Cass.
Sez. Unite n.585 del 14 gennaio 2014
fatto e diritto
Con
il decreto indicato in epigrafe la Corte d'appello di Perugia ' nel
provvedere anche nei riguardi di altre parti, che non
hanno impugnato il provvedimento ' ha accolto solo
parzialmente la domanda proposta da F.G. , intesa ad ottenere
l'equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente
alla durata non ragionevole di una causa civile di
divisione ereditaria, rimasta pendente davanti al Tribunale di
Frosinone dal 6 dicembre 1976 e ancora in corso presso la Corte
d'appello di Roma: l'indennizzo e' stato commisurato
esclusivamente al tempo successivo al 23 maggio 1994, quando lo
stesso F.G. si era costituito in quel giudizio, dopo essere
rimasto fino ad allora contumace; e' stato inoltre decurtato
degli importi corrispondenti sia ai periodi di inattivita'
attribuibili alle parti, quantificati in tre anni e otto mesi, sia
alla durata ordinaria delprocesso, determinata complessivamente in
sette anni per i due gradi di merito, in considerazione della
complessita' della controversia.
F.G.
ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi, poi
illustrati anche con memoria. Il Ministero della giustizia si
e' costituito con controricorso.
Con
il primo motivo di ricorso F.G. lamenta che erroneamente e
ingiustificatamente, con il decreto impugnato,
l'indennizzo spettantegli e' stato limitato, senza alcuna
motivazione, al periodo successivo alla sua costituzione nel
giudizio presupposto: sostiene che invece si sarebbe dovuto tenere
conto anche del tempo in cui era stato contumace (peraltro
senza restare inerte, essendo comparsa personalmente nella prima
udienza e in varie successive, anche in nome di lui, sua madre, che
lo rappresentava in quanto ancora minorenne), poiche' ne' l'art. 2
della legge 24 marzo 2001, n. 89, ne' l'art. 6 della convenzione
Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, ratificata e resa esecutiva nell'ordinamento interno
italiano ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, subordinano il
diritto all'equa riparazione alla condizione dell'attiva
partecipazione al processo che abbia avuto una durata
non ragionevole.
Sulla
questione posta dal ricorrente, nell'ambito della giurisprudenza di
legittimita', si e' delineato, un contrasto, per la cui composizione
la causa e' stata assegnata alle sezioni unite.
Cass.
12 ottobre 2007 n. 21508, 2 aprile 2010 n. 8130, 10 novembre 2011 n.
27091, 14 dicembre 2012 n. 23153, 21 febbraio 2013 n. 4387 hanno
ritenuto che l'indennizzo di cui si tratta compete senz'altro
anche a chi non si e' costituito (o per il tempo in cui non
si e' costituito), poiche' comunque 'il contumace e'
parte del giudizio'.
Invece
Cass. 10 luglio 2009 n. 16284, 4 novembre 2009 n. 23416, 19 ottobre
2011 n. 21646, per la particolare ipotesi della successione a titolo
universale alla parte originaria, hanno riconosciuto la possibilita'
per gli eredi di ottenere l'equariparazione, per il periodo
successivo alla morte del de cuius, soltanto ove si siano costituiti
in proprio in giudizio, stante altrimenti 'la mancanza di una parte
processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine
di ragionevole durata delprocesso'.
Questo
secondo indirizzo, ma con riferimento alla generalita' dei casi, e'
stato anche seguito, con maggiore ampiezza di motivazione, da Cass.
23 giugno 2011 n. 13803 e 21 febbraio 2013 n. 4474, secondo cui 'la
necessita' di una costituzione in giudizio della parte che
invoca la tutela della legge a sanzionare l'irragionevole durata
e' premessa indiscutibile per unaragionevole operativita'
dell'intero sistema di cui alla legge n. 89 del 2001, non potendo
operare, in difetto di talecostituzione, lo scrutinio
sul comportamento della parte delineato dall'art. 2,
secondo comma, della legge, e non essendo neppure esercitabili i
poteri di liquidazione equitativa dell'indennizzo correlati,
ragionevolmente, al concreto patema che sulla parte ha avuto la
durata del processo' e 'solo la parte che abbia, in realta',
attivamente partecipato al processo in quanto costituita
puo' subire quel patema d'animo ovvero quella sofferenza psichica
causata dal superamento del limite ragionevoledella durata
del processo e, quindi, assumere la qualita' di parte
danneggiata (che costituisce la condizione imprescindibile tutelata
dalla legge n. 89 del 2001)', a differenza di 'chi ha scelto,
consapevolmente, di non costituirsi nel giudizio e, quindi, di
disinteressarsi dello stesso, dimostrandosi, in linea potenziale,
incurante degli effetti di una possibile decisione negativa nei suoi
confronti (ed insensibile ai tempi di svolgimento del processo,
che, peraltro, non di rado, pur rimanendo posizionato solo alla
finestra, auspica che si protraggano oltre quella che dovrebbe essere
la loro fisiologica durata)'.
Tra
questi due orientamenti, ritiene il collegio di dover aderire al
primo.
