CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2013, n. 26483
Tributi
– Omissioni compiute dall’ufficio postale incaricato della
notifica – Difetto di prova dell’avvenuta notifica – Nullità
degli atti
Osserva
La CTR di
Palermo ha accolto l’appello di C.V. – appello proposto contro
la sentenza n.625/04/2009 della CTP di Agrigento che aveva respinto
il ricorso del contribuente – ed ha così annullato la cartella di
pagamento per IVA-IRPEF-IRAP relative all’anno d’imposta 2000 e
derivanti da 4 diversi avvisi di accertamento e 4 diversi atti di
contestazione, cartella che il contribuente aveva impugnato
sostenendo, tra l’altro, di non avere ricevuto la notifica degli
atti presupposti.
La predetta
CTR ha motivato la decisione ritenendo che dalla documentazione
prodotta risultava l’esistenza di omissioni compiute dall’ufficio
postale incaricato in ordine alla notifica degli atti prodromici
alla iscrizione a ruolo, in particolare su quattro delle ricevute
non risultavano riportate gli estremi delle raccomandate attestanti
l’avvenuto deposito del plico presso l’ufficio postale; su due
altri avvisi di ricevimento mancava il preciso riferimento al numero
dell’atto notificato; su uno degli avvisi di ricevimento risultava
mancante la parte retrostante della ricevuta con le specifiche
annotazioni dell’addetto al recapito. Nel difetto della prova
dell’avvenuta notifica degli atti presupposti, la CTR ha
dichiarato l’invalidità della cartella di pagamento.
L’Agenzia
ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La parte
contribuente si è difesa con controricorso e ricorso incidentale.
Entrambi i
ricorsi – ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente
relatore – possono essere definiti ai sensi dell’art. 375 cpc.
Quanto al
ricorso principale, con il primo motivo di impugnazione (improntato
alla violazione art. 57 della legge n. 546/1992) la ricorrente si
duole infondatamente dell’accoglimento da parte del giudice di
appello di censure “nuove”, perché mai prospettate in primo
grado, relative al fatto che non sarebbero state osservate le
formalità dell’art. 140 cpc in relazione alle notifiche degli
atti presupposti, mentre nel primo grado la parte ricorrente si era
doluta soltanto di omessa notifica degli anzidetti.
La censura
non appare munita di pregio perché la parte ricorrente, contestando
di non avere mai ricevuto gli atti presupposti ha condensato in
questa censura ogni possibile ragione di omessa notifica dei
provvedimenti, non esclusa quella connessa con l’inidonea
realizzazione della procedura di notificazione, sicché le
specifiche contestazioni che l’appellante contribuente ha
formulato nell’atto introduttivo del giudizio (dopo avere avuto
modo di esaminare i documenti concernenti la notifica, prodotti in
giudizio dall’Agenzia resistente) non costituiscono ampliamento
del thema decidendum già fatto oggetto del contradditorio
giudiziale nel primo grado.
Con il
secondo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art.
112 cpc, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc) la parte ricorrente
si duole del fatto che – pur avendo la parte appellante dedotto
unicamente il mancato rispetto della procedura notificatoria di
competenza dell’ufficiale giudiziario – i giudici di appello
abbiano accolto l’appello in ragione di presunti vizi della
notificazione degli atti impositivi a monte della cartella per vizi
diversi da quelli espressamente dedotti dal contribuente.
Il motivo
appare inammissibilmente formulato per violazione del canone di
autosufficienza.
La parte
ricorrente non ha delucidato con le debite modalità (riproducendo
il contenuto dell’atto di appello) in che cosa sarebbero
consistiti gli specifici vizi proposti dalla parte appellante e
rispetto ai quali il giudicante avrebbe provveduto “ultra
petitum”.
In carenza
di un dettaglio chiaro e rispettoso del canone di autosufficienza
circa il preciso oggetto delle questioni delineate e risolte nei
pregressi gradi di giudizio, non può che ritenersi che il motivo di
ricorso sia inammissibile, poiché impedisce alla Corte di
effettuare la dovuta verifica della rilevanza e concludenza della
censura in relazione al tenore degli atti processuali richiamati
(cfr. sull’onere di integrale trascrizione del contenuto degli
atti sui quali si fonda il vizio di legittimità denunciato, al fine
di ottemperare al requisito di autosufficienza ex art. 366 co 1 n. 6
c.p.c.: Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. VI sez. ord.
30.7.2010 n. 17915; id. IlI sez. 4.9.2008 n. 22303; id. IlI sez.
31.5.2006 n. 12984; id. I sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav.
