CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 giugno 2014, n. 13060
Illegittimità
del licenziamento in altra sede se il trasferimento non viene
motivato.
Ragioni
della decisione
1.
Con la sentenza n. 1079 del 16 ottobre 2007 la Corte d'appello di
Firenze confermava la decisione del Tribunale di Pisa con cui era
stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato in
data 27 giugno 2002 da P. s.p.a. a F.R. La Corte di merito rilevava
che la società, nel dare esecuzione ad una sentenza del giudice del
lavoro che aveva ritenuto la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro del F.R. ordinandone la riammissione nel posto
di lavoro, aveva invitato il lavoratore a riprendere servizio in una
sede diversa da quella assegnata in origine e, poiché il medesimo
non si era presentato, aveva intimato il recesso per ingiustificata
assenza dal lavoro; l'assegnazione ad una sede diversa configurava
però un inadempimento contrattuale, concretandosi in un illegittimo
trasferimento o, comunque, nell’inosservanza dell'ordine
giudiziale di riammissione nel posto originario, sì che il rifiuto
della prestazione da parte del lavoratore doveva ritenersi
giustificato ed il conseguente recesso della società era
illegittimo.
2.
Di tale sentenza P. s.p.a. ha domandato la cassazione, deducendo due
motivi di ricorso; F. R. ha resistito con controricorso. Entrambe le
parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
3.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta "Violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2103 c.c.,
all’art. 18 della L. n. 300/1970 ed all’art. 1206 e ss. c.c."
Sostiene
che la Corte di merito avrebbe errato nel qualificare la fattispecie
nell’ambito dell’art. 18 della L. 300 del 1970 e quindi nel
ritenere che il lavoratore andasse ricollocato nel posto da ultimo
occupato, poiché nel caso di ripristino del rapporto per
illegittimità del termine accertata giudizialmente possono essersi
verificati nelle more del giudizio fatti organizzativi tali da
richiedere un criterio di prudenza nella valutazione dell’esatto
adempimento, che tenga conto dei rispettivi interessi delle parti.
Anche ritenendo che il provvedimento contenesse un trasferimento
implicito, lo stesso sarebbe peraltro giustificato da ragioni
tecniche, produttive e organizzative, essendo stato effettuato in
applicazione dell’art. 37 del CCNL, mentre l'obbligo del datore di
lavoro di indicarne le ragioni sorgeva solo a seguito di esplicita
richiesta del prestatore, che nella specie non era mai stata
avanzata.
Formula
il seguente quesito di diritto: ’’Dica la Suprema Corte se a
seguito di riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, l’invito del datore di lavoro rivolto al lavoratore
di riassumere servizio comporta piena esecuzione del predetto
ordine, con la conseguente mora del lavoratore, ove sia corredato da
caratteri di concretezza e specificità tali da importare
l’effettivo reinserimento del dipendente nel posto di lavoro.
4.
Come secondo motivo la ricorrente deduce "Violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 1460 c.c.
anche in relazione all’art. 18 della L. 300/1970".
Addebita
alla Corte d’appello di avere ritenuto giustificata l’eccezione
di inadempimento ex art. 1460 c.c., quando nessuna eccezione in tal
senso era stata formulata ed il lavoratore si era limitato a non
presentarsi in servizio.
Aggiunge
che l’eccezione di inadempimento postula che la reazione del
dipendente risulti proporzionata e conforme a buona fede,
caratteristiche che nel caso mancavano. Formula il seguente quesito
di diritto: "Dica la Suprema Corte se rispetto al potere di
trasferimento del datore, sia o meno ammissibile un potere di
autotutela del lavoratore ex art. 1460 c.c. sicché l'ingiustificato
rifiuto dello stesso di offrire la prestazione nel luogo dì
destinazione configuri una condotta idonea a giustificare il recesso
del datore di lavoro ".
5.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
connessi, sono infondati.
Questa
Corte ha affrontato in più occasioni la questione oggetto di causa
(cfr. ex plurimis Sez. 6 - L, Ordinanza n. 27804 del 2013, Sez. I,
Sentenza n. 11927 del 16/05/2013, Sez. I, Sentenza n. 27844 del
30/12/2009), fornendo una soluzione alla quale occorre dare
continuità.
