N. 04143/2014REG.PROV.COLL.
N. 00985/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 985 del 2014, proposto a’ sensi
degli artt. 31, 116 e 117 cod. proc. amm. da:
Mandolesi Giuseppe & Pierino S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ranieri Felici, e dall’avv. Antonella Felici Bedetti, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’avv. Ilaria Brunelli, via Cassia, 240;
Mandolesi Giuseppe & Pierino S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ranieri Felici, e dall’avv. Antonella Felici Bedetti, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’avv. Ilaria Brunelli, via Cassia, 240;
contro
Provincia
di Ascoli Piceno (AP), in persona del suo Presidente pro tempore,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Carla
Cavaliere, con domicilio eletto in Roma presso la Segreteria della
Sezione, piazza Capo di Ferro 13; Provincia di Fermo (Fm);
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. per le Marche n. 749 dd. 25 ottobre 2013, resa
tra le parti e concernente la declaratoria dell’illegittimità del
silenzio serbato su istanza di riconoscimento del debito fuori
bilancio con riferimento a lavori di sistemazione dell’alveo del
fiume Tenna.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio di Provincia di Ascoli Piceno;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2014 il Cons. Fulvio
Rocco e uditi per l’appellante Mandolesi Giuseppe & Pierino
S.r.l.l’avv. Ranieri Felici e l’avv. Antonella Felici Bedetti, e
per la Provincia di Ascoli Piceno l’avv. Carla Cavaliere;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
1.1.
Con ricorso proposto sub R.G. 409 del 2013 innanzi al T.A.R. per le
Marche a’ sensi degli artt. 116 e 117 cod. proc. amm., la Mandolesi
Giuseppe & Pierino S.r.l. al fine della declaratoria
dell’illegittimità dell’inerzia asseritamente serbata dalla
Provincia di Ascoli Piceno e dalla Provincia di Fermo sulla
richiesta, presentata dalla medesima impresa, rivolta ad ottenere il
riconoscimento, a’ sensi dell’art. 194 del D.L.vo 18 agosto 2000
n. 267, del debito correlativo alla pretesa vantata per la somma di €
303.437,54.- (trecentotremilaquattrocentotrentasette/54), oltre
interessi e rivalutazione, in riferimento a “lavori di somma
urgenza di sistemazione dell’alveo e delle sponde del fiume Tenna
per la tutela del campo pozzi di captazione dell’acqua potabile a
servizio dell’acquedotto del Tennacola”.
1.2.
In tale primo grado di giudizio si è dapprima costituita la
Provincia di Ascoli Piceno, la quale con memoria e documenti ha
eccepito l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso e ne ha
domandato, comunque, la reiezione.
1.3.
Si è – altresì – tardivamente costituita la Provincia di Fermo,
eccependo a sua volta il proprio difetto di legittimazione passiva
dell’ente e concludendo comunque anch’essa per la reiezione del
ricorso.
1.4.
Con sentenza n. 749 dd. 25 ottobre 2013 il giudice adito - previa
reiezione dell’eccezione formulata dalla ricorrente di
inammissibilità della costituzione in giudizio della Provincia di
Fermo, la quale è stata quindi ammessa alla sola difesa orale nella
pubblica udienza- ha dichiarato il ricorso inammissibile, affermando
che “il mancato esercizio del potere di riconoscimento del
debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, primo comma, lett.
e), del testo unico degli enti locali, D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267
(vds. atto introduttivo del giudizio, pag. 20) … non può ritenersi
vincolato né sotto il profilo dell’an,né sul quantum.
A differenza della fattispecie contemplata dalla lettera a) del
medesimo art. 194, che configura quale atto dovuto il riconoscimento
di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, fattispecie
non sussistente in concreto, non essendo stata nemmeno dedotta
l’esistenza di un accertamento giurisdizionale in ordine alla
pretesa vantata, la fattispecie di cui alla lettera e) dell’art.