Si
deve convenire con il ricorrente a proposito dell'assenza, nelle
disposizioni sia internazionali sia interne che disciplinano la
materia, di ogni espressa limitazione, per il contumace, del
diritto a ottenere in tempi ragionevoli la conclusione del giudizio,
anche se non vi si e' costituito: l'art. 6 della convenzione
Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, attribuisce tale diritto a 'ogni persona',
relativamente alla 'sua causa', mentre l'art. 2 della legge 24 marzo
2001, n. 89 assicura una equa riparazione a 'chi ha subito
un danno patrimoniale o non patrimoniale' per effetto
della violazione di quel principio. La tutela e' dunque apprestata
indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento
giurisdizionale, tra i quali non puo' non essere annoverata anche la
parte non costituita in giudizio, nei cui confronti la decisione
e' comunque destinata a esplicare i suoi effetti.
Risulta pertanto arbitrario escludere il contumace dalla
garanzia di 'ragionevole durata', che l'art. 111 della
Costituzione inserisce tra quelle del 'giusto processo' e
demanda alla legge di assicurare, insieme con quelle del
contraddittorio, della parita' tra le parti, della terzieta' e
imparzialita' del giudice, che certamente competono anche a chi non
si sia costituito in giudizio. Nella tradizione giuridica
italiana, del resto, lacontumacia e' sempre stata configurata
come un atteggiamento pienamente legittimo, non preclusivo
dell'assunzione della qualita' di parte, ma ragione anzi di talune
specifiche tutele.
Anche
la contumacia, peraltro, puo' in ipotesi influire ' talvolta
positivamente, talaltra negativamente ' sui tempi del giudizio,
rispettivamente implicando o escludendo, secondo i casi, la
necessita' di alcune attivita' processuali. Consiste dunque pure essa
in un 'comportamento' della parte, valutabile, ai sensi del II comma
dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, ai fini
dell'accertamento della violazione del principio
di ragionevole durata. Non e' allora condivisibile
l'assunto secondo cui la contumacia preclude comunque il
riconoscimento del diritto all'equa riparazione, poiche'
impedisce di applicare il criterio del 'comportamento delle
parti', del quale occorre tenere conto, a norma della disposizione
suddetta. Puo' peraltro accadere che anche la parte costituita in
giudizio non abbia tenuto affatto condotte idonee a incidere in
qualche modo sulla durata del processo: il che non fa venire
meno il suo diritto a essere indennizzata, ove il
termine ragionevole sia stato superato, anche se il
parametro del suo 'comportamento' risulta in tal caso inutilizzabile.
Ugualmente
incongruo appare l'altro argomento addotto a sostegno della tesi
dell'incompatibilita' tra contumacia e diritto
all'equa riparazione: la mancata costituzione in
giudizio viene considerata come indice univoco di disinteresse
all'esito della lite e conseguentemente alla sua durata, la
quale pertanto, pur se eccessiva, non potrebbe comportare quel
patema d'animo che invece prova chi partecipa attivamente
al processo. Si tratta di asserzioni e deduzioni aprioristiche,
basate su assiomatici presupposti. La scelta della contumacia puo'
derivare dalle piu' varie ragioni, anche diverse dall'indifferenza
per il risultato e per i tempi della controversia, come tra l'altro
la convinzione della totale plausibilita' o al contrario della
assoluta infondatezza delle ragioni avversarie, che possono far
apparire inutile affrontare le spese occorrenti per contrastarle,
costituendosi in giudizio. L'esito della causa, peraltro, e'
ininfluente ai fini del riconoscimento del diritto all'indennizzo,
che compete anche alla parte soccombente. Inoltre la durata superiore
ai limiti della ragionevolezza del processo fa
presumere senz'altro la causazione di un danno non patrimoniale (in
questa sede soltanto su di esso si verte) di per se' derivante
dall'attesa, prolungata per un tempo esorbitante, di una decisione
che comunque incide sulla parte nei cui confronti viene
assunta. Non vi e' dunque ragione per negare che anche
il contumace possa subire quel disagio psicologico, che
normalmente risentono le parti a causa del ritardo eccessivo con cui
viene definito il processo che le riguarda.
La
mancata costituzione in giudizio puo' quindi eventualmente
influire sull'an o sul quantum dell'equa riparazione, ma non
costituisce di per se' motivo per escludere senz'altro il relativo
diritto.
Accolto pertanto il
primo motivo di ricorso, resta assorbito il secondo, con cui F.G. ,
in via subordinata, sostiene che l'indennizzo avrebbe dovuto
essergli attribuito per l'intero periodo successivo alla
sua costituzione in giudizio, senza le decurtazioni operate
dalla Corte d'appello.
Il
decreto impugnato deve pertanto essere cassato,
nella parte in cui ha provveduto sulla domanda di F.G. , con rinvio
ad altro giudice, che si designa nella Corte d'appello di Perugia in
diversa composizione, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle
spese del giudizio di legittimita'.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il
secondo; cassa il decreto impugnato nella parte in cui ha
provveduto sulla domanda di F.G. ; rinvia la causa alla Corte
d'appello di Perugia in diversa composizione, cui rimette anche la
pronuncia sulle spese del giudizio di legittimita'.
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