CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2013, n. 27057
Lavoro
subordinato – Estinzione del rapporto – Licenziamento per
assenza ingiustificata – Dipendente in periodo di ferie – Non
sussiste
Svolgimento
del processo
G.P.,
premesso di essere stato assunto il 1.10.1991 alle dipendenze del
Comune di Revere con contratto a tempo indeterminato come
responsabile dell’Ufficio Tecnico e di essere stato licenziato,
con lettera del 28.10.2005, per assenza ingiustificata dall’8.8.05,
adiva il Tribunale di Mantova contestando la legittimità formale e
sostanziale del recesso in quanto egli si trovava legittimamente in
ferie.
Si
costituiva in giudizio il Comune di Revere, che contestava quanto
dedotto, difendendo la regolarità formale e sostanziale del
licenziamento e negando di dovere alcunché come differenze
retributive.
Il
primo giudice, sentito il superiore gerarchico del G., che
riconosceva come propria la firma apposta alla domanda di ferie,
accoglieva parzialmente le domande, ritenendo illegittimo il
licenziamento in quanto l’assenza era giustificata dalla
concessione delle ferie, e condannando il Comune alla reintegrazione
e al risarcimento del danno ex art. 18 L. 300/70, detratto l’aliunde
perceptum, oltre alla corresponsione di una parte degli incentivi
richiesti.
Appellava
il Comune lamentando l’erroneità della sentenza che non aveva
tenuto conto del fatto che il licenziamento era seguito a due ordini
di riprendere servizio, a cui il dipendente non aveva adempiuto;
poiché egli era tenuto, da una precisa norma del contratto
collettivo, ad essere reperibile, il fatto che non vi avesse
provveduto rendeva automaticamente conosciute tutte le comunicazioni
inviategli al domicilio inizialmente dichiarato, benché non
ritirate. Il datore di lavoro, infatti, manteneva sempre il potere
di revocare le ferie già concesse e il non aver adempiuto
all’obbligo di presentarsi al lavoro rendeva illegittima la
condotta contestata.
Si
costituiva il G. resistendo al gravame e proponendo appello
incidentale circa il mancato riconoscimento di taluni compensi
aggiuntivi richiesti.
Quanto
all’appello principale evidenziava che, essendo l’assenza
legittima, il dipendente non aveva nessun obbligo di reperibilità
durante le ferie.
Con
sentenza depositata il 2 luglio 2010, la Corte d’appello di
Brescia respingeva entrambi i gravami.
Per
la cassazione propone ricorso il Comune di Revere, affidato a tre
motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste
il G. con controricorso.
Motivi
della decisione
1.
-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1335 c.c. e 45 e 23 del c.c.n.l. 6 luglio
1995 per il personale dipendente dalle amministrazioni del Comparto
Regioni-Autonomie locali, così come sostituito dall’art. 24 del
c.c.n.l. 22.1.04. Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia
(art. 360, comma 1, nn.3 e 5 c.p.c.).
Lamenta
che il giudice di appello negò erroneamente che le comunicazioni
(di richiamo in servizio) inviate al dipendente presso il suo
domicilio fossero irrilevanti essendo questi in ferie. Ciò in base
al principio di cui all’art. 1335 c.c. nonché al principio
secondo cui, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
3 del 2010, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale
dell’art. 140 c.p.c., la notificazione effettuata ai sensi di tale
disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento
della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della
compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del
termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. n. 4748\11).
Evidenzia che l’art. 23 del c.c.n.l. di comparto prevedeva tra i
doveri del dipendente quello di “comunicare all’Amministrazione
la propria residenza e, ove non coincidente, la dimora temporanea
nonché ogni successivo mutamento delle stesse”.
Ne
conseguiva che il dipendente in ferie fosse tenuto a comunicare la
sua dimora temporanea ed i successivi eventuali mutamenti.
Il
motivo è infondato. La norma contrattuale invocata tutela il
diritto del datore di lavoro di conoscere il luogo ove inviare
comunicazioni al dipendente nei corso del rapporto di lavoro e non
già, stante la natura costituzionalmente tutelata del bene, ivi
comprese le connesse esigenze di privacy, durante il legittimo
godimento delle ferie (che il lavoratore è libero, salvo diverse
pattuizioni, di godere secondo le modalità e nelle località che
ritenga più congeniali al recupero delle sue energie psicofisiche),
risolvendosi l’opposta interpretazione in una compressione del
diritto alle ferie, costringendo il lavoratore in viaggio non solo a
far conoscere al datore di lavoro i luoghi e tempi dei suoi
spostamenti, ma anche ad una inammissibile e gravosa attività di
comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti.
2.
Con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione dell’art.