194 del D.L.vo 267 del 2000, demanda all’amministrazione la
valutazione, a carattere discrezionale, concernente l’opportunità
e la coerenza con l’interesse pubblico del riconoscimento del
debito fuori bilancio. In sede di delibera che disponga il
riconoscimento di debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e
servizi, in violazione degli obblighi di cui all’art. 191, commi 1,
2 e 3, del testo unico n. 267 del 2000, l’ente locale è tenuto ad
esplicitare adeguatamente le ragioni per le quali l’accollo del
debito sia stato ritenuto non in contrasto con l’interesse
pubblico, dovendo, altresì, motivare adeguatamente sulla
riconducibilità dell’acquisizione dei beni e servizi in questione
all’espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza, nonché
sull’utilità e arricchimento per l’ente medesimo. Tali
valutazioni, appartenendo alla sfera della discrezionalità
amministrativa pura, sono incoercibili con l’azione avverso il
silenzio, che non consente una sostituzione delle valutazioni del
giudice a quelle riservate all’amministrazione. Per tale ragione,
non essendo configurabile un obbligo giuridico dell’ente locale di
disporre il riconoscimento del debito fuori bilancio per acquisizioni
di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lettera e), del
D.L.vo 267 del 2000, il ricorso dev’essere dichiarato
inammissibile” (cfr. pag. 4 e ss. della sentenza impugnata).
Lo
stesso giudice ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle
spese e degli onorari di tale primo grado di giudizio,
complessivamente liquidati a favore della Provincia di Ascoli Piceno
nella misura di € 1.500,00.- (millecinquecento/00) a favore della
Provincia di Ascoli Piceno e di € 500,00.- (cinquecento/00) a
favore della Provincia di Fermo, espressamente giustificando tale
ultima statuizione con la costituzione tardiva di tale
amministrazione.
2.1.
Con l’appello in epigrafe la Mandolesi Giuseppe & Pierino
S.r.l. chiede ora la riforma di tale sentenza, rilevando innanzitutto
che secondo l’ordinanza n. 26 dd. 6 febbraio 2001 della corte
Costituzionale, nell’ipotesi di somma urgenza dei lavori è
prevista la regolarizzazione a posteriori, da reputarsi non
mera facoltà dell’amministrazione, ma obbligo della stessa in
presenza dei requisiti sostanziali per l’urgenza anzidetta:
circostanza, quest’ultima, che per certo sussisterebbe nel caso di
specie in dipendenza della stessa documentazione in atti.
L’obbligatorietà
anzidetta discenderebbe inoltre dalla giurisprudenza di questa stessa
Sezione (cfr. sentenza n. 6269 dd. 27 dicembre 2013).
2.2.
Si è costituita in giudizio la sola Provincia di Ascoli Piceno,
chiedendo la reiezione dell’appello.
3.
All’odierna udienza camerale la causa è stata trattenuta per la
decisione.
4.1.
Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto.
4.2.
Come è ben noto, nei giudizi sul silenzio dell’Amministrazione, il
giudice amministrativo non può in linea di massima andare oltre la
declaratoria di illegittimità dell’inerzia e l’ordine di
provvedere; di conseguenza, gli resta in generale precluso il potere
di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere
dal richiedente, sostituendosi all’Amministrazione stessa e
esercitando una giurisdizione di merito di cui egli non è titolare
in tale materia; peraltro, egli può sempre nell’ambito del
giudizio sul silenzio conoscere dell’accoglibilità dell’istanza
nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti
provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati per i quali non ci
sia da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in
diverse soluzioni, fermo restando il limite dell’ impossibilità di
sostituirsi all’Amministrazione; e - ancora -nell’ipotesi in cui
l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto
diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove
l’atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (così, ad es.,
Cons. Stato, Sez. IV, 13 dicembre 2013 n. 5994).
In
tale contesto, pertanto, può dirsi che l’art. 2 della L. 11
febbraio 2000 n. 205, laddove ha introdotto l’art. 21-bis della L.
6 dicembre 1971 n. 1034 in materia di ricorso avverso il silenzio
serbato dall’amministrazione, poi confluito nell’art. 31 cod.
proc. amm., non ha inteso stabilire un rimedio di carattere generale
e - quindi - esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte
dell’amministrazione e sempre ammissibile indipendentemente dalla
sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ma
soltanto un istituto giuridico relativo all’esplicazione di potestà
pubblicistiche correlate alle sole ipotesi di mancato esercizio
dell’attività amministrativa discrezionale (cfr., puntualmente,
Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 n. 1754).
