CORTE
DI CASSAZIONE - SEZIONE QUINTA PENALE
SENTENZA
25774/2014
-OMISSIS-
Svolgimento
del processo
1.
Con la sentenza resa in data 19 aprile 2012, confermata dalla Corte
d'appello di Reggio Calabria il 16 maggio 2013, il Tribunale di Palmi
condannava S.D. alla pena di giustizia per il delitto di sostituzione
di persona, poichè al fine di procurarsi un vantaggio o comunque di
recare danno a C.N., si attribuiva la sua identità, pubblicando sul
sito www.badoo.com la sua immagine, associata al nominativo "[...]",
utilizzando il profilo creato e così inducendo in errore coloro che
comunicavano con lui attraverso la "chat".
2.
Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato, con
atto del proprio difensore, avv. Giuseppe Marafioti, affidato a tre
motivi.
2.1
Con il primo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., lett.
E, in relazione all'art. 494 cod. pen., con riferimento all'elemento
soggettivo del reato richiesto dalla norma penale nella forma del
dolo specifico, caratterizzato dal fine di recare a se o ad altri un
vantaggio o di recare ad altri un danno. A giudizio del ricorrente
tale forma di dolo deve escludersi nella mera pubblicazione di un
profilo su Internet, non del tutto riferibile alla persona offesa,
della quale viene solo utilizzata una fotografia e non anche il nome.
2.2
Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606, lett. E, in
relazione all'art. 192 cod. proc. pen., con riferimento alla
valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona
offesa, la quale riferisce circostanze generiche ed in parte
incongruenti, che dovevano condurre ad escludere la sua
attendibilità, considerata altresì la costituzione di parte civile.
3.
Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606, lett. D ed E,
in relazione all'art. 495 c.p.p., comma 2, con riferimento alla
mancata escussione, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., della
teste B., alla quale la parte civile aveva fatto riferimento come la
persona che lo avrebbe informato dell'esistenza del falso profilo su
internet. Il ricorrente censura la valutazione di non necessarietà
della prova richiesta, come non adeguatamente motivata e violativa
del diritto alla controprova.
4.
Con memoria del 9 aprile 2013, la parte civile C.N. chiede
dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, poichè nello stesso sono
denunciati esclusivamente vizi di merito. In subordine se ne chiede
il rigetto, per infondatezza delle doglianze.
4.1
Con riferimento al primo motivo, si sottolinea che il dolo è
evidenziato, nella sentenza di primo grado, nel fine di arrecare un
danno all'immagine ed alla dignità della vittima.
4.2
Quanto all'attendibilità della persona offesa, si richiama la
motivazione della sentenza impugnata, che si ritiene congrua ed
immune da illogicità di sorta e pertanto sottratta ad ogni sindacato
di legittimità.
4.3
In ordine, infine, alla mancata assunzione di prova decisiva, si
ribadisce la superfluità dei mezzi istruttori richiesti, atteso che
la responsabilità dell'imputato è stata provata attraverso le
indagini sull'utenza telefonica e sul personal computer del S..
Motivi
della decisione
1. Il
ricorso va rigettato.
1.1
Il primo motivo, riguardante la mancata verificazione del dolo
specifico da parte della Corte territoriale, è inammissibile, poichè
proposto per la prima volta in sede di legittimità, in contrasto con
l'orientamento costante di questa Corte (Sez. 3, n. 21920 del
16/05/2012, Hajmohamed, Rv. 252773) secondo cui la denuncia di
violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce
causa di inammissibilità originaria dell'impugnazione.
Il
parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è
delineato dall'art. 609 c.p.p., comma 1, il quale ribadisce in forma
esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè la
commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso
proposti. Detti motivi - contrassegnati dall'inderogabile
"indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi
di fatto" che sorreggono ogni atto d'impugnazione (art. 581
c.p.p., comma 1, lett. E e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. C) - sono
funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata
ed all'indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche
al ricorso per cassazione.
La
disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con
quella dell'art. 606, comma 3, nella parte in cui prevede la non
deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei
motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la
proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata
in appello, e, come rileva la più recente dottrina, costituisce un
rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di
cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto
intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in
questo caso, infatti, è facilmente diagnosticabile in anticipo un
inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con
riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perchè mai
investito della verifica giurisdizionale.
1.2
La doglianza è comunque anche infondata.
L'art.
494 cod. pen. punisce chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri
un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore,
sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o
attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero
una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Oggetto
della tutela penale è l'interesse riguardante la pubblica fede, in
quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera
essenza di una persona o alla sua indentità o ai suoi attributi
sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la
ristretta cerchia d'un determinato destinatario, il legislatore ha
ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non
soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al
nome.
In
questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto,
di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie
delittuosa.
1.3
Nella specie, il ricorrente ha creato un profilo sul social network
Badoo denominato "[...]", riproducente l'effige della
persona offesa, con una descrizione tutt'altro che lusinghiera (ad
esempio nelle informazioni personali era riportata la dicitura
"Mangio solo cibo spazzatura e bevo birra... quando mi ubriaco
vado su di giri") e con tale falsa identità usufruiva dei
servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di
comunicazione in rete con gli altri iscritti (indotti in errore sulla
sua identità) e di condivisione di contenuti (tra cui la stessa foto
ritraente il C.).
