LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n.18808/2013
SEZIONE
LAVORO
sul
ricorso 333-2008 proposto da:
AZIENDA
SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) DI NUORO (OMISSIS) in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA ANTONIO GRAMSCI 24, presso lo studio dell'avvocato MASINI MARIA
STEFANIA, rappresentata e difesa dall'avvocato MOCCI ANGELO, giusta
delega in atti;
-
ricorrente -
contro
F.C.
C.F. (OMISSIS), S.A. C.F. (OMISSIS) domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall'avvocato BACCHIS MARCO, giusta delega in
atti;
-
controricorrenti -
e
contro
D.M.,
C.L.;
-
intimati -
avverso
la sentenza n. 343/2007 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata
il 19/10/2007 r.g.n. 315/06 + altre; udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 06/03/2013 dal Consigliere Dott.
FABRIZIA GARRI'; udito l'Avvocato MOCCI ANGELO;
udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE
Ennio Attilio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO La Corte d'appello di Cagliari ha confermato la sentenza
del Tribunale di Oristano che aveva accolto le domande proposte da M.
D., F.C., C.L. e A. S., tutti dipendenti dell'Azienda Sanitaria
Locale n. (OMISSIS) di Nuoro - provenienti dalla USL (OMISSIS) di
Sorgono ed in servizio presso il presidio ospedaliere (OMISSIS) con
la qualifica di infermieri generici - ed accertato l'avvenuto
svolgimento delle mansioni proprie della qualifica di "infermiere
professionale" nel periodo dal 1.7.1998 al 11.8.2004 per
sopperire a carenze organizzative e di personale ed assicurare il
servizio dovuto. Per l'effetto aveva condannato la convenuta al
pagamento delle differenze retributive chieste avuto riguardo da un
canto alla categoria BS loro riconosciuta e dall'altro alle mansioni
riconducibili alla categoria C, di infermiere professionale,
effettivamente svolte.
La
Corte d'appello ha verificato e confermato che, in esito
all'istruttoria espletata in primo grado, era risultato provato lo
svolgimento delle mansioni in relazione alle quali erano rivendicate
le differenze retributive.
Ha
poi accertato che sulla base della contrattazione collettiva 1998-
2001 la figura dell'infermiere generico, rivestita dai lavoratori era
conservata ad esaurimento mentre era prevista come categoria generale
la figura dell'infermiere professionale, categoria C, e quella del
collaboratore professionale, categoria D. Ha quindi sottolineato che
la domanda era stata ridotta alle differenze retributive dovute in
relazione allo svolgimento delle mansioni riconducibili alla
categoria C, escludendo che a ciò fosse d'ostacolo la mancanza di un
formale atto di assegnazione essendo sufficiente la prova dello
svolgimento in concreto di mansioni che peraltro non era stato
negato, nella sua materialità, dall'azienda che in primo grado si
era limitata a contestare la riconducibilità di quei compiti alla
qualifica rivendicata.
Quindi
esaminate comparativamente, alla luce delle declaratorie legali e,
poi, di quelle collettive (D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 e ccnl
comparto sanità pubblica 1998- 2001, art. 28) le mansioni proprie
delle due qualifiche, ne ha evidenziato, per taluni aspetti, la
coincidenza ed ha confermato la correttezza dell'accertamento che le
mansioni svolte, sotto il profilo qualitativo e quantitativo davano
diritto ai compensi chiesti atteso che non erano riconducibili alla
qualifica di infermiere generico rivestita ed avevano il necessario
carattere della continuità e prevalenza. Quanto alla pretesa
"inconsapevolezza" dell'azienda appellante del concreto
svolgimento delle dette mansioni, asseritamente prestate su un piano
meramente volontario, la Corte di merito ne ha escluso la credibilità
stante la loro durata extraquinquennale ed il concreto coinvolgimento
del personale nell'organizzazione dei turni di assistenza.
Inoltre
il giudice di appello ha motivatamente escluso che la coincidenza di
talune mansioni tra i due profili valesse ad attrarle nel profilo
inferiore ed ha respinto l'interpretazione data dall'azienda alla
disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (già D.Lgs.
n. 29 del 1993, art. 56) avendo accertato da un canto che non si era
trattato di una sostituzione momentanea di lavoratori con diritto
alla conservazione del posto ed escludendo che si possa ravvisare una
violazione dell'art. 2126 c.c. tenendo conto del fatto che l'azienda
ha "tollerato" l'organizzazione del lavoro nel pronto
soccorso con adibizione di personale privo di una specifica
qualificazione come infermiere professionale, per oltre cinque anni
prima di intervenire con un ordine di servizio che ripristinasse la
regolarità delle attribuzioni al personale infermieristico.Per la
cassazione della sentenza ricorre la Azienda sanitaria Locale n.
