Cassazione penale, sez. unite, 5 febbraio 2015, n. 5396
RITENUTO IN FATTO
1. Nelle prime ore del giorno 1° febbraio 2011, la polizia
giudiziaria (Nucleo Operativo-Aliquota Radiomobile dei Carabinieri di
Conegliano), in località San Fior, sottoponeva Matteo Bianchi, conducente di
un’autovettura, ad alcooltest, ripetuto a distanza di alcuni minuti, il cui
esito indicava un tasso alcolemico pari a 1,97 e poi a 1,90 g/l.
Essendo emersi estremi del reato di cui all’art. 186, comma 2, d. Igs. 30
aprile 1992, n. 285 (cod. strada), gli atti venivano trasmessi alla Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, che procedeva a iscrizione nel
registro delle notizie di reato in data 8 novembre 2011.
Con memoria depositata il 30 novembre 2011 presso la Procura della Repubblica,
l’avv. Cristiana Polesel, difensore di fiducia nominato dal Bianchi in data 9
novembre 2011, eccepiva la nullità, ex art. 178, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., derivante dall’omesso avviso all’indagato da parte della polizia giudziaria
procedente della facoltà di farsi assistere da un difensore in relazione allo
svolgimento di un atto urgente e indifferibile quale la sottoposizione
all’esame alcoolimetrico.
In data 14 dicembre 2011, il Procuratore della Repubblica depositava richiesta
di emissione di decreto penale di condanna in ordine alla contravvenzione di
cui all’art. 186, commi 2, lett. e), e 2-sexies, cod. strada, contestata al
Bianchi per avere circolato alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza,
con i tassi sopra indicati, in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Treviso, in data 21
dicembre 2011, emetteva decreto di condanna alla pena di 23.500 euro di
ammenda, di cui 22.500 in sostituzione di 90 giorni di arresto, notificato al
difensore il 10 febbraio 2012.
L’avv. Polesel depositava in data 28 dicembre 2012 ulteriore memoria difensiva,
con la quale, tra l’altro, ribadiva l’eccezione di nullità a suo tempo dedotta.
A seguito di opposizione al predetto decreto, proposta tempestivamente il 23
febbraio 2012 dal predetto difensore del Bianchi, il medesimo G.i.p. disponeva
procedersi a giudizio immediato.
In dibattimento, alla udienza dell’ll novembre 2013, il difensore dell’imputato
reiterava l’eccezione di nullità dell’esame alcoolimetrico.
Ritiratosi in camera di consiglio, il Tribunale emetteva ordinanza con la
quale, rilevato che dagli atti non risultava essere stato effettuato al Bianchi
da parte della p.g., al momento della sottoposizione dello stesso all’esame
alcoolimetrico, da ritenere atto indifferibile e urgente, l’avviso ex art. 114
disp. att. cod. proc. pen.; che da ciò derivava una nullità a regime
intermedio; che tale nullità era stata tempestivamente dedotta nella memoria
difensiva del 30 novembre 2011; tutto ciò rilevato e premesso, dichiarava la
nullità dell’accertamento effettuato mediante il suddetto test alcoolimetrico.
2. All’esito del dibattimento, chiusosi alla stessa udienza
dell’I 1 novembre 2013, il Tribunale di Treviso pronunciava sentenza con la
quale, su conforme richiesta delle parti, assolveva l’imputato con la formula
“perché il fatto non sussiste”.
Osservava il Tribunale che l’accoglimento della eccezione di nullità dell’esame
alcoolimetrico, dedotta nella memoria depositata il giorno 30 novembre 2011, da
considerare «quale primo atto difensivo concretamente esperibile contestuale
all’atto di nomina a difensore fiduciario», comportava la inutilizzabilità di
tale accertamento, con la conseguenza che, in mancanza di esso, poteva considerarsi
provata, su base sintomatica, e in ossequio al favor rei, come specificamente
affermato in materia dalla giurisprudenza di legittimità, solo la meno grave
ipotesi di guida in stato di ebbrezza di cui alla lett. a) del comma 2
dell’art. 186 cod. strada, integrante una violazione amministrativa.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia,
che, nel chiederne l’annullamento, ha dedotto, con un unico motivo, l’erronea
applicazione della legge penale, essendo l’eccezione di nullità proposta dalla
difesa da considerare tardiva, non avendola l’imputato dedotta prima del
compimento dell’atto o immediatamente dopo, come prescritto dall’art. 182,
comma 2, cod. proc. pen.
