CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 giugno 2014, n. 14103
Lavoro
subordinato - Dipendente INPS - Licenziamento per giusta causa -
Abusivo esercizio della professione - Infedeltà del lavoratore
1.
Con sentenza del 24.3.2009, la Corte d’appello di Genova ha
confermato la sentenza 24.10.2006 del tribunale di La Spezia, che
aveva rigettato la domanda con la quale B.W. aveva impugnato il
licenziamento disciplinare irrogatogli dall’INPS, suo datore di
lavoro.
2.
In particolare, dagli atti risulta che nei confronti del lavoratore
- già trasferito cautelativamente ad altra sede lavorativa nel
maggio 2000 a seguito di indagine penale nei suoi confronti, e già
destinatario di lettera dell’INPS del 31.7.2001 di messa in mora
in relazione ad un asserito danno di oltre £. 4 miliardi per 66
trattamenti pensionistici indebitamente liquidati - era stato
richiesto dalla Procura della Repubblica di La Spezia in data
28.5.2002 il rinvio a giudizio per i reati di corruzione aggravata,
truffa aggravata, falsità ideologica e materiale in atto pubblico,
abusivo esercizio di una professione ed usura, in relazione a fatti
commessi nell’attività di servizio; il 19.9.2002, l’INPS aveva
levato contestazione disciplinare per i detti fatti, ritenuti
sanzionabili con il licenziamento in tronco; il 29.10.2003 il
lavoratore subiva sospensione cautelare dal servizio in relazione al
rinvio a giudizio; il procedimento disciplinare, immediatamente
sospeso per la pendenza del processo penale, era stato quindi
riattivato parzialmente dopo che il tribunale di La Spezia,
disponendo il rinvio al giudizio del lavoratore per vari dei reati
ascritti, con sentenza del GUP lo assolveva dal reato di usura e di
esercizio abusivo della professione; in particolare, la ripresa del
procedimento disciplinare veniva fatta in data 14.11.2003
limitatamente al lavoro in nero svolto dal dipendente INPS nei
confronti di privato consulente del lavoro, contestandosi
l’infedeltà del lavoratore anche sulla base dell’accertamento
del ricevimento di somme di denaro da terzi contenuto nella sentenza
penale che pur lo aveva prosciolto per i titoli di reato anzidetti;
il 19.2.2004 il dipendente veniva licenziato per giusta causa.
3.
La corte territoriale ha ritenuto tempestiva la contestazione
disciplinare, rituale l’iter procedimentale, legittima la ripresa
del procedimento, proporzionata la sanzione.
4.
Avverso tale sentenza propone ricorso il lavoratore per quattro
motivi. L’INPS è rimasto intimato, limitandosi a delegare il
difensore per l’attività di udienza.
5.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, nella
parte in cui ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare
del 19.9.2002, trascurando che già con comunicazione 26.2.2000 il
lavoratore era stato trasferito ad altra sede in correlazione con
vicende dell’inchiesta penale che lo interessava e con quella
amministrativa per la revoca delle pratiche pensionistiche da lui
lavorate, e che con nota di messa in mora 31.7.2001 era stato
quantificato il danno all’istituto derivante da pratiche
pensionistiche false ascritte al lavoratore, sicché sin da tali
momenti il datore non avrebbe potuto che esser già a conoscenza dei
fata disciplinarmente rilevanti e, correlativamente, la
contestazione disciplinare sarebbe dovuta avvenire nei venti giorni
successivi, ai sensi dell’art. 28 co. 8 c.c.n.1. 6.7.1995
(applicabile ratione tempons, ai sensi della disciplina transitoria
dettata dall’art. 19 c.c.n.l. 9.10.2003).
