Consiglio
di Stato sez. IV 2/11/2012 n. 5582
Procedimento disciplinare si estingue per inattività - Computo di 90 giorni
Procedimento disciplinare si estingue per inattività - Computo di 90 giorni
FATTO
Il
signor A.R., brigadiere della Guardia di Finanza, è stato sottoposto
a procedimento penale, definito con sentenza irrevocabile di non
luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato, e in
seguito a procedimento disciplinare, all’esito del quale gli è
stata inflitta la sanzione della perdita del grado con rimozione
dall’impiego. Ha quindi impugnato il provvedimento destitutorio.
Con
sentenza 4 maggio 2011, n. 3836, il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, Sezione II, ha accolto il ricorso, ritenendo
estinto il procedimento disciplinare per l’inutile decorso del
termine previsto dall’art. 120 del decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e dichiarando assorbiti gli
ulteriori motivi del ricorso.
L’Amministrazione
ha interposto appello contro la sentenza e ha chiesto anche che ne
sia sospesa l’esecuzione.
Il
R. resiste con controricorso e appello incidentale, sollecitando il
rigetto dell’appello e, in subordine, riproponendo i motivi di
ricorso dichiarati assorbiti in primo grado.
Con
tali motivi l’appellato deduce, sotto diversi profili, la
violazione di legge e l’eccesso di potere.
•
Il
provvedimento impugnato contiene una clausola di immediata efficacia,
che sarebbe priva di motivazione e - soprattutto - contrasterebbe con
l’art. 21 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui
stabilisce che i provvedimenti sanzionatori acquistano efficacia nei
confronti del destinatario solo con la comunicazione.
•
Il
procedimento disciplinare sarebbe perento per violazione del termine
di 180 giorni per l’avvio del procedimento previsto dall’art. 97
del citato d.P.R. n. 3 del 1957, che sarebbe decorso già dalla
precedente sentenza di assoluzione pronunciata dal G.I.P. del
Tribunale di Roma il 22 marzo 2000, in relazione al medesimo fatto
storico.
•
Il
provvedimento sarebbe viziato da eccesso di potere per carenza di
istruttoria e autonoma valutazione dei fatti presupposti;
l’Amministrazione non avrebbe motivato in merito alla ritenuta
superfluità di un’approfondita istruttoria e alla supposta
inattendibilità delle prove o degli indizi di non colpevolezza
dell’incolpato.
•
L’Amministrazione
non avrebbe motivato circa le concrete modalità di svolgimento della
condotta addebitata al Ricci, assumendo ipotesi contraddittorie e
fondandosi su dati non significativi.
•
Il
provvedimento, infine, sarebbe irragionevole e non proporzionato,
anche alla luce del mancato accertamento di responsabilità penale,
dei precedenti di carriera del militare, della carenza di valutazione
circa la pericolosità sociale, della assenza di un fine di lucro.
L’istanza
cautelare è stata accolta dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con
ordinanza 30 novembre 2011, n. 5262.
All’udienza
pubblica del 9 ottobre 2012 l’appello è stato chiamato e
trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.
L’appello dell’Amministrazione è fondato e va pertanto accolto.
La
decisione della Commissione di disciplina è presa il 21 febbraio
2005; il provvedimento espulsivo che ne segue reca la data del
successivo 19 maggio ed è portato a conoscenza del R. il giorno 6
del mese di giugno.
A
questo proposito, il Collegio non può che ribadire quanto ha già
affermato in sede cautelare. In adesione alla costante giurisprudenza
di questo Consiglio, dalla quale non vi è ragione per discostarsi,
ai fini del computo dell'intervallo di 90 giorni tra due successivi
atti, il superamento del quale - a norma dell' art. 120 del citato
d.P.R. n. 3 del 1957 - comporta l'estinzione del procedimento
disciplinare, occorre avere riguardo al tempo di adozione degli atti
del procedimento sanzionatorio e non al tempo della notifica. Questa,
infatti, attiene alla fase dell'efficacia e non a quella del
perfezionamento del provvedimento amministrativo cui, invece, deve
intendersi logicamente riferito il disposto del suddetto art. 120
(cfr. da ultimo ex plurimis Sez. IV, 30 giugno 2010, n.4163; Sez. VI,
9 novembre 2011, n. 5914; Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452; Sez. III,
18 aprile 2012, n. 2264).
Sotto
il profilo in questione neppure ha rilievo la disposizione dell'art.
21 bis della ricordata legge n. 241 del 1990, che allo stesso modo
attiene al ciclo dell'efficacia e non a quello del perfezionamento,
dato che testualmente si riferisce al momento dell'acquisto
dell'efficacia da parte del provvedimento limitativo della sfera
giuridica dei privati.
L'argomento
della intervenuta estinzione del procedimento disciplinare, dunque,
non ha pregio e va rigettato.
2.
Ciò detto, occorre passare all’esame dei motivi dell’appello
incidentale, iniziando dal secondo per ragioni di economia
espositiva.
Il
motivo considera intempestivo l’avvio del procedimento
disciplinare, il termine a quo relativo al quale decorrerebbe dalla
data della sentenza di non luogo a procedere, emessa in data 22 marzo
2000 – nei confronti del R. e di altri coimputati – dal G.I.P.
del Tribunale di Roma.
L’argomento
è smentito dagli atti di causa.
Le
indagini preliminari per il fatto storico addebitato al R. (l’aver
rivelato notizie d’ufficio, che dovevano rimanere segrete, relative
alla soluzione dei test psicoattitudinali del concorso per il
reclutamento di allievi finanzieri) si sono concluse con la ricordata
sentenza, che ha prosciolto il R. e i coimputati dall’imputazione
ex artt. 110, 56 e 640 c.p. (con la formula: il fatto non sussiste) e
i soli coimputati dall’imputazione ex artt. 110 e 326 c.p. (con la
formula: il fatto non costituisce reato). Con riguardo a quest’ultima
imputazione, invece, il Ricci è stato in pari data rinviato a
giudizio.