1.4
Il dolo specifico del delitto di cui all'art. 494 cod. pen., consiste
nel fine di procurare a se o ad altri un vantaggio patrimoniale o
non, oppure di recare ad altri un danno (Sez. 5, n. 13296 del
28/01/2013, Marino, Rv. 255344) e sul punto le decisioni di merito
danno conto della sussistenza di entrambi i profili: dei vantaggi
ritraibili dall'attribuzione di una diversa identità, che il
ricorrente utilizzava per poter intrattenere rapporti con altre
persone (essenzialmente ragazze) o per soddisfacimento di una propria
vanità (vantaggio non patrimoniale); della idoneità della condotta
a ledere l'immagine e la dignità del C. (come dimostrato
dall'aggressione verbale dello sconosciuto, che lo accusò di aver
insultato la propria fidanzata, minacciando di denunciarlo nonchè
dalle rimostranze della conoscente, che lo aveva accusato di non
essere una persona seria).
1.3
Con riferimento al fenomeno della comunicazione a mezzo internet,
questa Corte ha recentemente ritenuto sussistere il delitto di
sostituzione di persona nella condotta di colui che crei ed utilizzi
un "account" ed una casella di posta elettronica,
servendosi dei dati anagrafici di un diverso soggetto, inconsapevole,
con il fine di far ricadere su quest'ultimo l'inadempimento delle
obbligazioni conseguenti all'avvenuto acquisto di beni mediante la
partecipazione ad aste in rete (Sez. 3, n. 12479 del 15/12/2011 -
dep. 03/04/2012, Armellini, Rv. 252227), nonchè nella condotta di
chi inserisca nel sito di una "chat line" a tema erotico il
recapito telefonico di altra persona associato ad un "nickname"
di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla
medesima, giacchè in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono
tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo
pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (Sez. 5, n.
18826 del 28/11/2012 - dep. 29/04/2013, Celotti, Rv. 255086).
1.4
Più aderente alla fattispecie oggetto di questo giudizio è però
quella esaminata da una decisione meno recente di questa Sezione
(Sez. 5, n. 46674 del 08/11/2007, Adinolfi, Rv. 238504), della
condotta la condotta di colui che crei ed utilizzi un "account"
di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un
diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet
nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il
fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state
abusivamente spese (nella specie a seguito dell'iniziativa
dell'imputato, la persona offesa si ritrovò a ricevere telefonate da
uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale).
In
questa fattispecie, come in quella, infatti, la descrizione di un
profilo poco lusinghiero, come sopra ricordato, consente di
riconoscere, oltre all'intento di conseguire un vantaggio non
patrimoniale, quello di recare un danno all'altrui reputazione,
intesa come l'immagine di sè presso gli altri.
2. Il
secondo motivo è inammissibile.
2.1
Con riferimento alla doglianza di illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni
della persona offesa, vanno ricordati i principi espressi sul tema da
questa Corte.
Il
Tribunale di Palmi si è adeguato alla consolidata giurisprudenza di
legittimità, secondo la quale le dichiarazioni della persona offesa
possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità
dell'imputato, purchè siano sottoposte ad un attento controllo circa
la loro attendibilità, senza la necessità di applicare le regole
probatorie di cui all'art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, che
richiedono la presenza di riscontri esterni; fermo restando che, nel
caso in cui la persona offesa si sia anche costituita parte civile -
e sia, perciò, portatrice di pretese economiche - il controllo di
attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico
cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può
rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con
altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv.
253214). Detto controllo avviene peraltro nell'ambito di una
valutazione di fatto che non può essere rivalutata in sede di
legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste
contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv.
257241).
2.2
La Corte territoriale ha poi confermato la valutazione del Tribunale
in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni della persona
offesa, definendole "coerenti, costanti nel tempo immuni da
contraddizioni e scevre da malanimo o risentimento" e idonee a
fondare un giudizio di responsabilità dell'imputato, evidenziando
che comunque tale giudizio si fonda su molti altri elementi,
derivanti dall'attività investigativa della Polizia postale, che ha
consentito di associare al profilo del sito Badoo la famiglia
dell'imputato, attraverso l'individuazione dell'indirizzo IP del
computer che aveva creato l'account e, nell'ambito del nucleo
familiare corrispondente all'utenza telefonica, di risalire
all'odierno imputato, grazie all'analisi dell'hard disk del suo
computer portatile. La sentenza di primo grado (la cui motivazione,
trattandosi di c.d. "doppia conforme", ben può integrare,
come è noto, quella della sentenza d'appello; Sez. 1, n. 8868 del
26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007,
Conversa, Rv. 236181) sottolinea l'inconferenza di qualsiasi
questione sull'attendibilità della persona offesa, dal momento che
la circostanza dell'inserimento di un profilo a suo nome emerge
obiettivamente e pacificamente da tutto il compendio probatorio
acquisito in atti.