(OMISSIS) di Nuoro sulla base di un solo motivo.
Resistono
con controricorso F.C. ed S.A. mentre gli altri resistenti sono
rimasti intimati.
Diritto
MOTIVI
DELLA DECISIONE Con un unico motivo di ricorso viene denunciata la
violazione e falsa applicazione dell'art. 2126 c.c. in relazione
all'art. 360, comma 1, n. 3.
Sostiene
la ASL ricorrente che ai lavoratori non potevano essere riconosciute
le differenze retributive chieste atteso che, nel caso in cui per lo
svolgimento di mansioni superiori sia necessario il possesso di uno
specifico titolo di studio o di una particolare abilitazione
professionale (nella specie infermiere professionale), sono
ravvisabili quei profili di illiceità nello svolgimento delle
mansioni che non consentono l'applicazione dell'art. 2126 c.c..Nè ad
avviso della ricorrente sarebbe risultato provato nel corso del
giudizio che l'attività sarebbe stata svolta con il consenso del
datore di lavoro posto che, al contrario, dalla documentazione
versata in atti si evincerebbe che il Direttore Sanitario aveva
provveduto a diffidare i dipendenti dallo svolgimento di mansioni non
riconducibili a quelle proprie di inquadramento.
Aggiunge
poi la ASL che, ove pure si ammettesse una tolleranza dell'esercizio
di una attività riconducibile ad una qualifica superiore, ciò non
autorizzerebbe comunque il riconoscimento delle differenze
retributive stante il carattere illecito dell'attività svolta.
A
conclusione della censura formula il seguente quesito: "Dica la
Corte, con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 2126 c.c.,
se lo svolgimento con carattere di continuità e di prevalenza da
parte di infermieri generici di attività rientranti nel profilo di
un infermiere professionale sia da considerarsi illecita perchè
derivante da violazione di norme imperative attinenti all'ordine
pubblico e poste a tutela non del prestatore ma bensì del diritto
alla salute, costituzionalmente garantito in via preminente alla
generalità dei cittadini e, conseguentemente, dia o meno titolo per
ottenere il pagamento delle relative differenze retributive anche nel
caso in cui ciò fosse avvenuto su disposizione e/o con il consenso
del datore di lavoro".
La
censura è destituita di fondamento.
Occorre
preliminarmente ricordare che nell'ambito della
c.d.contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, la materia dello
svolgimento delle mansioni superiori è stata disciplinata dal D.Lgs.
3 febbraio 1993, n. 29, art. 56 che è stato novellato con il D.Lgs.
31 marzo 1998, n. 80, art. 25 e, quindi, ancora nel D.Lgs. 29
ottobre 1998, n. 387, art. 15, comma 6.
La
disposizione, così complessivamente modificata, è stata, poi,
testualmente riprodotta nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52
(norme generali dell'ordinamento del lavoro alle dipendenze della
amministrazioni pubbliche) che ha confermato, anche nell'ambito del
nuovo regime del lavoro dei pubblici dipendenti, il principio secondo
cui l'"esercizio di fatto di mansioni diverse da quelle della
qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento
del lavoratore (...)" (art. 52, ultima parte del comma 1).
Con
riguardo alle modifiche apportate nel tempo, questa Corte ha in più
occasioni affermato che "nel pubblico impiego privatizzato il
divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle
mansioni superiori, stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56,
comma 6 - come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 - è
stato soppresso dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, con efficacia
retroattiva, atteso che la modifica del comma 6, ultimo periodo
disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere
transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come
avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima
di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere
sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio. La
portata retroattiva della disposizione risulta peraltro conforme alla
giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha ritenuto
l'applicabilità anche nel pubblico impiego dell'art. 36 Cost. nella
parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione
proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonchè
alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la
disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi
costituzionali" (cfr. Cass. 4.2.2008 n. 2611 e già Cass.
8.1.2004
n.
91).
Individuati
i casi in cui è legittima l'assegnazione temporanea a mansioni
superiori (art. 52, comma 2), precisate le caratteristiche che lo
svolgimento delle mansioni superiori deve avere per essere
considerato tale (comma 3 della citata norma) il quinto comma
prescrive quindi che "Al di fuori delle ipotesi di cui al comma
2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una
qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di
trattamento economico con la qualifica superiore".