Nella
motivazione della sentenze citate, che affronta i temi che sono
riproposti con il ricorso in esame, si è affermato che
l’ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di
riammissione in servizio a seguito di accertamento della nullità
dell'apposizione di un termine al contratto di lavoro implica il
ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui
reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel
luogo e nelle mansioni originarie, atteso che il rapporto
contrattuale si intende come mai cessato e quindi la continuità
dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella
medesima sede; resta salva la facoltà del datore di lavoro di
disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva,
ma in tal caso devono sussistere le ragioni tecniche, organizzative
e produttive richieste dall’art. 2103 c.c. In difetto, la mancata
ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore trova
giustificazione sia quale attuazione di un'eccezione di
inadempimento (art. 1460 c.c.), sia sulla base del rilievo che gli
atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che
sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali
che imponga l'ottemperanza agli stessi fino ad un contrario
accertamento in giudizio. In applicazione di tali principi si è
quindi confermata la sentenza gravata che, come nel caso, aveva
ritenuto illegittimo il licenziamento per assenza dal servizio
intimato da P. s.p.a..
6.
Ciò è quanto secondo la ricostruzione della Corte fiorentina è
avvenuto nel caso in esame, in cui l’invito a riprendere servizio
in una sede diversa da quella originaria non contemplava alcuna
motivazione, né questa era stata dedotta e dimostrata in giudizio;
la modifica della sede di lavoro è stata quindi correttamente
intesa come un trasferimento nullo, implicante un inadempimento del
contratto di lavoro, sì che nessuna comparazione di contrapposti
interessi sarebbe stata consentita al giudice di merito.
Sussistevano
quindi i presupposti per il rifiuto della prestazione da parte del
dipendente configurati nelle richiamate sentenze, considerato
peraltro che il lavoratore aveva esplicitato nella lettera di
risposta alla nota di addebito le ragioni per le quali non aveva
ripreso servizio nella nuova sede, e che - come riferisce la Corte
di merito - promuovendo il tentativo di conciliazione aveva offerto
la propria prestazione secondo le modalità fissate nel contratto, e
dunque nella sede stabilita in origine, ma a tale offerta P. s.p.a.
non aveva dato seguito.
7.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Le
spese processuali del grado seguono la soccombenza e vengono
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per
compensi professionali ed € 100,00 per esborsi, oltre accessori di
legge.
Illegittimità
del licenziamento in altra sede se il trasferimento non viene
motivato.
Ragioni
della decisione
1.
Con la sentenza n. 1079 del 16 ottobre 2007 la Corte d'appello di
Firenze confermava la decisione del Tribunale di Pisa con cui era
stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato in
data 27 giugno 2002 da P. s.p.a. a F.R. La Corte di merito rilevava
che la società, nel dare esecuzione ad una sentenza del giudice del
lavoro che aveva ritenuto la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro del F.R. ordinandone la riammissione nel posto
di lavoro, aveva invitato il lavoratore a riprendere servizio in una
sede diversa da quella assegnata in origine e, poiché il medesimo
non si era presentato, aveva intimato il recesso per ingiustificata
assenza dal lavoro; l'assegnazione ad una sede diversa configurava
però un inadempimento contrattuale, concretandosi in un illegittimo
trasferimento o, comunque, nell’inosservanza dell'ordine
giudiziale di riammissione nel posto originario, sì che il rifiuto
della prestazione da parte del lavoratore doveva ritenersi
giustificato ed il conseguente recesso della società era
illegittimo.
2.
Di tale sentenza P. s.p.a. ha domandato la cassazione, deducendo due
motivi di ricorso; F. R. ha resistito con controricorso. Entrambe le
parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
3.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta "Violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2103 c.c.,
all’art. 18 della L. n. 300/1970 ed all’art. 1206 e ss. c.c."
Sostiene
che la Corte di merito avrebbe errato nel qualificare la fattispecie
nell’ambito dell’art. 18 della L. 300 del 1970 e quindi nel
ritenere che il lavoratore andasse ricollocato nel posto da ultimo
occupato, poiché nel caso di ripristino del rapporto per
illegittimità del termine accertata giudizialmente possono essersi
verificati nelle more del giudizio fatti organizzativi tali da
richiedere un criterio di prudenza nella valutazione dell’esatto
adempimento, che tenga conto dei rispettivi interessi delle parti.