3. Il
terzo motivo di ricorso, riguardante il diniego di rinnovazione
dell'istruttoria, per mancanza di una adeguata motivazione e
violazione del diritto alla controprova, è infondato.
3.1
In sede di appello l'imputato aveva richiesto l'escussione delle
sorelle B., al fine di verificare l'attendibilità della persona
offesa C., la quale aveva dichiarato di aver appreso dell'esistenza
del falso profilo sul sito www.badoo.com da una delle due: la donna
gli aveva riferito di aver avuto uno spiacevole colloquio in chat con
la persona che si celava dietro la sua immagine. La prova era
considerata dall'istante una prova "nuova", poichè il
nominativo delle B. era emerso solamente nel dibattimento di primo
grado; inoltre era stata chiesta una nuova escussione della persona
offesa, al fine di approfondire la reale verificazione di un profilo
di danno, necessario ai fini della sussistenza del reato.
3.2
Il motivo di doglianza deve ritenersi non accoglibile, costituendo
ius receptum, nell'elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema
Corte, il principio secondo cui la mancata assunzione di una prova
decisiva può costituire motivo di ricorso per cassazione, ai sensi
dell'art. 606 c.p.p., lett. D, solo quando si tratti di prove
sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia di primo grado, che
avrebbero dovuto essere ammesse secondo il disposto dell'art. 603
c.p.p., comma 2; negli altri casi, la decisione istruttoria è
ricorribile, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E, sotto il solo
profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione come
risultante dal testo del provvedimento impugnato e sempre che la
prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della
decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa
conclusione del processo (Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, De Carlo,
Rv. 240995; Sez. 2, n. 44313 del 11/11/2005, Picone, Rv.
232772).
3.3
La prima evenienza deve essere esclusa, poichè la prova "nuova",
che il giudice di appello, in presenza di istanza di parte, è tenuto
ad ammettere, con il solo limite costituito dalle ipotesi di
richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente
superflue o irrilevanti (Sez. 1, n. 39663 del 07/10/2010, Cascarino,
Rv. 248437) è solo quella "sopravvenuta o scoperta dopo il
giudizio di primo grado" e non nel corso di questo, cioè quella
con carattere di novità, rinvenibile laddove essa sopraggiunga
autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività, o quando venga
reperita dopo l'espletamento di un'opera di ricerca, la quale dia i
suoi risultati in un momento posteriore alla decisione (Sez. 3, n.
11530 del 29/01/2013, A.E., Rv. 254991). In proposito il ricorso si
limita a richiamare la deposizione in dibattimento della parte
civile, indicando poi nella rubrica del motivo - impropriamente - la
lettera D dell'art. 606 cod. proc. pen..
3.4
Nel caso di specie deve però escludersi anche la seconda ipotesi.
Proprio
in ragione del carattere eccezionale della rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale in appello, infatti, il mancato
accoglimento della richiesta in tanto può essere censurato in sede
di legittimità, in quanto risulti dimostrata la oggettiva necessità
dell'adempimento in questione e, dunque, l'erroneità di quanto
esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa
la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come
previsto dall'art. 603 cod. proc. pen., comma 1; ne discende che il
ricorrente deve dimostrare l'esistenza, nell'apparato motivazionale
posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste
illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e
concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state
presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come
richiesto, all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in
sede di appello (Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013 - dep. 14/01/2014,
Cozzetto, Rv. 258236).
Il
ricorrente non ha fornito tale dimostrazione, avendo la Corte
d'appello congruamente ed esaustivamente argomentato, sulla base di
una valutazione in fatto non censurabile in sede di legittimità, nel
senso della manifesta superfluità dei temi oggetto della richiesta
di rinnovazione istruttoria formulata dalla difesa, per la
completezza dell'apparato probatorio e le inequivoche ed oggettive
risultanze processuali; tale motivazione non può ritenersi di mero
stile, laddove si consideri la decisività degli accertamenti operati
dalla Polizia postale e la genericità delle richieste istruttorie.
3.5
Per concludere sul punto va ricordato che recentemente si è
osservato che mentre la rinnovazione deve essere specificamente
motivata, occorrendo dare conto dell'uso del potere discrezionale
derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo
stato degli atti, nel caso di rigetto la relativa motivazione può
essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a
base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di
elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo
sulla responsabilità con la conseguente mancanza di necessità di
rinnovare il dibattimento (Sez 5 n. 15320 del 10/12/2009, Pacini, Rv.
246859; Sez. 3, n. 24294 de. 07/04/2010, D. S. B.; Rv. 247872; Sez.
6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741) 4. in conclusione il
ricorso dell'imputato va rigettato, con conseguente condanna dello
stesso al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle
spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in
Euro2000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla
parte civile, liquidate Euro 2000,00, oltre accessori di legge.
Così
deciso in Roma, il 23 aprile 2014.
Depositato
in Cancelleria il 16 giugno 2014
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