A sostegno di tale assunto, l’Ufficio ricorrente riporta un ampio stralcio
della sentenza della Corte di cassazione Sez. 4, n. 36009 del 04/06/2003
(recte, 2013), cui esprime adesione.
4. La Quarta Sezione penale, assegnataria del ricorso, con
ordinanza in data 26 settembre 2014, depositata il 21 ottobre successivo, ne ha
disposto la rimessione alle Sezioni Unite, sulla base di un ravvisato contrasto
giurisprudenziale.
Premesso che il ed. alcooltest costituisce la prova “regina” a fondamento della
responsabilità del conducente di veicoli che presenti un livello alcoolico
superiore alle soglie considerate dal comma 2 dell’art. 186 cod. strada – la
prima delle quali, di cui alla lett. a), costituente illecito amministrativo e
le altre due, di cui alle lettere b) e e), costituenti una contravvenzione
penale – nell’ordinanza si osserva che l’avvertimento della facoltà di farsi
assistere da un difensore di fiducia da dare all’interessato nel caso in cui si
intenda procedere a un simile test si ricava dall’art. 114 disp. att. cod.
proc. pen. (rubricato appunto “Avvertimento del diritto all’assistenza del
difensore”), dato che l’esame in questione rientra nella previsione dell’art.
354 cod. proc. pen. (“Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle
persone”) e che ad esso il difensore dell’indagato ha facoltà di assistere, a
norma dell’art. 356 dello stesso codice (“Assistenza del difensore”), cui si
riferisce, appunto, il citato art. 114.
Ciò posto, si rileva che, in base all’orientamento giurisprudenziale
consolidato, il mancato avvertimento di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc.
pen. dà luogo a una nullità a regime intermedio, che, ai sensi dell’art. 182,
comma 2, cod. proc. pen., deve essere eccepita dalla parte, a pena di decadenza,
prima del compimento dell’atto oppure, se ciò non è possibile, immediatamente
dopo.
Quanto, però, alla esatta individuazione del limite temporale entro il quale è
proponibile l’eccezione, sarebbe ravvisabile una diversità di orientamenti.
Secondo una prima linea interpretativa, posto che l’eccezione ha da essere
sollevata, a pena di decadenza, prima del compimento dell’atto ovvero
immediatamente dopo, essa può e deve essere formalizzata dallo stesso
interessato (sottoposto ad alcooltest), non essendovi ragione per subordinare
l’eccezione all’intervento del difensore, dato che essa non implica particolari
cognizioni di ordine tecnico rientranti nelle specifiche competenze
professionali del difensore.
Altro orientamento affida invece la proponibilità dell’eccezione esclusivamente
al difensore, considerando che il sottoposto all’esame alcoolimetrico, proprio
perché non a conoscenza di tale garanzia di assistenza, non potrebbe sollevare
l’eccezione né prima del compimento dell’atto né immediatamente dopo. Il difensore,
tuttavia, avrebbe l’onere di proporla subito dopo la sua nomina, ovvero entro
il termine di cinque giorni che l’art. 366 cod. proc. pen. concede al difensore
per l’esame degli atti, senza che gli sia consentito attendere il primo
successivo atto del procedimento In base ad altra esegesi, che pure parte dalla
non esigibilità della proponibilità dell’eccezione da parte del diretto
interessato all’accertamento urgente, deve invece considerarsi tempestiva
l’eccezione di nullità sollevata con il primo atto successivo del procedimento,
ad esempio, in sede di richiesta di riesame, o, per stare al caso di specie,
con l’atto di opposizione a decreto penale di condanna.
La Quarta Sezione, richiamando anche indirizzi espressi dalla Corte
costituzionale (sentenze nn. 120 del 2002 e 162 del 1975) mostra di propendere
per la linea che affida al solo difensore l’onere di proporre l’eccezione, ma,
in presenza di orientamenti contrastanti sui vari aspetti evidenziati, ha
ritenuto l’opportunità di investire le Sezioni Unite della tematica implicata
dal ricorso.
