Cassazione
Civile n. 3532 del 13 febbraio 2013
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
P.I.
s.p.a., con lettera del 12.3.99, intimava illicenziamento al
proprio dipendente L.D., per aver indebitamente ed
illecitamente trattenuto importi relativi ai contrassegni di numerosi
pacchi regolarmente consegnati ai destinatari nonché per assenza
ingiustificata dal posto di lavoro successivamente al periodo di
malattia terminato il 12.8.98.
Il
Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro dichiarava la
illegittimita' del detto licenziamento, ordinando a P.I. di
reintegrare il dipendente nel suo posto di lavoro con la
condanna al risarcimento del danno pari a tutte le mensilita'
maturate dal licenziamento fino alla reintegra.
Tale
decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, con
sentenza del 24 settembre 2007, sulla scorta delle seguenti
argomentazioni: a) riguardo al primo addebito,
il licenziamento risultava intempestivo,essendo stato
intimato ad oltre sette anni dai fatti contestati e dopo
che nell'immediatezza degli stessi la societa' aveva disposto il
trasferimento del L.D. ad attivita' non comportanti maneggio di
denaro, cosi' dimostrando, quindi, di voler adottare una linea
disciplinare conservativa del rapporto di lavoro, cio' anche in
considerazione del fatto che il dipendente aveva ammesso,
da subito, agli ispettori della societa' l'addebito sicché non
vi era alcuna ragione di attendere l'esito del procedimento
penale iniziato a suo carico; b) quanto al secondo addebito,
relativo all'ingiustificata assenza del L.D., dalla istruttoria era
emerso che quest'ultimo aveva inoltrato in data 14.8.98 missiva
contenente la richiesta di mesi 4 di congedo straordinario non
retribuito, lettera che inizialmente era andata smarrita dalla
societa' ma, poi, successivamente e, comunque, prima dell'irrogazione
dellicenziamento, era stata recapitata al competente ufficio. In
sentenza si evidenziava, altresi', che non vi era agli atti alcuna
allegazione o riscontro in merito alla circostanza dello stato
di detenzione del L.D. che avrebbe potuto indurre la
societa' ad altre scelte di recesso, non azionate nel giudizio, e
percio' estranee allo stesso.
Per
la cassazione di tale sentenza propone ricorso le P.I. s.p.a.
affidato a due motivi.
Il
L.D. e' rimasto intimato.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con
il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
dell'art.7 L n. 300/1970 con riguardo alla ritenuta mancanza
di immediatezza della contestazione disciplinare
rispetto all'accadimento dei fatti.
Si
assume che non era condivisibile l'affermazione della Corte di merito
relativa al fatto che, avendo nell'immediatezza dei fatti il
L.D. reso piena confessione in ordine agli addebiti, era stato del
tutto inutile attendere l'esito del giudizio penale prima
di inviare la lettera di contestazione disciplinare.
Secondo la ricorrente, infatti, quando il fatto oggetto
dell'addebitodisciplinare rileva anche su quello penale, la
compatibilita' fra
il principio della immediatezza della contestazione e
l'intervallo necessario all'accertamento della condotta
del lavoratore ed alle adeguate valutazione di questa deve
portare ad escludere che incorra nella violazione di
detto principio il datore di lavoro che scelga
di attendere l'esito degli accertamenti svolti in sede
penale. Viene formulato quesito di diritto.
Il
motivo e' infondato oltre che generico rispetto alle motivazioni
addotte dalla Corte.
In
merito alla esatta portata
del principio della immediatezza della contestazione disciplinare
desumibile dal dispostodell'art. 7 della L. 20 maggio 1970 n.
300, questa Corte ha avuto modo di affermare che detto principio,
nell'ambito di unlicenziamento per motivi disciplinari, pur
dovendo essere inteso in senso relativo, comporta che l'imprenditore
porti a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non
appena essi gli appaiono ragionevolmente sussistenti, non
potendo egli legittimamente dilazionare la contestazione fino
al momento in cui ritiene di averne assoluta certezza, (v. fra le
molte, Cass. 18/01/2007 n. 1101; Cass. 12 maggio 2005 n. 9955; Cass.
13 giugno 2006 n. 13621).
Tale
insegnamento correttamente e' stato applicato dalla Corte di merito
al caso in esame in cui il L.D., in sede ispettiva, immediatamente
ammise gli addebiti sicché la societa' sin da tale momento era in
possesso di tutti gli elementi per decidere se procedere
alla contestazione disciplinare degli stessi e, quindi, di
valutare la sanzione disciplinare da irrogare senza alcuna necessita'
di attendere l'esito delle indagini svolte in sede penale.
L'aver
lasciato trascorrere un lasso di tempo cosi' ampio ' circa sette anni
' prima di procedere al licenziamento ' e l'essersi
limitata, nell'immediato, a trasferire il dipendente ad
altro incarico sono comportamenti della societa' che correttamente la
Corte di merito ha valutato come idonei a generare nel lavoratore la
convinzione che il datore di lavoro avesse inteso adottare una 'linea
disciplinare conservativa del rapporto. Cio' in linea con il rilievo
il rispetto del principio diimmediatezza va valutato
anche in relazione alle clausole generali di correttezza e buona
fede, onde evitare la frustrazione del giusto affidamento, che ' in
dipendenza della contestazione non immediata, appunto ' il
prestatore possaragionevolmente ricavare circa la scelta del
datore di lavoro di non esercitare il proprio potere disciplinare,
che ne costituisce, infatti, una facolta' e non gia' un obbligo (in
tal senso vedi, Cass. n. 18155 del 2006, in motivazione; Cass. n.
16754/2003).
In
relazione a tale argomentazione pure utilizzata nell'impugnata
sentenza il motivo non muove alcuna censura.
Con
il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1175, 1375 e 2105 c.c. in quanto la Corte di appello
aveva omesso di pronunciarsi su un aspetto, quello della buona fede e
correttezza nella esecuzione del contratto di lavoro, che imponeva
al dipendente di comunicare alla societa' il suo stato
di detenzione limitandosi a valutare solo il tema della
ricezione della richiesta di congedo avanzata dal L.D. mentre era in
stato di detenzione.
Tale
censura e' inconferente in quanto non tiene conto della motivazione
della Corte di Appello la quale aveva rilevato che non vi era stata
alcuna allegazione né era stato fornito alcun riscontro alla
circostanza relativa allo stato di detenzione del L.D..
Il
ricorso va, pertanto, rigettato.
Non
si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo
rimasto il L.D. intimato.
P.Q.M.
La
Corte, rigetta il ricorso; nulla per le spese.
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