SUPREMA
CORTE DI CASSAZIONE
sez.
III civile
sentenza
22 gennaio 2014, n. 1216
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul
ricorso 27446-2007 proposto da:
DUOMO
UNI ONE ASSIC RIASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), in persona del
Condirettore Generale Dott. D.P.L., elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell'avvocato TRICERRI LAURA,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANVERSA
GIOVANNI, ANVERSA ANTONIO giusta delega in atti;
-
ricorrente -
contro
B.L.,
G.A., GI.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,
presso lo studio dell'avvocato PANARITI BENITO, che li rappresenta e
difende unitamente all'avvocato MESSINA MASSIMO GIOVANNI giusta
delega in atti;
-
controricorrenti -
nonchè
contro
B.S.;
-
intimata -
avverso
la sentenza n. 1716/2006 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata
il 26/10/2006 R.G.N. 1694/2003;
udita
la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2013
dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
udito
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE
Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento
del processo
I genitori, la sorella e il nonno di B.D., deceduto (OMISSIS) a seguito di un incidente stradale, proposero appello avverso la sentenza con la quale il tribunale di Pisa, ricondotti i fatti alla responsabilità esclusiva di Bi.
I genitori, la sorella e il nonno di B.D., deceduto (OMISSIS) a seguito di un incidente stradale, proposero appello avverso la sentenza con la quale il tribunale di Pisa, ricondotti i fatti alla responsabilità esclusiva di Bi.
G.,
aveva condannato quest'ultimo, in solido con la compagnia
assicurativa Maeci, al risarcimento dei danni patrimoniali e morali
in favore dei genitori e della sorella della vittima, ed al
risarcimento dei soli danni morali in favore dei nonni materni e dei
cugini conviventi, poichè le somme loro riconosciute dovevano
ritenersi del tutto inidonee a compensare integralmente il danno
subito.
La
corte di appello di Firenze, sulla premessa che il danno non
patrimoniale comprende tanto il danno morale soggettivo quanto quello
derivante dalla lesione di altri diritti di rango costituzionale, fra
i quali quello alla intangibilità degli affetti e della reciproca
solidarietà nell'ambito della famiglia ed alla inviolabilità della
libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della
persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale
costituita dalla famiglia, accolse il gravame in relazione alle
censure relative a tali voci di danno, rideterminando per l'effetto
il quantum risarcitorio (il giudice toscano accolse altresì
l'appello incidentale della compagnia assicurativa, che aveva
lamentato l'erroneità del cumulo, sancito in prime cure, tra
rivalutazione ed interessi, nella parte in cui il tribunale non aveva
specificato che il calcolo degli interessi stessi dovesse seguire i
criteri di cui a Cass. s.u. 1712/1995).
Per
la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze la
compagnia assicurativa ha proposto ricorso illustrato da due motivi.
Resistono
con controricorso B.L., G.A. e Gi.An..
Motivi
della decisione
Il ricorso è infondato.
Con
il primo motivo, si denuncia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione
all'art. 2059 c.c., omessa insufficiente contraddittoria motivazione
circa un punto decisivo della controversia rilevabile d'ufficio e
comunque prospettato dalle parti, e violazione dell'art. 346 c.p.c..
La
censura è corredata dal seguente quesito di diritto (formulato ai
sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, nel
vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006):
Statuisca
codesta Corte se costituisca domanda nuova, in quanto tale
inammissibile in fase di gravame, la domanda di danno non
patrimoniale (sub specie danno da relazione parentale) laddove
nell'atto introduttivo siano chiesti tutti i danni morali e
materiali.
Al
quesito deve darsi (ed è stata già data) risposta positiva alla
luce della costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte
regolatrice, cui si è correttamente attenuto il giudice toscano nel
valutare l'an e il quantum del danno de quo, indubitabilmente
ricompreso nella domanda introduttiva del giudizio - con la quale gli
odierni resistenti avevano invocato "il risarcimento di tutti i
danni, materiali e morali", come tali dovendosi intendere
(attesane la evidente alterità, logica lessicale e topografica,
rispetto ai pregiudizi patrimoniali), proprio quei danni non
patrimoniali derivanti dalla lesione di interessi e valori
costituzionalmente tutelati, contemplati dall'art. 2059 c.c., come
rettamente opinato dal giudice di merito.
Con
il secondo motivo, si denuncia omessa applicazione di norme di
diritto in relazione all'art. 1917 c.c., L. n. 990 del 1969, art. 18
e art. 1224 c.c. e segg..
La
censura è corredata dal seguente quesito:
Statuisca
la Corte se costituisca, in una fattispecie di mala gestio impropria,
ingenerata da richiesta del danneggiato di liquidazione di interessi
e rivalutazione, pronuncia ultra petitum la liquidazione di tali
accessori in eccedenza del comprovato massimale rivalutato e se la
pronuncia del giudice territoriale debba distinguere tra capitale ed
accessori del credito nella liquidazione che ecceda il massimale
stabilito contrattualmente che costituisce il limite massimo
dell'indennizzo.
Il
motivo, prima ancora che infondato nel merito (avendo la Corte
territoriale fatto buongoverno dei principi a più riprese predicati
da questa Corte in subiecta materia con apprezzamento di fatto esente
da vizi logico-giuridici e perciò solo incensurabile in sede di
legittimità), risulta inammissibile in rito, in conseguenza della
palese inadeguatezza del quesito di diritto.
Questo
giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare
che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell'art.
366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi
logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente
inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un
quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire
l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione
alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia
destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica
richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità
di stabilire se sia stata o meno violata - o disapplicata o
erroneamente applicata, in astratto, - una norma di legge. Il quesito
deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza
impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto: le stesse
sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass.
ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per
violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per
cassazione nel quale l'illustrazione dei singoli motivi sia
accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si
risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già
presupponga la risposta (ovvero la cui risposta non consenta di
risolvere il caso sub iudice).
La
corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass.
19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie
concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine
formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente)
assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l'affermazione;
onde,
va ribadito (Cass. 19892/2007) l'inammissibilità del motivo di
ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica
istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge
denunziata nel motivo. Il ricorso va pertanto rigettato.
La
disciplina delle spese segue - giusta il principio della soccombenza
- come da dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi
Euro 7200, di cui Euro 200 per spese.
Così
deciso in Roma, il 5 giugno 2013.
Depositato
in Cancelleria il 22 gennaio 2014
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