Anche ritenendo che il provvedimento contenesse un trasferimento
implicito, lo stesso sarebbe peraltro giustificato da ragioni
tecniche, produttive e organizzative, essendo stato effettuato in
applicazione dell’art. 37 del CCNL, mentre l'obbligo del datore di
lavoro di indicarne le ragioni sorgeva solo a seguito di esplicita
richiesta del prestatore, che nella specie non era mai stata
avanzata.
Formula
il seguente quesito di diritto: ’’Dica la Suprema Corte se a
seguito di riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, l’invito del datore di lavoro rivolto al lavoratore
di riassumere servizio comporta piena esecuzione del predetto
ordine, con la conseguente mora del lavoratore, ove sia corredato da
caratteri di concretezza e specificità tali da importare
l’effettivo reinserimento del dipendente nel posto di lavoro.
4.
Come secondo motivo la ricorrente deduce "Violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 1460 c.c.
anche in relazione all’art. 18 della L. 300/1970".
Addebita
alla Corte d’appello di avere ritenuto giustificata l’eccezione
di inadempimento ex art. 1460 c.c., quando nessuna eccezione in tal
senso era stata formulata ed il lavoratore si era limitato a non
presentarsi in servizio.
Aggiunge
che l’eccezione di inadempimento postula che la reazione del
dipendente risulti proporzionata e conforme a buona fede,
caratteristiche che nel caso mancavano. Formula il seguente quesito
di diritto: "Dica la Suprema Corte se rispetto al potere di
trasferimento del datore, sia o meno ammissibile un potere di
autotutela del lavoratore ex art. 1460 c.c. sicché l'ingiustificato
rifiuto dello stesso di offrire la prestazione nel luogo dì
destinazione configuri una condotta idonea a giustificare il recesso
del datore di lavoro ".
5.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
connessi, sono infondati.
Questa
Corte ha affrontato in più occasioni la questione oggetto di causa
(cfr. ex plurimis Sez. 6 - L, Ordinanza n. 27804 del 2013, Sez. I,
Sentenza n. 11927 del 16/05/2013, Sez. I, Sentenza n. 27844 del
30/12/2009), fornendo una soluzione alla quale occorre dare
continuità.
Nella
motivazione della sentenze citate, che affronta i temi che sono
riproposti con il ricorso in esame, si è affermato che
l’ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di
riammissione in servizio a seguito di accertamento della nullità
dell'apposizione di un termine al contratto di lavoro implica il
ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui
reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel
luogo e nelle mansioni originarie, atteso che il rapporto
contrattuale si intende come mai cessato e quindi la continuità
dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella
medesima sede; resta salva la facoltà del datore di lavoro di
disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva,
ma in tal caso devono sussistere le ragioni tecniche, organizzative
e produttive richieste dall’art. 2103 c.c. In difetto, la mancata
ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore trova
giustificazione sia quale attuazione di un'eccezione di
inadempimento (art. 1460 c.c.), sia sulla base del rilievo che gli
atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che
sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali
che imponga l'ottemperanza agli stessi fino ad un contrario
accertamento in giudizio. In applicazione di tali principi si è
quindi confermata la sentenza gravata che, come nel caso, aveva
ritenuto illegittimo il licenziamento per assenza dal servizio
intimato da P. s.p.a..
6.
Ciò è quanto secondo la ricostruzione della Corte fiorentina è
avvenuto nel caso in esame, in cui l’invito a riprendere servizio
in una sede diversa da quella originaria non contemplava alcuna
motivazione, né questa era stata dedotta e dimostrata in giudizio;
la modifica della sede di lavoro è stata quindi correttamente
intesa come un trasferimento nullo, implicante un inadempimento del
contratto di lavoro, sì che nessuna comparazione di contrapposti
interessi sarebbe stata consentita al giudice di merito.
Sussistevano
quindi i presupposti per il rifiuto della prestazione da parte del
dipendente configurati nelle richiamate sentenze, considerato
peraltro che il lavoratore aveva esplicitato nella lettera di
risposta alla nota di addebito le ragioni per le quali non aveva
ripreso servizio nella nuova sede, e che - come riferisce la Corte
di merito - promuovendo il tentativo di conciliazione aveva offerto
la propria prestazione secondo le modalità fissate nel contratto, e
dunque nella sede stabilita in origine, ma a tale offerta P. s.p.a.
non aveva dato seguito.
7.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Le
spese processuali del grado seguono la soccombenza e vengono
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per
compensi professionali ed € 100,00 per esborsi, oltre accessori di
legge.
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