Detto
altrimenti, perché sia consentito il ricorso avverso il silenzio
dell’Amministrazione è essenziale che esso riguardi l’esercizio
di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si
configuri come interesse legittimo, potendo infatti il
silenzio-rifiuto può formarsi esclusivamente in ordine all’inerzia
dell’Amministrazione su una domanda intesa ad ottenere l’adozione
di un provvedimento ad emanazione vincolata ma di contenuto
discrezionale (così Cons. Stato,
Sez. V, 26 settembre 2013 n. 4793).
Chiarito
ciò, ben si evidenzia l’errore di principio in cui è ricaduto il
giudice di primo grado, secondo il quale invece - e come si è visto
innanzi - la circostanza che il potere di riconoscimento del debito
fuori bilancio contemplato dall’art. 194, primo comma, lett. e),
del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000 sia provvedimento non
vincolato sotto il profilo sia dell’an, sia del quantum,
sottrarrebbe l’eventuale silenzio formatosi al riguardo dal rimedio
giurisdizionale proprio del rito del silenzio; e, se è vero che in
sede di delibera che disponga il riconoscimento di debiti fuori
bilancio per acquisizione di beni e servizi, in violazione degli
obblighi di cui all’art. 191, commi 1, 2 e 3, del T.U. approvato
con D.L.vo 267 del 2000, “l’ente locale è tenuto ad
esplicitare adeguatamente le ragioni per le quali l’accollo del
debito sia stato ritenuto non in contrasto con l’interesse
pubblico, dovendo, altresì, motivare adeguatamente sulla
riconducibilità dell’acquisizione dei beni e servizi in questione
all’espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza, nonché
sull’utilità e arricchimento per l’ente medesimo”,
nondimeno “tali valutazioni, appartenendo alla sfera della
discrezionalità amministrativa pura, sono incoercibili con l’azione
avverso il silenzio, che non consente una sostituzione delle
valutazioni del giudice a quelle riservate all’amministrazione …
non essendo configurabile un obbligo giuridico dell’ente locale di
disporre il riconoscimento del debito fuori bilancio” (così la
sentenza impugnata a pag. 4 e ss.).
Secondo
il giudice di primo grado, pertanto, solo nell’ipotesi in cui
l’ordinamento positivo contemplerebbe l’emanazione da parte
dell’amministrazione di un atto vincolato sull’an ovvero
sul quantum l’eventuale silenzio risulterebbe giudizialmente
coercibile: il che - peraltro - non è, posto che – come risulta
dalla giurisprudenza dianzi citata, dalla stessa interpretazione
letterale dell’art. 31 cod. proc. amm. come modificato dall’art.
1, comma 1, lett. g), del D.L.vo 15 novembre 2011 n. 195 discende che
il rimedio medesimo è esperibile, avuto riguardo alla disciplina
contenuta nell’art. 2 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive
modifiche e integrazioni, nonché all’ulteriore disciplina
amministrativa e di fonte regolamentare ivi prevista, “decorsi i
termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli
altri casi previsti dalla legge”, ossia in ogni ipotesi in cui
l’ordinamento contempli - come si è detto innanzi - l’adozione
di un provvedimento ad emanazione vincolata ma di contenuto
discrezionale, e senza che in contrario rilevi che il provvedimento
omesso sia riferibile ad un potere contraddistinto da un più o meno
ampio grado di discrezionalità.
4.3.