La
pendenza del processo penale in atto, conseguente all’avvenuto
esercizio dell’azione penale, precludeva l’emanazione dell’ordine
di inchiesta da parte dell’autorità competente (si vada anche il
punto 2.5 della circolare del Comando generale della Guardia di
Finanza sui procedimenti disciplinari di stato, richiamata dalla
difesa erariale). Correttamente dunque l’Amministrazione ha atteso
la definizione del processo penale in corso prima di avviare - nel
rispetto dei termini di legge - il procedimento disciplinare
conclusosi con il provvedimento impugnato in primo grado.
3.
I successivi motivi dell’appello incidentale censurano sotto vari
aspetti la motivazione del provvedimento di espulsione, che non
sarebbe motivato in modo congruo quanto ai presupposti di fatto e
alla misura della sanzione.
Il
provvedimento, tuttavia, motiva dettagliatamente, quanto al fatto,
sulla base della documentazione acquisita, con una ricostruzione che
appare esente da vizi logici e dunque non sindacabile in questa sede.
Nonostante
le (pur comprensibili) contestazioni della parte privata,
correttamente il provvedimento impugnato valorizza le risultanze del
procedimento penale: sotto il profilo specifico della responsabilità
disciplinare, è del tutto irrilevante che il R. abbia consegnato i
risultati dei test all’aspirante finanziere (come questi ha
riferito) o al c.d. intermediario, con lui coimputato (come dichiara
“provato” la sentenza di proscioglimento). In disparte il rilievo
che l’aspirante può essere stato mosso dall’intento di non
coinvolgere altri militari, quello che importa è la condotta
addebitata al R., l’avere cioè consegnato ad altri il materiale
concorsuale a propria disposizione; condotta che l’Amministrazione
– con valutazione, si ripete, non irragionevole – ha ritenuto
accertata.
4.
Circa poi la ragionevolezza e la proporzionalità della sanzione
della perdita del grado per rimozione, va richiamato il consolidato
orientamento – al quale il Collegio ritiene di aderire in assenza
di particolari ragioni di segno contrario – secondo cui è
incontestabile l’ampia discrezionalità che connota le valutazioni
dell’Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da
infliggere a fronte delle condotte accertate (cfr. per tutte Cons.
Stato, Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452, ove riferimenti ulteriori).
Su
tale premessa, non è né illogica né irragionevole la scelta di
irrogare una sanzione destitutoria al sottufficiale della Guardia di
Finanza il quale risulti aver fornito a un partecipante alla
procedura per il reclutamento di allievi finanzieri le soluzione dei
relativi test pscicoattitudinali, utilizzando materiale in suo
possesso, che sarebbe dovuto rimanere segreto.
Infatti
la condotta rimproverata è del tutto inammissibile, perché
costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento
di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque
considerazione circa la mancata sanzione penale del fatto, i positivi
precedenti dell’incolpato, l’asserita assenza di pericolosità
sociale come pure di un fine di lucro, ma giustifica la sanzione
espulsiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 63 della
legge 31 luglio 1954, n. 599 (sottoposto peraltro anche al giudizio
della Corte costituzionale e da questa dichiarato legittimo – si
rammenti – con sentenza 24 luglio 1995, n. 356).
5.
Resta da esaminare il primo motivo dell’appello incidentale, con
riguardo alla dedotta violazione dell’art. 21 bis della legge n.
241 del 1990.
La
norma stabilisce che “il provvedimento limitativo della sfera
giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun
destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle
forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti
dal codice di procedura civile….. Il provvedimento limitativo della
sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può
contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I
provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi
carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci “.
Nel
caso di specie, il provvedimento di rimozione dispone la perdita del
grado con efficacia immediata; il che non sarebbe consentito, sia per
la natura sanzionatoria del provvedimento stesso, sia per il difetto
di motivazione della clausola.
Va
da sé che il motivo investe non la legittimità del provvedimento,
ma il solo momento dell’efficacia, nel senso che la sanzione
acquisterebbe efficacia non dal 19 maggio 2005 (data dell’adozione),
ma da quella del successivo 6 giugno (data dell’avvenuta notifica).
E’ questa la ragione per cui il Collegio ritiene di esaminarlo da
ultimo.
Poiché
il provvedimento impugnato ha senz’altro carattere sanzionatorio,
il motivo è evidentemente fondato (l’Amministrazione non deduce
nulla sul punto specifico). Ne deriva che il provvedimento stesso è
illegittimo e va annullato in parte qua, con la conseguenza che la
sua efficacia deve intendersi decorrere dalla data in cui la relativa
notifica è andata a buon fine.
6.
Dalle considerazioni che precedono discende la fondatezza dell’
appello dell’Amministrazione e la parziale fondatezza dell’appello
incidentale della parte privata, nei sensi di cui prima si è detto.
In conclusione va confermata la legittimità del provvedimento
impugnato in primo grado, l’efficacia del quale va però fissata al
6 giugno 2005.
Alla
luce dell’esito degli appelli, le spese di giudizio sono
compensate.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie l’appello principale nonché, nei limiti di cui in
motivazione, l’appello incidentale; per l'effetto, conferma il
provvedimento impugnato in primo grado, eccezion fatta per quanto
riguarda l’efficacia del provvedimento medesimo, che fissa al 6
giugno 2005.
Compensa
le spese.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2012
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