5. Con decreto in data 29 ottobre 2014, il Primo Presidente ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna
udienza pubblica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione della quale sono investite le Sezioni Unite,
tenuto conto della fattispecie delineata dall’ordinanza di rimessione, è
enunciabile nei seguenti termini: “Se la nullità conseguente al mancato
avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all’esame alcoolimetrico,
della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione
dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., possa ritenersi non più deducibile, a
norma dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., se non eccepita dal diretto
interessato prima del compimento dell’atto; ovvero, se di tale eccezione debba
considerarsi onerato il solo difensore, quale sia in tale ipotesi il momento
oltre il quale si verifica la conseguenza della non deducibilità della
nullità”.
2. Il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt.
114 disp. att. cod. proc. pen., 356 e 354 cod. proc. pen.
L’art. 114 disp. att cod. proc. pen. (“Avvertimento del diritto all’assistenza
del difensore”) così recita: «Nel procedere al compimento degli atti indicati
dall’art. 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta
alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di
fiducia».
L’art. 356 cod. proc. pen. (“Assistenza del difensore”) prevede che «[il]
difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà
di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti
previsti dagli articoli 352 e 354 [...]».
L’art. 354 cod. proc. pen. (“Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e
sulle persone. Sequestro”), detta disposizioni per la eventualità di un
pericolo di ritardo per tali accertamenti, demandati, a specifiche condizioni,
alla iniziativa della polizia giudiziaria.
3. Tanto posto, va in primo luogo precisato che l’avvertimento
del diritto all’assistenza difensiva, di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc.
pen. – che, per il tramite dell’art. 356 cod. proc. pen., richiama gli
“accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone”, di cui all’art.
354 cod. proc. pen. – è riferibile, come affermato da costante giurisprudenza,
anche agli accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria sul tasso alcolemico
del conducente di un veicolo ai fini della verifica dei parametri considerati
dall’art. 186, comma 2, d.Igs. 30 aprile 1992, n. 285, e successive modifiche
(cod. strada).
Si tratta infatti di «accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalle
ispezioni personali» che, ricorrendo il pericolo che le «tracce [...]
pertinenti al reato» «si alterino o si disperdano o comunque si modifichino» e
non potendo il pubblico ministero «intervenire tempestivamente» ovvero non
avendo «ancora assunto la direzione delle indagini», possono essere compiuti
direttamente dagli ufficiali di polizia giudiziaria (v. per queste coordinate
disposizioni i commi 1, 2 e 3 dell’art. 354 cod. proc. pen.; nonché in
giurisprudenza, tra le altre, Sez. U, n. 1299 del 27/09/1995, Cirigliano, n.m.
sul punto).
Tali accertamenti, come previsto dall’art. 186, commi 3 e 4, cod. strada, vanno
effettuati dagli organi della polizia stradale (individuati dall’art. 12, commi
1 e 2, del medesimo codice) sull’analisi dell’aria espirata con l’impiego di un
apposito apparecchio (etilometro) secondo le metodologie previste dall’art. 379
del Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada (d.P.R.
16 dicembre 1992, n. 495).
Occorre tuttavia rimarcare che, prima che si proceda ad accertamento mediante
etilometro, e proprio al fine di verificare i presupposti per darvi luogo, gli
organi di polizia – come chiarito anche dalla Circolare del Ministro
dell’Interno del 29 dicembre 2005, n. 300/A/42175/109/42 – hanno facoltà di
sottoporre il conducente «ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove,
anche attraverso apparecchi portatili». Questi accertamenti, di natura discrezionale
e affatto preliminari all’acquisizione di elementi indiziari riferibili alle
fattispecie di guida in stato di ebbrezza contemplate dall’art. 186, comma 2,
cod. strada, non rientrano, evidentemente, in quelli presi in considerazione
dall’art. 354 cod. proc. pen.; sicché per essi non è luogo a procedere
all’avvertimento ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen.
In questo senso va intesa, e può comunque ricevere condivisione, la linea
giurisprudenziale secondo cui l’avvertimento ex art. 114 cit. va dato solo
quando l’organo di polizia ritenga di desumere dalle circostanze del fatto un
possibile stato di alterazione del conducente sintomatico dello stato di
ebbrezza e non quando esso sia svolto in via meramente “esplorativa” (Sez. 4,
n. 10850 del 12/02/2008, Rizzi, Rv. 239404; nella stessa linea, Sez. 4, n.