Da quanto sopra discende pure che risulta del tutto inconferente per
l’economia di causa la distinzione introdotta dal giudice di primo
grado tra il provvedimento di riconoscimento di debito pretesamente
vincolato di cui al comma 1, lett.a), del D.L.vo 267 del 2000 e
nascente dall’esistenza di “sentenze esecutive” e il
provvedimento discrezionale propriamente riguardante gli obblighi
derivanti dall’ “acquisizione di beni e servizi, in violazione
degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191, nei limiti
degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente,
nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di
competenza”: e ciò in quanto non può per certo essere
sottratta all’organo consiliare, a ciò competente, la disamina
circa l’opportunità di iscrivere le relative poste fuori bilancio,
fermo restando che – come espressamente affermato dalla fonte
legislativa – ciò deve, per l’appunto, avvenire per gli
anzidetti obblighi derivanti dall’avvenuta “acquisizione di
beni e servizi”, nel limite del debito accertato e nella
comprova (e, quindi, con adeguata motivazione) dell’ “utilità”
e dell’avvenuto “arricchimento” dell’ente riferiti
alle proprie competenze funzionali e di servizi.
In
tal senso, pertanto, la disciplina contenuta negli artt. 191 e 194
del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000 impone agli enti locali di
valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in loro favore,
ancorché in violazione formale delle norme di contabilità; e –
come già evidenziato da questa stessa Sezione con sentenza n. 6269
dd. 27 dicembre 2013 – la disciplina medesima presenta ampi tratti
di novità rispetto a quella previgente, contenuta nell’art. 35,
comma 4, del D.L.vo 25 febbraio 1995 n. 77 e che prevedeva
unicamente, in caso di acquisizione di beni e servizi in violazione
degli obblighi di contabilità, che “il rapporto obbligatorio
intercorre (sse),ai fini della controprestazione, e per ogni
effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore,
funzionario o dipendente che (aveva) consentito la fornitura”:
e ciò in un contesto nel quale si reputava che l’adozione di atti
di riconoscimento di debito a sanatoria di impegni assunti e non
registrati costituiva comunque sintomo di non corretta gestione
finanziaria e si poneva al di fuori della vigente normativa
giuscontabilistica, non offrendo le garanzie poste a presidio degli
interessi erariali (così, ad es., Corte dei Conti, Sez. contr., 3
maggio 1991 n. 50).
Per
effetto dell’art. 4 del D.L.vo 15 settembre 1997 n. 342, trasfuso
nell’art. 191 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000 è stato -
per contro e, per l’appunto - introdotto il principio della
validità del rapporto obbligatorio direttamente costituito con
l’amministrazione, a condizione peraltro che la prestazione o il
bene fornito siano riconoscibili come dei debiti fuori bilancio a’
sensi dell’anzidetto art. 194 del medesimo T.U. e, quindi, che
siano passibili di dichiarazione di utilità da parte dell’ente
locale, con conseguente previsione di spesa - anche fuori bilancio -
nel caso in cui il relativo impegno non sia stato ancora previsto.
L’ordinamento
persegue in tal modo il fine di garantire il riconoscimento di debiti
per prestazioni e servizi resi in favore dell’ente locale che,
benché privi di titolo, siano considerati utili per
l’amministrazione, recependo al riguardo una progressiva
elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione (cfr., ad
es., Sez. civ. III, 3 agosto 2000 n.10199; Sez. civ. I, 2 aprile 2009
n. 8044 e 26 marzo 2009 n. 7298) e della stessa Corte dei Conti
(cfr., ad es., Sez. contr., 28 luglio 1995 n. 101) e stabilendo che
sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di
beni e servizi, relativi a spese assunte in violazione delle norme
giuscontabili per la parte di cui sia accertata e dimostrata
l’utilità e l’arricchimento che ne ha tratto l’ente locale,
semprechè rientrino nelle funzioni di competenza dell’ente.
Il
riconoscimento del debito fuori bilancio è diretto esclusivamente a
sanare irregolarità di tipo contabile , rispondendo all’interesse
pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell’ente, ma
non può in alcun modo sopperire alla mancanza di una obbligazione
validamente sorta: al contrario, è il diritto, quando controverso
oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, a
costituire il presupposto per l’iscrizione fuori bilancio (così,
ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2009 n. 8953).
4.4.