Ritiene
questa Corte che la disposizione citata costituisca norma speciale
rispetto alla disposizione generale contenuta nell'art. 2126 c.c.
(che nell'ultimo alinea del comma 1 prevede che, ove la nullità del
contratto di lavoro derivi da una "illiceità dell'oggetto o
della causa", la prestazione di fatto resa non produca alcun
effetto). Per tale ragione è infondata la tesi della ASL ricorrente,
che sostanzialmente reclama l'applicazione della norma generale in
luogo di quella speciale dettata dal più volte richiamato art. 52,
disposizione che, nell'ambito della disciplina dei rapporti di lavoro
pubblico privatizzati, ha una portata generale. Peraltro le domande
giudiziali nel caso in esame fanno riferimento ad un'attività
prestata in un periodo in cui la disciplina era entrata
pienamente
in vigore trattandosi di attività prestate successivamente alla data
di decorrenza dell'efficacia del c.c.n.l per il comparto sanità
stipulato il 7.4.1999 (G.U. 19 aprile 1999), ma relativo, dal punto
di vista normativo, al quadriennio 1998-2001.
Che
poi l'intento del legislatore fosse inteso a bilanciare il diritto
costituzionalmente garantito ad una retribuzione proporzionata (art.
36 Cost.) alla quantità e qualità dell'attività lavorativa svolta
con il dovere per l'amministrazione di procedere nel rispetto dei
principi di "buona amministrazione" dettati dall'art. 97
Cost. è confermato dalla disposizione di chiusura dell'art. 52 che
all'u.c. prevede, a maggior garanzia di comportamenti imprudenti da
parte di coloro ai quali e demandata la corretta organizzazione dei
servizi, la responsabilità personale del dirigente che ha disposto
l'assegnazione in relazione ai maggiori oneri sostenuti
dall'Amministrazione, ove si accerti che questi ha agito con dolo e
colpa grave.
A
parte dunque la recisa esclusione del conseguimento del diritto
all'inquadramento nella qualifica superiore (che rimane ferma pur
dopo i numerosi interventi del legislatore sulla norma), l'art. 56
contiene dunque due diversi ordini di disposizioni.
In
primo luogo si indicano i casi in cui è legittima la temporanea
assegnazione a mansioni superiori, con la precisa specificazione dei
relativi presupposti e dei limiti temporali e la previsione del
diritto del lavoratore al trattamento previsto per la qualifica
superiore, per il periodo di effettiva prestazione. In secondo luogo
si prende in considerazione l'ipotesi dell'assegnazione "a
mansioni proprie di una qualifica superiore" al di fuori delle
condizioni previste dalle precedenti disposizioni, per stabilire da
un lato la nullità di detta assegnazione
e
dall'altro il diritto del lavoratore alla differenza di trattamento
economico con la qualifica superiore (comma 5).Peraltro l'espressione
"una qualifica superiore" utilizzata dalla norma ha valore
generico e omnicomprensivo, e non può ritenersi equivalente alla
dizione "qualifica immediatamente superiore" utilizzata dal
secondo comma nel delineare i presupposti dell'assegnazione legittima
a mansioni superiori. Da tanto consegue che sarebbe dovuta la
retribuzione corrispondente anche per il caso in cui le mansioni di
fatto svolte non siano necessariamente ricollegabili alla qualifica
immediatamente superiore. Tale conclusione è giustificata dalla
lettera della disposizione in esame e dalla sua ratio, che, lo si
ricorda nuovamente, è quella di assicurare comunque al lavoratore
una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in
ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost..
Il
rapporto di specialità esistente tra la disciplina specifica del
pubblico impiego privatizzato e quella comune dettata dall'art. 2126
c.c. in tema di svolgimento di fatto di attività lavorativa, ad
avviso della Azienda ricorrente, incontrerebbe, con riferimento al
diritto alla maggiore retribuzione, il limite dell'esistenza di una
"illiceità dell'oggetto o della causa" che esonererebbe
l'amministrazione al pari del datore di lavoro privato dall'obbligo
di pagamento delle differenze retributive.
Ritiene
la Corte che tuttavia, anche sotto tale profilo la norma specifica
appresti, per le illegittime assegnazioni a mansioni superiori che
danno luogo a carichi economici, rimedi specifici a tutela del
corretto esercizio dell'attività amministrativa.
