CONSIGLIO
DI STATO, SEZ. IV - SENTENZA 2 settembre 2011, n.4970 - Pres.
Giaccardi – est. Sabatino
SENTENZA
sul
ricorso in ottemperanza n. 2515 del 2011, proposto da Antonio Martino
Lupacciolu, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni M. Lauro,
Anna Ingianni e Francesco Asciano, ed elettivamente domiciliato
presso quest’ultimo in Roma, via Bazzoni n. 1, come da mandato a
margine del ricorso introduttivo;
contro
Comune
di Olbia, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Clarizia, ed elettivamente
domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Principessa Clotilde
n. 2, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e
risposta;
per
l’esecuzione
della
decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quarta, n. 8650 del 9 dicembre 2010;
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Olbia;
Viste
le memorie difensive;
Visto
l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2011 il Cons. Diego
Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Ingianni e Clarizia;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
ricorso iscritto al n. 2515 del 2011, Antonio Martino Lupacciolu
propone giudizio per l’ottemperanza alla decisione del Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 8650 del 9 dicembre
2010 con la quale è stato accolto l’appello proposto contro la
sentenza del T.A.R. della Sardegna, n. 236 del 2004.
La
sentenza ottemperanda ha riformato la sentenza di primo grado con la
quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna aveva
accolto solo in parte il ricorso in primo grado proposto dall’odierno
ricorrente per l'annullamento:
1)
del decreto di occupazione d’urgenza n. 4/03 del 30/09/2003,
notificato alla parte ricorrente in data 6/10/2003 unitamente
all’avviso di immissione in possesso dell’immobile espropriando
per il giorno 3/11/2003;
2)
della deliberazione della Giunta Comunale n. 160 del 26/05/2003 –
di approvazione della proposta di deliberazione n. 25 del 22/05/2003
– con la quale è stato approvato il progetto definitivo per la
realizzazione dei parcheggi pubblici nella via Nanni, è stata
dichiarata la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità
dell’opera e sono stati fissati i termini per l’inizio e
l’ultimazione di lavori ed espropriazioni;
3)
della deliberazione del Consiglio Comunale n. 120 del 05/08/2003 –
di approvazione della proposta di deliberazione n. 55 del 01/08/2003
– con la quale è stata approvata una variante al Programma di
Fabbricazione del Comune di Olbia per il reperimento di parcheggi e
di verde pubblico nel centro urbano;
4)
nonché, con l’atto di motivi aggiunti, della determinazione n. 167
del 13/6/2003 del Dirigente del Settore Tecnico del Comune di Olbia
con il quale è stato approvato il progetto esecutivo per la
realizzazione dei parcheggi pubblici.
La
sentenza di primo grado, in particolare, aveva ritenuto fondate le
censure proposte avverso il decreto di occupazione d’urgenza e la
delibera di approvazione del progetto definitivo, mentre aveva
respinto la domanda di annullamento della delibera di approvazione
della variante allo strumento urbanistico.
Con
la sentenza ottemperanda, la Sezione, disattesa l’eccezione di
difetto di interesse in capo agli appellanti e dopo aver ricordato il
contenuto demolitorio della sentenza di primo grado in relazione
all’impugnativa della deliberazione della Giunta comunale n.
160/2003, aveva soffermato la sua attenzione sulla deliberazione
consiliare n. 120/2003, che il T.A.R. aveva ritenuto legittima. La
Sezione, sottolineando il legame tra i due due provvedimenti
distinti, ossia la variante localizzativa dell’opera pubblica e
l’atto di approvazione del relativo progetto definitivo, avvinti da
un rapporto di presupposizione-consequenzialità, provvedeva ad
accogliere l’appello, estendendo il petitum di annullamento del
giudizio di primo grado anche alla deliberazione del Consiglio
Comunale di Olbia n. 120 in data 5 agosto 2003.
Il
ricorrente agisce quindi per vedere accolta la sua domanda, e quindi
per ottenere la restituzione del bene illegittimamente ablatogli,
chiedendo a questa Sezione di ordinare al Comune di Olbia il rilascio
del lotto libero da persone e cose, nominando, ove necessario, un
commissario ad acta.
