Cassazione
Penale, sentenza 9 dicembre 2014, n. 51096
Fatto
1. Il
difensore di M.G. propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa
dalla Corte d’Appello di Catania in data 3 aprile 2013, con la quale è stata
confermata la decisione di condanna adottata dal Tribunale di Catania, in data
9 novembre 2010 e avverso l’ordinanza, con la quale è stata rigettata la
richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Il Tribunale aveva
dichiarato M. responsabile del reato di diffamazione a mezzo stampa, ai sensi
degli articoli 595 codice penale e 13 della legge n. 47 del 1948 poiché, in
qualità di commissario del Corpo della Polizia Municipale Palermo, in
un’intervista pubblicata sul quotidiano “La Repubblica”, con riferimento a
presunte irregolarità nella gestione delle sanzioni amministrative contestate
agli automobilisti palermitani, riferiva “non siamo in presenza di errori
casuali, sono errori voluti dall’alto, è ordinata dall’alto…”. Con ciò
intendendo dire che i vertici del corpo della Polizia Municipale erano
responsabili di tali presunte gravi irregolarità e con ciò offendendo l’onore
di P.M., Comandante del corpo della Polizia Municipale di Palermo e di L.M.C.,
responsabile del servizio di verbalizzazione del medesimo corpo di Polizia Municipale.
L’imputato veniva condannato, altresì, al risarcimento dei danni in favore
delle parti civili costituite, liquidato in via equitativa in euro 10.000, a
favore dei comandante, ed in euro 5000, in favore della responsabile del
servizio.
2.
Avverso la sentenza proponeva appello l’imputato, rilevando che il significato
delle dichiarazioni rilasciate era ben diverso, essendosi limitato a registrare
l’anomalia rappresentata dal numero molto elevato di ricorsi accolti, a causa
del ritardo nell’istruttoria della pratica. Conseguentemente, le dichiarazioni
rientravano nel diritto di critica sindacale. Chiedeva la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale e, in via gradata, censurava il trattamento
sanzionatorio.
3. La
Corte d’Appello riteneva infondati tutti i motivi, confermando la sentenza
emessa dal Tribunale.
4.
Avverso la decisione di secondo grado propone ricorso per cassazione il
difensore di M. G., lamentando:
– violazione
di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del diritto
di critica sindacale;
– vizio
di motivazione relativamente all’ordinanza di rigetto della richiesta di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale;
– violazione
di legge in relazione agli articoli 62 bis, 69 codice penale e 13 della legge
n. 47 del 1948, in ordine al rigetto del riconoscimento della prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche;
– violazione
di legge in ordine alla razionalità dei criteri di liquidazione del danno
civile.
Diritto
La
sentenza impugnata merita censura.
1. La
Corte d’Appello dopo aver operato una condivisibile premessa sui presupposti
del diritto di critica, ne ha ritenuto insussistenti i presupposti poiché,
nonostante la verità della notizia, rappresentata dall’oggettiva presenza di
ritardi anomali e reiterati nella trasmissione dei ricorsi, ha sostenuto che
l’imputato avesse travalicato i limiti, distorcendo la realtà, attribuendo la
causa dei disservizio al comportamento volutamente omissivo delle due parti
civili, rappresentate dai vertici della Polizia Municipale di Palermo. Al
contrario, continua la Corte territoriale, risulta documentalmente che le parti
civili avevano reiteratamente segnalato al Direttore Generale, al Provveditore,
all’Economo, al Ragioniere Generale, al Sindaco e al relativo Assessorato i
disservizi, rappresentati dalla mancata riscossione delle somme, con
conseguente grave pregiudizio erariale. Si apprende che della vicenda si era
occupata anche la Corte dei Conti, avviando un’indagine. Era anche stato
costituito un gruppo di lavoro, nominato dal Sindaco, al fine di risolvere la
questione e tale nucleo era coordinato dalla persona offesa, L.M.C..
2.
Sulla base di tali elementi la Corte territoriale ha ritenuto dolosamente
scorretto il comportamento del dichiarante, il quale avrebbe prospettato, nell’intervista
giornalistica, un comportamento inerte o doloso dei vertici a fronte, invece,
di un impegno specifico per la risoluzione dei problemi, concretizzatosi nella
costituzione di un nucleo ad hoc.
3. Con
il primo motivo di ricorso la difesa censura la ritenuta insussistenza del
diritto di critica sindacale, come emerge dal contenuto dell’intervista
rilasciata dall’imputato, quale commissario della Polizia Municipale, ma
soprattutto, nella qualità di rappresentante sindacale. Nell’intervista si dava
atto dell’abnorme numero di ricorsi accolti, rispetto alle contravvenzioni
elevate e dell’assenza di un’attribuzione nominativa di tale responsabilità,
risolvendosi il contenuto dell’intervista in una denunzia di disorganizzazione.