La
scelta è quella di gravare della responsabilità del pregiudizio
economico sofferto dall'amministrazione coloro che sono investiti del
dovere di corretta attuazione delle regole per l'attribuzione delle
mansioni, anche sotto il profilo del controllo delle modalità con le
quali si svolge l'attività amministrativa. Dovere questo che non è
altro che una esplicitazione, in un'ottica costituzionalmente
orientata di garanzia di "buona amministrazione",
dell'esigenza
di provvedere a legittime e consentite assegnazioni a mansioni
superiori.
Non
può poi sostenersi sotto altro versante la tesi della ricorrente,
secondo la quale lo svolgimento di fatto di un'attività per la quale
è richiesta una particolare qualificazione professionale (nella
specie il conseguimento del titolo per lo svolgimento della
professione di infermiere professionale) sarebbe illecito perchè
contrario "all'ordine pubblico" e che, conseguentemente le
relative prestazioni non potrebbero essere retribuite.
Deve
in contrario osservarsi che, secondo accreditata dottrina, l'ordine
pubblico svolge una funzione preterlegale di repressione di abusi del
diritto, di frodi alle norme giuridiche per non essere i valori del
vivere sociale regolati unicamente dalle fonti legali. Si è infatti
sostenuto che nell'ampia nozione dell'ordine pubblico va compreso
l'insieme dei principi fondamentali immanenti nel sistema
ordinamentale e desumibili da esso, e che l'applicazione del
principio codicistico dell'ordine pubblico di cui all'art. 1343 c.c.
è funzionale alla protezione dei diritti di dimensione sociale ed
alla garanzia dei valori fondamentali ed essenziali della
collettività e del vivere civile, ponendo in tal modo principi non
derogabili dall'autonomia negoziale.
Alla
luce di tali premesse nella fattispecie scrutinata non si rinviene
una violazione dell'ordine pubblico ed una illiceità della causa nel
senso denunziato dalla ricorrente.Va al riguardo evidenziato che la
Corte territoriale ha con puntualità accertato, sulla base delle
declaratorie professionali contenute nel ccnl 1998/2001, che il
profilo di "infermiere generico" (rivestito dagli odierni
intimati) è mantenuto ad esaurimento nel livello economico Bs ed è
destinato a scomparire. Al contrario la qualifica prevista a regime
dal contratto è quella di collaboratore professionale sanitario,
nella quale è confluito il precedente ruolo di "infermiere
professionale", che si articola in due categorie, la C e la D,
le quali si differenziano in relazione alla maggiore autonomia e
professionalità richiesta per la categoria D rispetto alla C.
Sostanzialmente la norma collettiva, adeguandosi alla mutata realtà
sociale che nel tempo ha visto una professionalizzazione e
specializzazione sempre maggiore per l'accesso alle professioni
sanitarie, ha riprodotto lo schema già esistente adeguandolo,
nell'accesso, alla mutata realtà ma riproducendo, nella sostanza, il
medesimo rapporto di cooperazione tra livelli diversi nell'ambito
della medesima area professionale.
Nel
caso di specie non è ravvisabile nello svolgimento di compiti propri
della superiore qualifica professionale, tenuto in particolare conto
il complessivo contesto fattuale nonchè le notorie modalità di
svolgimento, sotto il continuo ed immancabile controllo del personale
medico, delle attività in pronto soccorso, quel pericolo per la
salute pubblica che potrebbe in ipotesi giustificare, per la gravità
della violazione, anche il mancato riconoscimento della relativa
retribuzione.
Per
concludere nel caso in esame si è rettamente ritenuto che ricorresse
l'ipotesi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, in
relazione alla quale è stato più volte affermato che, nella materia
dell'pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per
lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella
misura indicata dal citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5
non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità
di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti
collettivi, nè all'operatività del nuovo sistema di classificazione
del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che
una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del
legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione
proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al
principio di cui all'art. 36 Cost. (cfr. Cass. Cass. 20.2.2013 n.
4190, 18 giugno 2010 n. 14775 nonchè, negli stessi termini, Cass. 11
giugno 2009 n. 13597, Cass. 3 febbraio 2009 n. 4367 e Cass. 11
dicembre 2007 n. 25837).
Per
le esposte considerazioni il ricorso, per essere infondato, va
rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno regolate
secondo il criterio della soccombenza. Nulla sulle spese in relazione
alle parti non costituite.
PQM
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna
la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in
favore delle parti costituite che liquida in Euro 3000,00 per
compensi professionali ed in Euro 50,00 per esborsi oltre accessori
come per legge.
Così
deciso in Roma, il 6 marzo 2013.
Depositato
in Cancelleria il 7 agosto 2013
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