6.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 7 Stat. Lav. e 27, co. 2, e 28, co. 8, del
c.c.n.l. 6.7.1995, per avere la sentenza ritenuto tempestiva la
contestazione disciplinare, escludendo la possibilità per il datore
di lavoro di effettuarla precedentemente in ragione del segreto
istruttorio sui medesimi fatti derivante dalla pendenza di
procedimento penale. Il ricorrente formula il seguente quesito di
diritto: "se il datore di lavoro che abbia conoscenza di fatti
di rilievo disciplinare fornanti oggetto di indagine penale ovvero
connessi con fatti oggetto di indagine preliminare sia esentato
dall'obbligo di tempestiva contestatone dell’illecito disciplinare
al dipendente, nel rispetto dei tempi e delle modalità di procedura
imposte dall'art. 27 co. 2 c.c.n.l 6.7.1995, e ciò al fine di
salvaguardare il segreto istruttorio.
7.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 7 Stat. Lav. e 28, co. 8, del c.c.n.l.
6.7.1995, nonché omessa insufficiente o contraddittoria motivazione
della sentenza, in relazione alla ritenuta irrilevanza della
pregiudizialità tra I fatti oggetto del procedimento penale
pendente e quelli del procedimento disciplinare, laddove secondo il
ricorrente la connessione di relativi fatti è rilevante, ed è tale
da impedire la conclusione del procedimento disciplinare sulle
questioni connesse con quelle ancora oggetto del procedimento
penale. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "se
il datore di lavoro che procede disciplinarmente nei confronti del
dipendente per un fatto di rilievo disciplinare connesso con altri
formanti oggetto di procedimento penale sia tenuto, ai sensi
dell'art. 28, co. 8, c.c.n.l 6.6.1995, a sospendere il procedimento
disciplinare medesimo soltanto nell’ipotesi in cui la connessione
tra i fatti sia caratterizzata dai presupposti e dal vincolo della
pregiudizialità ovvero se ogni ipotesi di connessione, anche
probatoria, tra i medesimi fatti imponga al datore di lavoro di
provvedere alla sospensione del procedimento disciplinare".
8.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta omessa o insufficiente
motivazione circa un atto decisivo del giudizio, inerente la
contestata violazione del principio di immutabilità della
contestazione disciplinare, per avere la sentenza trascurato che in
sede di riapertura del procedimento disciplinare già sospeso erano
stati indicati fatti ulteriori rispetto a quelli già oggetto della
contestazione, inerenti alcune dazioni di denaro al ricorrente, e si
erano posti tali fatti a base non più dell’originario addebito di
corruzione, bensì di quello diverso relativo alla violazione del
principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego.
9.
Il primo motivo di ricorso riguarda la tempestività della
contestazione disciplinare ed è infondato.
10.
L’accertamento di un danno subito dal datore non implica
necessariamente l’accertamento sul contenuto della responsabilità
in tutti i suoi elementi e sul grado di responsabilità e può
richiedere accertamenti ulteriori in relazione alla complessità dei
fatti: solo ove siano accertati adeguatamente tutti gli anzidetti
profili, sorge l’obbligo della contestazione disciplinare,
presupponendo questa l’accertamento dell’illecito disciplinare
in tutti i suoi elementi costitutivi.
11.
Nella specie, la sentenza di merito ha correttamente rilevato che il
trasferimento del lavoratore era solo misura cautelare dettata dalla
necessità di evitare la presenza del lavoratore nel luogo oggetto
di indagini amministrative circa le irregolarità compiute e
probabilmente ascrivibili al lavoratore trasferito; la sentenza ha
del pari rilevato che la messa in mora è pure atto cautelare con il
quale l’ente ha inteso premunirsi contro gli effetti estintivi
della prescrizione in ordine a suoi possibili crediti, il cui
ammontare non era definito completamente, essendo in coso l’indagine
penale; infine, la sentenza ha anche preso atto che l’indagine
penale era notevolmente complessa, per la mole di documenti da
esaminare e per la necessità di verificare i presupposti di
numerosi trattamenti pensionistici erogati con i soggetti figuranti
come datori di lavoro in diversi periodi, e che solo all’esito
dell’indagine penale i rilievi e le irregolarità avevano preso
corpo e consistenza ed erano emersi i nominativi dei soggetti
responsabili degli illeciti.
