione, siano imposte dal datore di
lavoro, mentre non
deve
essere retribuito ove la scelta di momento e luogo sia lasciata al
lavoratore.
Lo
stesso giudice, in ragione del riconoscimento della sua giurisdizione
qui effettuato, prenderà in
esame
con le medesime prescrizioni anche la parte della domanda riguardante
il periodo del
rapporto
di impiego antecedente il giorno 1.07.98 e pronunzierà, altresì,
sulle spese del presente
giudizio
di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte, a Sezioni unite, riuniti i ricorsi, così provvede:
-
rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale ed
accoglie i motivi terzo, quarto e
quinto,
con assorbimento del sesto, accogliendo, altresì il ricorso
incidentale;
-
dichiara la giurisdizione del giudice ordinario anche per la parte
della domanda antecedente il 1
luglio
1998 e, cassata la sentenza impugnata, rinvia alla Corte d'appello di
Milano in diversa
composizione
anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così
deciso in Roma, il 12 marzo 2013.
Depositato
in Cancelleria il 16 maggio 2013