Si
costituiva il Comune di Olbia, chiedendo di dichiarare inammissibile
o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza
in camera di consiglio del 5 luglio 2011, il ricorso è stato
discusso ed assunto in decisione.
DIRITTO
1.
- Il ricorso è fondato e merita accoglimento entro i termini di
seguito precisati.
2.
- In via di fatto, la Sezione rileva come, a seguito della sentenza
di primo grado data dal T.A.R. della Sardegna, n. 236 del 2004 e
della decisione ottemperanda, n. 8650 del 9 dicembre 2010, l’intero
procedimento espropriativo posto in essere dal Comune di Olbia sia
stato integralmente posto nel nulla, non sussistendo più alcun
fondamento giuridico per il mantenimento in mano pubblica del bene di
proprietà dei ricorrenti.
Questa
Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio
2006, nr. 290) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica
non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al
privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un
superamento dell’interpretazione che riconnetteva alla costruzione
dell'opera pubblica all’irreversibile trasformazione effetti
preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato
operata in relazione al diritto comune europeo.
Partendo
dall’esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti
dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale
nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e,
in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio
2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera). Nella sentenza
citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera
pubblica non fosse impedimento alla restituzione dell'area
illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità
- occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno.
Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato
dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità
dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può
legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il
risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in
pristino.
La
realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato
è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo
dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento
della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione
dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla
restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o
abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri
comportamenti, fatti o contegni.
Ne
discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque
acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno
evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione
della proprietà illegittimamente detenuta.
3.
- In merito alle attribuzioni dell’amministrazione, va
sottolineato, al fine di rispondere alle eccezioni proposte dal
Comune nella sua costituzione, che se è ben vero che l’annullamento
di un atto per difetto di motivazione comporta normalmente il solo
obbligo di procedere ad una nuova determinazione, è del pari vero
che in ambito espropriativo l’annullamento degli atti impositivi
del vincolo preordinato all’esproprio elimina dal mondo giuridico
l’intera procedura ablatoria, rendendo impossibile il recupero
della fattispecie, che si conclude con una materiale apprensione
dell’utilitas altrui, con il mero rinnovo motivazionale.
Al
contrario, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene
facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto,
tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il
provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la
riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.
L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi
fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie
legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente
dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o
autoritativamente.
A
questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al
procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43
del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 “Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilità” ed ora, successivamente alla sentenza della Corte
costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art.
42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma
1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 “Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria”, convertito in legge 15 luglio 2011 n.
111.
Allo
stato, tuttavia, emerge dagli atti come l’amministrazione non abbia
fatto uso di nessuno dei mezzi giuridici a sua disposizione,
rimanendo così integra la situazione di illegittimità evidenziata
dai ricorrenti. Deve quindi accogliersi la domanda proposta,
ordinando al Comune di Olbia la restituzione del bene in questione e
disponendo, nel caso di ulteriore inottemperanza, la nomina di un
commissario ad acta.
4.
- Il ricorso va quindi accolto. Le spese processuali seguono la
soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così
provvede:
1.
Accoglie il ricorso n. 2515 del 2011 e per l’effetto ordina che il
Comune di Olbia dia integrale esecuzione alla decisione del Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 8650 del 9
dicembre 2010, nei sensi indicati in motivazione, adottando gli atti
necessari nel termine di giorni 120 (centoventi) dalla comunicazione
in via amministrativa o dalla notifica della presente sentenza;
2.
Dispone che, in caso di ulteriore inadempimento, a tale attività
provveda il commissario ad acta, qui nominato nella persona del
responsabile della Direzione generale della pianificazione
urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione
Sardegna o di un funzionario dallo stesso delegato, previa richiesta
del ricorrente una volta scaduto inutilmente il termine di centoventi
giorni predetto;
3.
Condanna il Comune di Olbia a rifondere a Antonio Martino Lupacciolu
le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi €.
2.000,00 (euro duemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore
e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese
generali, come per legge.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’autorità
amministrativa.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.