16553 del 26/01/2011, Pasolini, Rv. 250310).
I poteri e le garanzie previste dalla legge per simili accertamenti, come sopra
delineati, appaiono del resto coerenti con il disposto dell’art. 220 disp. coord.
cod. proc. pen., secondo cui, quando «nel corso di attività ispettive o di
vigilanza [...] emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le
fonti di prova [...] sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del
codice».
Ciò precisato, va osservato che nel caso in esame, pur in un contesto di
marcata sinteticità e, anzi, di una qualche approssimazione, che caratterizza
il verbale redatto dagli organi di p.g. in data 1° febbraio 2011, risulta che
il conducente Bianchi venne sottoposto alle specifiche metodiche relative
all’impiego di un apparecchio etilometro previste dalle norme regolamentari,
sicché deve ritenersi che, nel momento in cui queste vennero effettuate,
fossero già emersi a carico del predetto indizi di reità per una della fattispecie
di guida in stato di ebbrezza contemplate dall’art. 186, comma 2, cod. strada;
tanto che, prima di procedere a tale accertamento – indubitabilmente
indifferibile e urgente – al medesimo avrebbe dovuto essere dato avvertimento
della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, come previsto
dall’art. 114 disp. att. cod. proc. pen.
Dagli atti non emerge che un simile avvertimento sia stato dato in quel
frangente, né l’Ufficio ricorrente pone in dubbio che tale mancanza si sia
effettivamente verificata.
4. La violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. è
pertanto nella specie non oggetto di discussione, ed essa integra, secondo una
linea giurisprudenziale affatto pacifica, una nullità di ordine generale, non
assoluta ma a regime ed. intermedio, in base alla previsione dell’art. 178,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (nella parte relativa alla inosservanza
delle disposizioni concernenti «l’assistenza [..,] dell’imputato»), non
rientrando in alcuno dei casi considerati dall’art. 179 cod. proc. pen.
Tralasciando altre ipotesi di limiti alla deducibilità non pertinenti al caso
di specie, le nullità a regime intermedio verificatesi prima del giudizio non
possono essere più dedotte «dopo la deliberazione della sentenza di primo
grado», alla stregua di quanto previsto dall’art. 180 cod. proc. pen.,
richiamato dall’art. 182, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen.).
Resta fermo che entro il medesimo termine spetta in primo luogo al giudice, in
quanto garante della regolarità del processo, dichiarare le nullità incorse nel
procedimento che egli sia stato in grado di rilevare.
5. Non può invece qui evocarsi come caso di non (ulteriore)
deducibilità quello di cui al primo periodo del comma 2 dell’art. 182 cod.
proc. pen., che si riferisce alla ipotesi in cui la “parte assiste all’atto
nullo” («Quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita
prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo»).
5.1. Infatti, va in primo luogo considerato che nel caso di
specie non potrebbe dirsi che la parte “assisteva” all’atto inficiato dalla
nullità derivante dal mancato avvertimento, essendo da escludere che vi
“assistesse” un soggetto (l’indagato o indagabile) che era in procinto di
essere sottoposto a un accertamento indifferibile sulla propria persona,
proprio perché al medesimo doveva essere data ex art. 114 disp. att. cod. proc.
pen. una formale comunicazione circa la «facoltà di farsi assistere dal
difensore di fiducia», che di per sé presuppone la (possibile) non conoscenza
di tale facoltà.
A ben vedere, la nullità, nella ipotesi qui considerata, non discende
direttamente dal mancato avvertimento di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc.
pen. ma dalla presunta non conoscenza da parte dell’indagato della facoltà di
farsi assistere da un difensore, alla quale l’avvertimento è preordinato.
Sicché se per avventura l’indagato comunicasse ai pubblici ufficiali operanti
la sua intenzione di avvisare il difensore dell’atto urgente che si sta per
compiere nessuna nullità deriverebbe da un mancato previo avviso di tale
facoltà da parte della polizia giudiziaria.