2109 c.c. e dell’art. 18 del c.c.n.I. 6.7.95, così come
confermato dall’art. 45 del c.c.n.I. 22.1.04.
Lamenta
che in ogni caso la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere che
il datore aveva il diritto di richiamare dalle ferie il dipendente
con ordine per quest’ultimo vincolante, permanendo, anche durante
il godimento delle ferie, il potere del datore di lavoro di
modificare il periodo feriale anche a seguito di una
riconsiderazione delle esigenze aziendali, come del resto previsto
dal citato art. 18 del c.c.n.I. che prevede la possibilità per il
datore di lavoro di interrompere o sospendere il periodo feriale già
in godimento.
3.
Con il terzo motivo il Comune lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 55 d.lgs. n. 165\01 e dell’art. 25 del
c.c.n.I. per il personale del comparto Regioni-Autonomie locali del
6.7.95 e 22.1.04. Lamenta che dal combinato disposto delle norme
invocate doveva evincersi la legittimità del licenziamento per
l’assenza ingiustificata, quale che fosse la causa dell’assenza,
evidenziando che il Comune aveva inviato al domicilio del G. (in
ferie) l’invito a riprendere il servizio.
4.
I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi
congiuntamente, sono infondati. In realtà l’invocato art. 18
stabilisce, per quanto qui interessa, che “Le ferie sono un
diritto irrinunciabile, non sono monetizzabili, salvo quanto
previsto nel comma 16 (attinente l’impossibilità di fruirne).
Esse sono fruite nel corso di ciascun anno solare, in periodi
compatibili con le oggettive esigenze di servizio, tenuto conto
delle richieste del dipendente” (comma 9); ancora che
“Compatibilmente con le oggettive esigenze del servizio, il
dipendente può frazionare le ferie in più periodi. La fruizione
delle ferie dovrà avvenire nel rispetto dei turni di ferie
prestabiliti, assicurando comunque al dipendente che ne abbia fatto
richiesta i! godimento di almeno 2 settimane continuative di ferie
nel periodo 1 giugno – 30 settembre” (comma 10); ancora che
“Qualora le ferie già in godimento siano interrotte o sospese per
motivi di servizio, il dipendente ha diritto al rimborso delle spese
documentate per il viaggio di rientro in sede e per quello di
ritorno al luogo di svolgimento delle ferie, nonché all’indennità
di missione per la durata del medesimo viaggio; il dipendente ha
inoltre diritto al rimborso delle spese anticipate per il periodo di
ferie non goduto” (comma 11); ancora che “In caso di
indifferibili esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il
godimento delle ferie nel corso dell’anno, le ferie dovranno
essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo”
(comma 12); quindi che “Le ferie sono sospese da malattie
adeguatamente e debitamente documentate che si siano protratte per
più di 3 giorni o abbiano dato luogo a ricovero ospedaliero.
L’amministrazione deve essere stata posta in grado di accertarle
con tempestiva informazione” (comma 14).
Come
risulta evidente non vi è, nell’invocato art. 18, alcuna norma
che preveda un potere totalmente discrezionale del datore di lavoro
di interrompere o sospendere II periodo feriale già in godimento,
risultando allo scopo insufficiente il generico inciso di cui al
comma 11 “Qualora le ferie già in godimento siano interrotte o
sospese per motivi di servizio”, che nulla dice circa le modalità
con cui l’interruzione o la sospensione possa essere adottata e
debba essere comunicata. Deve anzi evidenziarsi che questa Corte,
pur avendo affermato il diritto del datore di lavoro di modificare
il periodo feriale in base soltanto a una riconsiderazione delle
esigenze aziendali, ha al contempo ritenuto che le modifiche debbano
essere comunicate al lavoratore con congruo preavviso (Cass. n.
1557\00). Ciò presuppone all’evidenza una comunicazione
tempestiva ed efficace, idonea cioè ad essere conosciuta dal
lavoratore prima dell’inizio del godimento delle ferie, tenendo
conto che il lavoratore non è tenuto, salvo patti contrari, ad
essere reperibile durante il godimento delle ferie (e salvo il
diverso caso di comunicata malattia insorta nel periodo feriale, al
fine di sospenderne il decorso e consentire al datore di lavoro i
controlli sanitari, Cass.n.12406\99).
Il
lavoratore è infatti libero di scegliere le modalità (e località)
di godimento delle ferie che ritenga più utili (salva la diversa
questione dell’obbligo di preservare la sua idoneità fisica,
Cass. sez.un.n.1892\82), mentre la reperibilità del lavoratore può
essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto
individuale o collettivo del lavoratore in servizio ma non già del
lavoratore in ferie, salvo specifiche difformi pattuizioni
individuali o collettive.
Il
ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le
spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in €.50,00 per
esborsi, €.4.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.