12.
La valutazione della corte territoriale risulta adeguata e corretta,
e rispetta i principi affermati da questa Corte in ordine alla
tempestività della contestazione disciplinare. Si è infatti
affermato (Sez. L, Sentenza n. 20719 del 10/09/2013; Sez. L,
Sentenza n. 15649 del 01/07/2010; Sez. L, Sentenza n. 18711 del
06/09/2007; Sez. L, Sentenza n. 14113 del 20/06/2006) che, in tema
di procedimento disciplinare, il principio secondo il quale
l'addebito deve essere contestato immediatamente va inteso in
un'accezione relativa, compatibile con l'intervallo di tempo
necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle
infrazioni commesse dal prestatore. La valutazione dell'immediatezza
della contestazione è rimessa alla valutazione del giudice di
merito (il cui giudizio, insindacabile in sede di legittimità ove
sia immune da vizi logici e sia adeguatamente motivato), il quale è
libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che
ritenga più attendibili ed idonee.
13.
Il secondo motivo di ricorso riguarda la rilevanza del segreto
istruttorio (su fatti valutabili sia a fini penali che
disciplinari), al fine di legittimare il datore di lavoro a
procrastinare la contestazione disciplinare all’esito del venir
meno del segreto.
14.
La doglianza formulata al riguardo dal ricorrente non ha pregio. Da
un lato, questa Corte ha più volte affermato (Sez. L, Sentenza n.
3600 del 16/02/2010; Sez. L, Sentenza n. 4502 del 21/02/2008) che,
ai fini dell'accertamento della sussistenza del requisito della
tempestività del licenziamento, in caso di intervenuta sospensione
cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la
definitiva contestazione disciplinare ed il licenziamento per i
relativi fatti ben possono essere differiti in relazione alla
pendenza del procedimento penale stesso; si è precisato inoltre
(Sez. L, Sentenza n. 3697 del 17/02/2010; Sez. L, Sentenza a 3697
del 17/02/2010) che, in tema di procedimento disciplinare a carico
di pubblici dipendenti, per fatti penalmente rilevanti, non è
ipotizzabile la violazione del principio di immediatezza della
contestazione e dell'adozione del provvedimento disciplinare,
qualora la P.A., uniformandosi alle disposizioni della
contrattazione collettiva in caso di emergenza di fatti-reato, abbia
atteso l'esito delle indagini e del processo, destinando il
dipendente ad altre mansioni, e in seguito, avuta notizia, in via
ufficiale, del rinvio a giudizio, abbia provveduto alla sospensione
cautelare e, all’esito del processo penale, a nuova valutazione
dei fatti ascritti al lavoratore, disponendone il licenziamento.
15.
Dall’altro lato, si è pure specificamente evidenziata l’esigenza
del rispetto del segreto istruttorio, affermando (Sez. 2, Sentenza
n. 23477 del 05/11/2009), pur nel diverso ambito delle sanzioni
amministrative, che, qualora gli elementi di prova di un illecito
amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, il
termine stabilito dalla legge per la notificazione della
contestazione decorre dalla ricezione degli atti trasmessi
dall'autorità giudiziaria all'autorità amministrativa, posto che,
qualora fosse consentito agli agenti accertatoti di contestare
immediatamente all'indagato la violazione amministrativa, l'autorità
giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o
meno la "vis attractiva" della fattispecie penale e, nel
contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall'art.
329 cod. proc. pen..
16.
Può dunque affermarsi che, in tema di procedimento disciplinare, ai
fini dell'accertamento della sussistenza del requisito della
tempestività della contestazione, in caso di intervenuta
sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento
penale, la contestazione disciplinare per i relativi fatti ben può
essere differita dal datore di lavoro in relazione alla pendenza del
procedimento penale stesso, anche in ragione delle esigenze di
tutela del segreto istruttorio.
17.
Il terzo motivo riguarda la possibilità di riprendere il
procedimento disciplinare per fatti dei quali la rilevanza penale
sia esclusa, ove i medesimi fatti siano connessi ad altri ancora
oggetto di procedimento penale.
