Consiglio di Stato n. 316/, sez. VI del 21/1/2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 7838 del 2012, proposto
da:
Ordine degli Avvocati di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberta De Petris e Daria De Pretis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
Ordine degli Avvocati di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberta De Petris e Daria De Pretis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
contro
Marco
Migliore, non costituito in giudizio;
nei
confronti di
Katia
Azzani, non costituita in giudizio;
per
la riforma
della
sentenza dell’11 ottobre 2012, n. 298 del Tribunale regionale della
Giustizia amministrativa di Trento.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste
le memorie difensive;
visti
tutti gli atti della causa;
relatore
nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 il Cons.
Vincenzo Lopilato e udito per la parte appellante l’avvocato
Roberta De Petris.
FATTO
e DIRITTO
1.–
Il Signori Marco Migliore e Lippi Valentina hanno presentato
all’Ordine degli Avvocati di Trento una istanza di accesso,
depositata in data 23 marzo 2012, agli atti del procedimento
disciplinare avviato, su loro segnalazione, nei confronti
dell’avvocato Katia Azzani. In particolare, è stato chiesto di
avere copie della memoria difensiva, prodotta nel predetto
procedimento dal professionista, nonché di conoscere l’esito del
procedimento stesso.
Non
avendo il predetto Ordine risposto alla domanda nei termini previsti,
il Sig. Migliore ha impugnato innanzi al Tribunale regionale di
giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Trento, il silenzio
rifiuto.
1.1.–
Quel giudice, con sentenza 11 ottobre 2012, n. 298, ha accolto il
ricorso. In particolare, ha rilevato che la posizione del ricorrente,
quale autore di un esposto, è riconducibile ad una situazione
soggettiva rilevante che, in quanto tale, lo legittima a presentare
una domanda di accesso.
2.–
La predetta sentenza è stata impugnata dall’Ordine degli Avvocati
di Trento.
Nel
parte in fatto dell’atto si sottolinea come con nota dell’11
aprile 2012, non pervenuta ai richiedenti, l’Ordine avesse
rigettato la domanda in quanto non erano state esplicitate «le
motivazioni della richiesta di accesso […] con
riferimento alla situazione giuridicamente rilevante che si intende
tutelare, alla necessità di conoscenza e allo specifico interesse da
curare».
Nella
parte in diritto sono stati prospettati i motivi indicati nei
successivi punti.
3.–
L’appello è infondato.
3.1.–
Con i primi due motivi l’appellante assume che non è sufficiente
essere autore di un esposto per acquisire la legittimazione
all’accesso. Infatti, l’autore dell’esposto non è parte del
procedimento disciplinare e non può neanche impugnare l’esito del
procedimento stesso. Inoltre, i richiedenti la documentazione,
contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non sono clienti
del professionista denunciato ma del difensore della sua controparte.
I
motivi non sono fondati.
L’art.
22 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevede che il «diritto di
accesso» sia riconosciuto a «tutti i soggetti privati, compresi
quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un
interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale
è chiesto l’accesso».
L’Adunanza
plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 20 aprile 2006,
n. 7, ha qualificato il «diritto di accesso» come una posizione
soggettiva, priva di una autonomia, finalizzata ad offrire al
titolare poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale
alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante (si veda anche
Cons. Stato, Ad. plen, 18 aprile 2006, n. 6; da ultimo Cons. Stato,
IV, 22 maggio 2012, n. 2974).
Si
è così ritenuto che «la qualità di autore di un esposto, che
abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza
idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la
titolarità di una situazione giuridicamente rilevante» cui fa
riferimento l’art. 22 (in analogo senso, successivamente Cons.
Stato, Sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3742, secondo cui «ove risulti
un suo personale interesse il denunciante ha senz’altro titolo ad
avere copia dell’atto disciplinare emesso dall’amministrazione, a
seguito dell’esposto da lui presentato […] anche
se si tratti dell’atto di archiviazione del procedimento»).
Occorre,
pertanto, accertare se, nel caso di specie, ricorrano i suddetti
requisiti.
Il
primo requisito, specifico (essere autore di un esposto), costituisce
dato non contestato.
Il
secondo requisito, generico (ricorrenza di «altri elementi»),
è presente anch’esso. La parte appellata, pur non avendo un
rapporto contrattuale con il professionista denunciato, ha avuto con
lui un contatto afferente alla sfera professionale, che di suo è
idoneo – per quel che si riflette in termini disciplinari – a
costituire un fatto giuridicamente produttivo di effetti. Risulta,
infatti, dal contenuto dell’esposto che detto professionista fosse
il difensore dei soggetti con i quali erano pendenti una serie di
controversie. Il Sig. Migliore (unitamente alla Sig.ra Lippi) ha,
pertanto, contestato all’avvocato di controporte di avere tenuto,
per circostanze specificamente indicate, comportamenti contrari ai
doveri deontologici di probità, dignità, decoro e lealtà nonché
lesivi dei «precetti di buona fede e correttezza». In
particolare, vengono denunciati comportamenti relativi alle modalità
di esecuzione di somma dovute e di notificazione di atti processuali.
Questi
elementi, la cui effettiva portata esula dall’ambito del presente
giudizio – che rispetto ai fatti da accertare si pone in
limine– sono sufficienti a fare ritenere che nel caso di
accertamento di una responsabilità disciplinare il richiedente
potrebbe stimare se intraprendere azioni a tutela della propria
posizione giuridica eventualmente lesa. Ne consegue che l’appellata
è effettivamente titolare di una «situazione giuridicamente
rilevante».
3.2.–
Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella
parte in cui ha ritenuto insussistenti esigenze di tutela della
riservatezza del professionista «in quanto si tratta di accedere
non a dati sensibili, bensì ad atti aventi stretto riferimento a
rapporti contrattuali intercorrenti con il cliente». Si rileva,
infatti, che, nella specie, non vi sarebbe, per le ragioni anzidette,
alcun rapporto contrattuale tra le parti.
Il
motivo non è fondato.
L’art.
24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 prevede, al primo inciso,
che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai
documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare
o per difendere i propri interessi giuridici». Nella parte
successiva del comma si dispone, tra l’altro, che «nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è
consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile»,
mentre se i dati riguardino lo stato di salute o la vita sessuale
(c.d. dati sensibilissimi), l’accesso è consentito se la
situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la
richiesta di accesso è di rango almeno pari ai diritti
dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità
o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.
Nella
specie, la natura dei fatti contestati al professionista rende
evidente come si tratti di circostanze che afferiscono allo specifico
rapporto con il denunciante. Non risultano né sono stati adotti
elementi specifici idonei a condurre a diversa conclusione.
Rimane
comunque – va qui precisato – fermo il potere dell’Ordine di
negare l’accesso agli atti che effettivamente contengano dati
qualificabili come sensibili ovvero sensibilissimi del
professionista, ovvero di adottare misure idonee ad assicurare la
riservatezza dei dati.
4.–
In mancanza di costituzione della parte intimata non occorre
pronunciarsi sulle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe
proposto, lo rigetta.
Nulla
sulle spese.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012
con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe
Severini, Presidente
Maurizio
Meschino, Consigliere
Roberto
Giovagnoli, Consigliere
Giulio
Castriota Scanderbeg, Consigliere
Vincenzo
Lopilato, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
21/01/2013
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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