Il riconoscimento medesimo costituisce un procedimento comunque
dovuto, come si desume dall’art. 194 del T.U. approvato con D.L.vo
267 del 2000, il cui esito non è peraltro vincolato e al quale
l’amministrazione non può pertanto sottrarsi attraverso una
semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo
invece necessario un procedimento ad hoc (così, puntualmente,
la citata sentenza di Cons. Stato, Sez. V, 27 dicembre 2013 n. 6269),
la cui proposta va formulata al responsabile del servizio competente
per materia che dovrà accertare l’eventuale, effettiva utilità
che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui: concetto, questo, di
carattere funzionale, essendo l’arricchimento un concetto derivato,
ossia teso alla misurazione dell’utilità ricavata (così Cass.
civ., Sez. I, 12 luglio 1996 n. 6332).
La
proposta è seguita da un’attività istruttoria formalizzata dal
responsabile anzidetto in una relazione che contiene i riferimenti
della situazione debitoria dell’ente eventualmente da riconoscere e
che illustra - o meno - la sussistenza dei requisiti oggettivi
richiesti per il legittimo riconoscimento di ciascun debito, ovvero
l’utilità e l’arricchimento per l’Ente di servizi acquisiti
nell’ambito dell’espletamento di servizi di competenza (cfr.
sent. n. 6269 del 2013 cit.).
Sulla
relazione si pronuncia, quindi, l’organo consiliare con propria
deliberazione, la cui adozione conclude il procedimento.
Tale
procedimento, legittimamente chiesto dalla Mandolesi Giuseppe &
Pierino S.r.l., è stato – per l’appunto - omesso dalle
amministrazioni qui appellate; e questo giudice deve da tale
circostanza trarre le dovute conseguenze a tutela della posizione
giuridica dell’attuale appellante.
Va
opportunamente precisato che l’azione avverso il silenzio, di cui
all’art. 31 c. proc. amm., è concettualmente scindibile in due
domande: la prima, di natura dichiarativa, volta all’accertamento
dell’obbligo, in capo all’amministrazione destinataria
dell’istanza presentata dal titolare dell’interesse pretensivo,
dell’obbligo di definire il procedimento nel termine prescritto
dalla disciplina legislativa o regolamentare a sensi dell’art. 2
della L. 7 agosto 1990, n 241; l’altra, inquadrabile nel novero
delle azioni di condanna, diretta ad ottenere una sentenza che
imponga all’amministrazione inadempiente l’adozione di un
provvedimento esplicito (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V,
28 aprile 2014 n. 2184).
5.1.
In conclusione, va dunque accertata l’illegittimità del
silenzio-rifiuto serbato dalla Provincia di Ascoli Piceno e dalla
Provincia di Fermo sulla richiesta ad esse presentata dalla Mandolesi
Giuseppe & Pierino S.r.l. e rivolta ad ottenere il
riconoscimento, a’ sensi dell’art. 194 del D.L.vo 267 del 2000,
del debito correlativo alla pretesa vantata per la somma di €
303.437,54.- (trecentotremilaquattrocentotrentasette/54), oltre
interessi e rivalutazione, in riferimento a “lavori di somma
urgenza di sistemazione dell’alveo e delle sponde del fiume Tenna
per la tutela del campo pozzi di captazione dell’acqua potabile a
servizio dell’acquedotto del Tennacola” e dichiara pertanto
l’obbligo dei rispettivi organi consiliari di pronunciarsi sulla
richiesta medesima, per la parte di rispettiva competenza, entro il
termine di giorni 30 (trenta) decorrente dalla comunicazione della
presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione ove anteriormente
eseguita.
5.2.
In difetto, è nominato fin da ora, quale commissario ad acta,
il Dirigente pro tempore preposto alla posizione funzionale
“Difesa del suolo e Autorità di bacino” della Regione
Marche, con facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi ad
altro dirigente ovvero impiegato dell’ex carriera direttiva
assegnato al proprio ufficio.
Entro
il susseguente termine di 90 (novanta) giorni decorrente dal
ricevimento di apposito invito da parte della Mandolesi Giuseppe &
Pierino S.r.l. il commissario ad acta provvederà in vece
delle amministrazioni inadempienti:
a)
a tutto quanto necessario per l’esaustiva ottemperanza alla
presente sentenza;
b)
ad accedere agli atti delle amministrazioni inottemperanti necessarie
all’esecuzione della sentenza medesima.