Conseguentemente, l’accusa rivolta ai vertici politici e amministrativi
dell’organizzazione non costituisce diffamazione, ma un doveroso intervento
nella veste di pubblico impiegato e di delegato sindacale. Secondo la difesa,
sussistono tutti gli elementi del diritto di critica sindacale e di cronaca: in
particolare, la veridicità della notizia relativa al numero elevatissimo di
contravvenzioni per le quali è intervenuta decadenza, la continenza
dell’espressione e la rilevanza della notizia.
4. Con
il secondo motivo censura l’ordinanza di rigetto della richiesta di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, relativa all’acquisizione di
documenti ed escussione di testi.
5. Con
il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento della prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche, rispetto all’aggravante, operato senza tenere
conto del valore della pubblica denunzia della disfunzione, l’assenza di
riferimenti personali e la rilevanza dell’attività sindacale svolta.
6. Il
primo motivo è fondato. Il reato di diffamazione consiste nell’offesa alla
reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel
caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una
o più persone appartenenti ad una categoria, anche limitata, se le persone cui
le frasi si riferiscono non sono individuabili (Sez. 5, Sentenza n. 10307 del
18/10/1993 Rv. 195555).
7. Nel
caso di specie il labile riferimento (“errori voluti dall’alto … è ordinata
dall’alto”) consente di individuare categorie eterogenee di presunti responsabili,
peraltro corrispondenti, in parte, ai destinatari delle segnalazioni inviate
dalle parti civili, e cioè oltre ai vertici della Polizia Municipale, anche il
Sindaco, i referenti dell’Assessorato competente, l’Economo, il Direttore
Generale, il Ragioniere, il Provveditore, oltre a tutti coloro che, pur non
rivestendo cariche apicali (come in effetti la stessa L.), avrebbero potuto
ragionevolmente identificarsi con coloro che “dall’altro” gestiscono e
amministrano le procedure di istruzione o riscossione delle sanzioni
amministrative conseguenti alle violazioni stradali dei Comune di Palermo.
8. La
giurisprudenza sul punto è rigorosa, richiedendo che l’individuazione dei
soggetto passivo dei reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di
indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e
circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto,
deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa
prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui
è inserita (Sez. 5, sentenza n. 2135 del 07/12/1999 Rv. 215476; massime
precedenti conformi: N. 6507 del 1978 Rv. 139108, N. 8120 del 1992 Rv. 191312,
N. 10307 del 1993 Rv. 195555, N. 18249 del 2008 Rv. 239831). Nei caso di specie
risulta documentalmente e non è contestato che il ricorrente non abbia
menzionato nell’intervista giornalistica il Comandante dei corpo della Polizia
Municipale di Palermo e il responsabile dei servizio di verbalizzazione del
medesimo corpo di Polizia Municipale, tanto meno ha individuato un qualche
politico o funzionario comunale, limitandosi a rilevare che l’elemento anomalo,
costituito dal numero dei ricorsi accolti per ritardi nella procedura di
notifica della contestazione o per difetto di controdeduzioni, pari a circa il
70%, non poteva essere casuale, facendo da ciò discendere che si trattava di
errori “voluti dall’alto”. L’accoglimento del 70% dei ricorsi relativi alle
sanzioni amministrative rappresentava, come riconosciuto anche dal giudice di
secondo grado, un dato oggettivamente abnorme e non contestato dalle persone
offese, che non poteva essere attribuito al caso; pertanto, il ricorrente ne
individuava la ragione nell’insipienza di coloro che avevano la responsabilità
politica e amministrativa dei servizi comunali e che, evidentemente, per lungo
tempo non avevano adottato gli opportuni accorgimenti organizzativi. La censura
contenuta nell’articolo in oggetto appare, sotto il profilo dell’individuazione
dei responsabili delle disfunzioni, assolutamente generica lontana dai
presupposti di “affidabile certezza” richiesti dalla giurisprudenza, in quanto
priva di indicazione nominativa, sia riguardo ai singoli responsabili, sia agli
enti o alle strutture specificamente preposte, per il tramite dei rispettivi
funzionari, dirigenti o politici, all’istruzione e definizione delle pratiche
in oggetto.
9.
Sulla base di tali considerazioni la decisione impugnata va annullata per
insussistenza del fatto.
10.
Tale statuizione risulta assorbente rispetto ad ogni altra questione
prospettata dal difensore del M., con conseguente mancata adozione di
provvedimenti riguardo alle spese della costituita parte civile.
P.Q.M.
Annulla
senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.