In altri termini, per potere eccepire una nullità occorre evidentemente avere
contezza del vizio; e quando la legge prescrive che si dia avviso di una
qualche facoltà prevede ciò proprio perché si presume che il soggetto
destinatario di esso possa ignorarla.
Quindi, conclusivamente, stando a un profilo strettamente logico, nella
fattispecie qui considerata l’indagato non “assisteva” all’atto nullo. Non vi
assisteva perché, secondo una valutazione legale, non era a conoscenza della
facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, essendo irrilevanti
conoscenze accidentali di ciò che la legge consentiva (v. per analoghe
considerazioni, tra le altre, Sez. 3, n. 33517 del 12/07/2005, Rubino, n.m. sul
punto).
Egli non poteva dunque eccepire la nullità ex art. 114 disp. att. cod. proc.
pen. né prima del compimento delle operazioni di alcooltest né, per le stesse
ragioni, immediatamente dopo.
5.2. In genere, poi, per “parte” sulla quale grava l’onere di
eccepire una qualsiasi nullità deve intendersi solo il difensore (o il pubblico
ministero), e non l’indagato di persona (né altra parte privata), che è
soggetto che non ha, o potrebbe solo accidentalmente avere, conoscenze
tecnico-processuali idonee ad apprezzare una violazione della legge
processuale, come messo bene in luce anche dalla giurisprudenza costituzionale
(v. in particolare sentenze nn. 120 del 2002 e 162 del 1975, relative proprio a
censurati casi di non deducibilità di nullità conseguente alla mancata
attivazione dell’imputato di persona). Nella stessa linea appare indirizzarsi
la sentenza Sez U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, da cui è dato desumere che
una componente essenziale del concetto di “parte” ha da essere individuata nel
difensore.
Dunque, la previsione dell’art. 182, comma 2, primo periodo, cod. proc. pen.,
secondo cui, quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere
eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente
dopo, non può, in alcuna ipotesi, essere riferita all’indagato o imputato, per
postulato non a conoscenza delle regole del diritto, e in particolare dei casi
in cui la legge collega a un determinato atto o al suo mancato compimento una
qualche nullità.
L’ordinamento processuale si fonda infatti sulla necessaria assistenza di un
difensore nel corso del procedimento, e privilegia la difesa tecnica rispetto
all’autodifesa, la quale non è mai consentita in via esclusiva, ma solo in
forme che si affiancano all’imprescindibile apporto di un esperto di diritto
abilitato alla professione legale (v. in questi termini, sia pure con
riferimento ad altro caso di nullità a “regime intermedio”, Sez. 6, n. 3927 del
13/12/2001, Eddif, Rv. 220996).
È appena il caso di rilevare che la disposizione dell’art. 182, comma 2, cod.
proc. pen. è calco di quella espressa, con minime varianti formali, dall’art.
471 cod. proc. pen. 1930, concernente la ed. sanatoria delle nullità
verificatesi nel dibattimento e, quindi, con la necessaria presenza del
difensore. Essa è stata dal legislatore del 1988 trasferita nell’attuale sede
soltanto per estendere all’intero arco del procedimento tale “sanatoria” (più
propriamente riqualificata come causa di non deducibilità), e non certo per
onerare direttamente l’indagato di improprie iniziative processuali di
carattere tecnico (v. Relazione al Progetto preliminare, p. 58). Un esplicito
riferimento al solo difensore (oltre che al pubblico ministero) quale soggetto
onerato dell’eccezione di una nullità era del resto contenuto nell’analoga
previsione dell’art. 138 del codice del 1913.
Quanto esposto non implica, evidentemente, che l’indagato o imputato non sia
personalmente abilitato a rappresentare fatti dai quali possa emergere un
qualche profilo di irregolarità del processo, ma solo che egli non sia
destinatario di un onere di “eccezione di nullità” dal mancato assolvimento del
quale possano derivare preclusioni o decadenze.
5.3. Non sono quindi condivisibili le affermazioni
giurisprudenziali secondo cui la nullità conseguente all’omesso avviso ex art.