21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388. Con specifico
riferimento alla denuncia di “errores in procedendo”. Cfr Corte
cass. sez. lav. 23.3.2005 n. 6225; id. sez. lav. 7.3.2006 n. 4840).
Con il terzo
motivo di impugnazione (fondato sulla violazione degli art. 8 e 14
della legge n. 890/1982, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc) la
parte ricorrente prospetta che – come si evince dalla
documentazione allagata sub 4 alle controdeduzioni dell’Ufficio in
appello – gli atti impositivi presupposti erano stati notificati a
mezzo posta ex art. 14 legge n. 289/2002, che consente
all’Amministrazione di provvedere direttamente alla notifica degli
atti impositivi mediante spedizione con raccomandata postale. Perciò
si dovevano applicare alla notifica le norme concernenti il servizio
postale ordinario e non quelle della legge n. 890/1982, sicché la
notifica degli atti impositivi avrebbe dovuto ritenersi ritualmente
effettuata (per compiuta giacenza) senza la necessità dell’invio
delle raccomandate informative ex art. 8 della legge n. 890/1982.
La doglianza
appare inammissibilmente formulata, per ragioni non diverse da
quelle poste a fondamento del rigetto della censura che precede.
Ed invero,
la parte ricorrente si è limitata a postulare che la notifica degli
atti presupposti sia avvenuta con l’ordinario strumento della
raccomandazione postale direttamente effettuata da parte
dell’Amministrazione Finanziaria, in tal modo contraddicendo
l’espresso accertamento effettuato dal giudicante di merito che
invece ha dato atto che l’invio dei plichi è avvenuto a mezzo
“dell’ufficio postale incaricato”, e perciò secondo la
procedura regolata dall’art. 8 della legge n. 890/1982.
A fronte di
tale accertamento, non solo la censura qui proposta è stata
erroneamente individuata nella sua tipologia (poiché rivolta nei
confronti di una valutazione del giudice di merito mediata
attraverso le risultanze di causa, e perciò afferente al fatto e
non al diritto) ma non è stata neppure corredata dalle necessarie
specifiche trascrizioni dei documenti rilevanti ai fini del supporto
della fondatezza della censura, sicché alla Corte non è dato
effettuare alcuna verifica sulla rilevanza e presumibile fondatezza
degli assunti su cui la censura si regge.
Venendo
infine al ricorso incidentale (centrato sulla violazione degli art.
91, 92, 132 comma 2 n. 4 cpc e 118 disp. Att. cpc, nonché sul vizio
di omessa e insufficiente motivazione), la parte ricorrente si duole
del fatto che il giudice del merito abbia compensato le spese di
giudizio sulla scorta del semplice richiamo alle “situazioni
fattuali” dedotte in causa e perciò con motivazione di stile e
sostanzialmente tautologica.
Il motivo
appare fondato e da accogliersi, alla luce della costante e ribadita
giurisprudenza di questa Corte (si veda, per tutte Cass. Sez. 6-2,
Ordinanza n. 26987 del 15/12/2011) secondo la quale: “In tema di
spese giudiziali, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da
indicarsi esplicitamente nella motivazione, in presenza delle quali,
ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo
introdotto dall’art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263), il
giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio
non possono essere tratte dalla struttura del tipo di procedimento
contenzioso applicato né dalle particolari disposizioni processuali
che lo regolano, ma devono trovare riferimento in specifiche
circostanze o aspetti della controversia decisa. (In applicazione
del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva
dichiarato compensate le spese in un giudizio di opposizione avverso
l’irrogazione di sanzione amministrativa, sul presupposto della
limitata attività difensiva della parte, correlata alla natura
della controversia)”.
Poiché nel
provvedimento qui impugnato non ha trovato rilievo alcuno – ai
fini della compensazione – il fatto processuale controverso ma una
generica considerazione della natura della controversia, non idonea
a costituire oggetto del controllo che compete a questa Corte, non
resta che concludere che la pronuncia merita – sul punto –
Cassazione, con conseguente rimessione della lite al giudice del
merito affinché rinnovi l’apprezzamento in ordine alla questione
relativa alla regolazione delle spese di lite ed alla loro
liquidazione.
Pertanto, si
ritiene che il ricorso principale può essere deciso in camera di
consiglio per manifesta infondatezza e inammissibilità, e il
ricorso incidentale per manifesta fondatezza.
Che la
relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata
agli avvocati delle parti;
- che non
sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
- che il
Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio,
condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e,
pertanto, il ricorso incidentale va accolto, previo rigetto di
quello principale;
- che le
spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale. Cassa la
decisione impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia alla CTR
Sicilia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese
di lite del presente grado.
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