Al
fine di eseguire la presente sentenza il Commissario ad acta
si avvarrà del personale e dei mezzi delle amministrazioni anzidetet
nella misura necessaria per l’espletamento del mandato a lui
conferito.
Il
commissario ad acta valuterà, altresì, la sussistenza dei
presupposti per la denuncia a’ sensi dell’art. 331 cod. proc.
pen. alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale
competente, nonché a’ sensi dell’art. 2-bis, comma 9, della L. 7
agosto 1990 n. 241 - come sostituito dall’articolo 1, comma 1, del
D.L. 9 febbraio 2012 n. 5 convertito in L. 4 aprile 2013 n. 35 - alla
Procura Regionale della Corte dei Conti, degli specifici
comportamenti omissivi di amministratori e funzionari che ne abbiano
reso necessario l’intervento, con consequenziale denuncia del danno
erariale corrispondente alle spese per l’intervento commissariale e
quant’altro collegato all’inesecuzione del giudicato.
Lo
stesso commissario ad acta relazionerà inoltre sui propri
adempimenti al Collegio dei Revisori del Conti delle amministrazioni
anzidette.
Per
le spese e gli onorari del Commissario ad acta si provvederà
a’ sensi degli artt. 49, 50, 55, 56, 57, 71 e 168 del T.U.
approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 a fronte di tempestiva
istanza sua istanza presentata a questo giudice.
Gli
stessi saranno comunque poste a carico delle amministrazioni
inadempienti.
6.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la regola della
soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
Va
– altresì – posto solidalmente a carico della Provincia di
Ascoli Piceno e della Provincia di Fermo il pagamento del contributo
unificato di cui all’art. 9 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 30
maggio 2002 n. 115 relativo ai due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente
pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in riforma
della sentenza impugnata accoglie l’appello in epigrafe (ricorso:
985 del 2014) e, per l’effetto, accoglie il ricorso proposto in
primo grado e, per l’effetto:
-
1) accerta l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dalla
Provincia di Ascoli Piceno e dalla Provincia di Fermo sulla richiesta
ad esse presentata dalla Mandolesi Giuseppe & Pierino S.r.l. e
rivolta ad ottenere il riconoscimento, a’ sensi dell’art. 194 del
D.L.vo 267 del 2000, del debito correlativo alla pretesa vantata per
la somma di € 303.437,54.-
(trecentotremilaquattrocentotrentasette/54), oltre interessi e
rivalutazione, in riferimento a “lavori di somma urgenza di
sistemazione dell’alveo e delle sponde del fiume Tenna per la
tutela del campo pozzi di captazione dell’acqua potabile a servizio
dell’acquedotto del Tennacola” ;
-
2) dichiara l’obbligo dei rispettivi Consigli Provinciali di
pronunciarsi sulla richiesta medesima, per la parte di rispettiva
competenza, entro il termine di giorni 30 (trenta) decorrente dalla
comunicazione della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione
ove anteriormente eseguita;
-
3) nomina sin d’ora, per l’ipotesi di persistente inadempimento,
quale Commissario ad acta il Dirigente pro tempore preposto
alla posizione funzionale Difesa del suolo e Autorità di bacino
della Regione Marche, il quale provvederà al riguardo entro il
termine e con le modalità fissate al § 5.2 della presente sentenza.
Condanna
in solido la Provincia di Ascoli Piceno e la Provincia di Fermo al
pagamento delle spese e degli onorari di entrambi i gradi di
giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 4.000,00.-
(quattromila/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A., stabilendo peraltro che
il relativo importo sia tra di loro suddiviso nella misura dell’80%
a carico della Provincia di Ascoli Piceno e del 20% a carico della
provincia di Fermo.
Pone
– altresì - solidalmente a carico della Provincia di Ascoli Piceno
e della Provincia di Fermo il pagamento del contributo unificato di
cui all’art. 9 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 30 maggio 2002
n. 115 relativo ai due gradi del presente giudizio.
La
presente4 sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione,
che provvederà a darne comunicazione alle parti, nonché al
Dirigente preposto alla posizione funzionale “Difesa del suolo e
Autorità di bacino” della Regione Marche, Via Palestro, 19 –
60122 Ancona An.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2014.
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