114 disp. att. cod. proc. pen. sarebbe “sanata” {rectius, non più deducibile)
se non dedotta dall’interessato all’accertamento prima ovvero immediatamente
dopo il compimento dell’atto «non ricorrendo facoltà processuali comportanti
cognizioni tecniche professionali proprie del difensore» (così Sez. 4, n. 36009
del 04/06/2013, Martelli [nominativo non indicato in CED], Rv. 255989; e nello
stesso senso, Sez. 4, n. 1399 del 11/03/2014, Pittiani, non specificamente
massimata sul punto); le quali, da un lato, fanno dipendere la esigibilità
dell’assolvimento di un onere dell’indagato di sollevare di persona eccezioni
di natura processuale da un impalpabile criterio discretivo circa la
complessità-semplicità delle cognizioni tecniche implicate, e, dall’altro, non
danno alcuna contezza di come una tale deduzione potrebbe essere mai esercitata
da un soggetto che non abbia “assistito” all’atto nullo, proprio in ragione di
un mancato avviso che la legge impone che al medesimo sia dato sul presupposto,
appunto, che l’interessato può ignorare la facoltà implicata.
6. Conclusivamente, deve escludersi che una qualsiasi nullità
debba essere personalmente eccepita, a pena di decadenza, dal soggetto indagato
o imputato, non solo nell’immediatezza dell’atto nullo ma anche
successivamente, poiché tale soggetto non ha, o si presume per postulato legale
che non abbia, le conoscenze tecniche indispensabili per apprezzare che l’atto
o il mancato atto sia non rispettoso delle regole processuali, e per di più che
egli debba attivarsi per eccepire ciò, entro certi termini, a pena di
decadenza.
7. È il caso peraltro di chiarire, in presenza del quadro
giurisprudenziale variegato di cui ha dato conto l’ordinanza di rimessione, che
nella fattispecie in esame – o in qualunque altra ad essa assimilabile che
dipenda dalla mancata osservanza dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. (come
in materia di perquisizioni o sequestri urgenti) – una volta escluso che possa
trovare applicazione il limite della deducibilità della nullità di cui all’art.
182, comma 2, primo periodo, cod. proc. pen., non vi è base normativa per
ancorare il limite di tempestività della deduzione di nullità al momento
immediatamente successivo alla nomina del difensore, attraverso memorie (come
ritenuto nel caso di specie dal Tribunale; v. inoltre, in questo senso, da
ultimo, Sez. 4, 04/07/2013, Rrotani, Rv. 256213; Sez. 4, n. 44840 del
11/10/2012, Tedeschi, Rv. 254959; oltre alle già citate sentenze Sez. 4 n. 36009,
Martelli, e n. 13999, Pittiani), o a quello della scadenza del termine di
cinque giorni dal deposito dell’atto di indagine ex art. 366 cod. proc. pen.
(tra le altre, Sez. 3, n. 14873 del 28/03/2012, Rispo, Rv. 252397; Sez. 2, n.
19100 del 12/04/2011, Syll, Rv. 250191; Sez. 2, n. 13392 del 23/03/2011, Mbaye,
Rv. 250046), o anche a quello del compimento del primo atto successivo del
procedimento (v. Sez. 4, n. 45622 del 04/11/2209, Maci, Rv. 245797; Sez. 4, n.
45621 del 04/11/2009, Moretti, Rv. 245462).
Infatti, trovando applicazione il disposto dell’art. 182, comma 2, secondo
periodo, cod. proc. pen., l’eccezione di nullità può essere tempestivamente
proposta entro il limite temporale della deliberazione della sentenza di primo
grado, a norma dell’art. 180 cod. proc. pen.
8. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “La
nullità conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da
sottoporre all’esame alcoolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un
difensore di fiducia, in violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen.,
può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt.
180 e 182, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen., fino al momento della
deliberazione della sentenza di primo grado”.
9. Nel caso di specie il difensore, che non ha ricevuto alcun
avviso di deposito dell’atto con il quale erano state seguite le operazioni di
alcooltest, ha eccepito la nullità già con la memoria depositata poco dopo la
nomina e con altra successiva, e comunque con l’atto di opposizione al decreto
penale, atto quest’ultimo che equivale alla sentenza di primo grado, cui si
riferisce come termine ultimo l’art. 180 cod. proc. pen., richiamato, come
detto, dall’art. 182, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen.
Ne discende che l’eccezione è stata tempestivamente dedotta.
10. Il ricorso proposto dal Pubblico ministero va pertanto
rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 29/01/2015