18.
La sentenza ha correttamente motivato la decisione sul punto,
rilevando che dalla sentenza di assoluzione risulta che le somme
percepite dal dipendente INPS costituivano il compenso per attività
lavorativa svolta in nero e non il profitto del reato di esercizio
abusivo della professione, sicché all’esito di tale sentenza non
vi era più connessione con i fatti per i quali vi era stato rinvio
a giudizio, che erano diversi e legati da mera contemporaneità e
non da connessione con quelli oggetti del procedimento disciplinare
riattivato. Una volta venuta meno la connessione, l’INPS non era
più tenuto ad attendere l’esito del processo penale per gli altri
reati contestati al dipendente e ben poteva riattivare il
procedimento disciplinare per fatti autonomi per i quali la
responsabilità penale del dipendente era stata ormai definita.
19.
In secondo luogo, va poi detto che la legge non condiziona più la
sospensione del procedimento disciplinare alla durata ilei processo
penale, limitando le eventuali garanzie del lavoratore al più alla
sola sospensione cautelare ed alla sua durata, affermandosi invece
una autonomia del procedimento disciplinare che legittima il datore
di lavoro (pur non imponendogli tale soluzione, come sopra
evidenziato) a svolgere il procedimento disciplinare senza
necessariamente attendere l’esito di quello penale, tanto più se
i fatti oggetto dei due procedimenti sono diversi, come nella
specie. Si è infatti affermato, pur con riferimento al lavoro
pubblico c.d. "privatizzato" dei dirigenti (Sez. L,
Sentenza n. 9458 del 21/04/2009) che, essendo divenuto inapplicabile
l’art. 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (che stabiliva il
divieto di avvio di un procedimento disciplinare in pendenza di
quello penale) a seguito della privatizzazione del rapporto di
lavoro, a!l'amministrazione è data facoltà in ogni tempo di
scegliere se avviare il procedimento disciplinare o attendere
l'esito del giudizio penale.
20.
In tale contesto, l’obbligo di sospensione del procedimento
disciplinare in pendenza del procedimento penale può si derivare da
previsione contrattuale, ma -ove questa preveda la sospensione in
ragione dell’identità dei fatti oggetto dei due procedimenti- la
relativa previsione non può estendersi fino al punto da
ricomprendere anche fatti diversi oggetto di procedimento penale,
pur connessi sul piano meramente probatorio e non legati a quelli
oggetto del procedimento disciplinare da vincolo di pregiudizialità.
21.
Può dunque affermarsi che il datore di lavoro può riattivare il
procedimento disciplinare per fatti dei quali la rilevanza penale
sia esclusa, anche ove i medesimi fatti siano connessi ad altri
ancora oggetto di procedimento penale, non legati ai primi da
vincolo di pregiudizialità.
22.
Il quarto motivo riguarda la immutabilità della contestazione
disciplinare ed è infondato: la sentenza impugnata ha, infatti,
correttamente motivato in ordine alla corrispondenza dei fatti posti
a base della sanzione con quelli già oggetto di contestazione
disciplinare. In particolare, lo svolgimento di attività lavorativa
di consulenza del lavoro e la ricezione di somme di denaro
nell’ambito di tale attività, nella loro dimensione fattuale e
fenomenica, erano state già contestate al lavoratore nella
contestazione del 2002, restando irrilevante che solo con la
riattivazione del procedimento disciplinare all’esito della
sentenza del GUP del tribunale, i medesimi fatti siano stati
considerati per l’addebito di diversa (e, peraltro, minore)
violazione, essendo questa mera qualificazione giuridica diversa
(non più esercizio abusivo della professione, ma lavoro illegittimo
alle dipendenze di terzi) di fatti immutati nella loro fenomenicità
e rispetto ai quali il lavoratore era già in grado di
controdedurre.
23.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite,
che si liquidano in € 100 per spese ed € 5.000 per competenze,
oltre accessori come per legge.
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