N.
04035/2013 REG.PROV.COLL.
N.
02854/2013 REG.RIC
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 2854 del 2013, proposto dalla
società Sda Express Courier Spa, rappresentata e difesa dagli
avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco, con domicilio eletto
presso il primo in Roma, viale Regina Margherita, 294;
contro
Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), rappresentato e difeso
dagli avvocati Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D'Aloisio ed
Emanuele De Rose e presso l’ufficio dei medesimi domiciliato in
Roma, via della Frezza, 17; Istituto Nazionale della Previdenza
Sociale, sede di Lucca;
nei
confronti di
Ditta
Roma Service, Ditta Nonni Luca;
per
la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma, sezione iii, n.
00168/2013, resa tra le parti, concernente diniego di accesso ai
documenti per l’irrogazione di sanzione pecuniaria;
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale della
Previdenza Sociale;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 il Cons.
Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Loria per
delega dell’avv. Angelo Vallefuoco, Valerio Vallefuoco e Maritato;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
e DIRITTO
Attraverso
l’atto di appello in esame (n. 2854/13, notificato il 4.4.2013) si
contesta la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il
Lazio, Roma, sez. III, n. 168/13 del 9.1.2013, che non risulta
notificata, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso
proposto dalla società SDA Express Courier s.p.a. avverso il rigetto
di un’istanza di accesso, finalizzata ad ottenere l’esibizione
degli atti relativi al procedimento, concluso con verbale unico di
accertamento n. 000237640 del 18.5.2012, redatto nei confronti della
Società Cooperativa Roma Service s.r.l. per violazione degli
obblighi contributivi e presupposto di una sanzione pecuniaria, posta
a carico anche dell’odierna appellante come obbligata solidale.
Nella
citata sentenza si rilevava come causa di inammissibilità l’omessa
notifica del gravame ai lavoratori cui si riferivano gli omessi
versamenti previdenziali, dovendo attribuirsi agli stessi la qualità
di soggetti controinteressati, poichè titolari di un diritto alla
riservatezza, inciso dall’istanza di accesso di cui trattasi.
In
sede di appello la citata società SDA Express Courier sottolineava
l’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui le esigenze di difesa,
sottostanti all’istanza di accesso, sarebbero state prevalenti
rispetto alle esigenze di riservatezza di eventuali soggetti terzi;
nella situazione in esame, inoltre, sarebbe stata rilevante solo la
posizione della società coobbligata in solido, cui il ricorso era
stato regolarmente notificato, con irrilevanza al riguardo delle
posizioni dei dipendenti di quest’ultima (alla quale soltanto, in
ipotesi, avrebbero potuto riferirsi eventuali esigenze, connesse a
rischi di ritorsioni o comportamenti discriminatori nei confronti dei
propri dipendenti).
Premesso
quanto sopra, il Collegio ritiene che le ragioni difensive
dell’appellante non siano condivisibili.
Sembra
opportuno premettere, infatti, che le disposizioni in materia di
diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale
fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità
dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22 della
citata legge n. 241/90 – con il bilanciamento da effettuare
rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente –
quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili”…che
dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza” ( art. 22 cit., comma 1, lettera c); il
successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di
esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma casi di
possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi
– al punto d) – quelli relativi a “documenti che riguardino la
vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone
giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare
riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale,
finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché
i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi
soggetti a cui si riferiscono”. In via attuativa, il D.M.
4.11.1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti,
formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della
previdenza sociale sottratti al diritto di accesso) inserisce fra
tali categorie – all’art. 2, lettere b) e c) – “i documenti
contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro”,
nonché “i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle
attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare
azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di
lavoratori o di terzi”.
In
rapporto a tale quadro normativo, anche la giurisprudenza – benchè
con indirizzo non univoco, ma comunque da rapportare di volta in
volta alle specifiche vicende contenziose – ha più volte
confermato la sottrazione al diritto di accesso della documentazione,
acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attività
di controllo loro affidata (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.1.1999, n.
65, 19.11.1996, n. 1604, 22.4.2008, n. 1842 e 9.2.2009, n. 736).
E’
vero d’altra parte che, in via generale, le necessità difensive –
riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione
– sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti
terzi (cfr. in tal senso Cons. St., Ad Plen. 4.2.1997, n. 5) ed in
tal senso il dettato normativo richiede che l’accesso sia garantito
“comunque” a chi debba acquisire la conoscenza di determinati
atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti (art.
20, comma 7, L. n. 241/90 Cit.); la medesima norma tuttavia – come
successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 L. n.
45/01, art. 176, c. 1, D.Lgs. n. 196/03 e art. 16 L. n. 15/05) –
specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa
genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo
quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di
interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui
sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti,
contenenti “dati sensibili e giudiziari”.
Ferma
restando, dunque, una possibilità di valutazione “caso per caso”,
che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze
difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798/08 del
29.7.2008, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni
di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma “con modalità che
escludano l’identificazione degli autori delle medesime”), non
può però affermarsi in modo aprioristico una generalizzata
recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni
possibile informazione, per finalità di controllo della regolare
gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro
volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa
delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo di tali
interessi, infatti, non potrebbe non risultare compromesso dalla
comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la
tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque
garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni,
dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere,
nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in
sede giudiziaria.
Nel
caso di specie, la questione del bilanciamento tra diritto di difesa
e diritto alla riservatezza, che è questione di merito, non assorbe
la questione processuale pregiudiziale, e cioè la mancata
notificazione del ricorso di primo grado, prescritta dall’art. 116
comma 1 cpa, ai soggetti realmente controinteressati: i lavoratori.
Detto
ricorso risulta infatti notificato, oltre che all’INPS, alla ditte
Roma Service e Nonni Luca, da ritenere – in ordine alle esigenze
difensive giustificatrici dell’accesso – titolari di una
posizione non contrapposta, ma di cointeresse rispetto a quella della
medesima appellante, che ha agito nella qualità di coobbligata in
solido con i responsabili dell’omesso assolvimento degli oneri
contributivi, nei confronti di lavoratori occupati presso le ditte
subappaltatrici.
Detti
lavoratori risultavano, in parte, nominativamente indicati (e dunque
facilmente individuabili) nel testo del verbale ispettivo, che li
segnalava come “lavoratori in nero occupati dalla Roma Service Soc.
Coop.”, con ulteriore segnalazione, nel medesimo verbale, della
presenza di “altri lavoratori ascoltati, individuati tra
collaboratori autonomi occasionali, soci e associati in
partecipazione”, che avrebbero rilasciato “dettagliate notizie in
merito al rapporto di lavoro intercorso con la Cooperativa”,
rilevanti ai fini delle conseguenze sanzionatorie contestate.
Appare
indubbio, in base a quanto sopra esposto, come i lavoratori – cui
si riferivano le omissioni contributive contestate – venissero a
trovarsi in posizione contrapposta, rispetto non solo alle società
datrici di lavoro, ma anche ad eventuali soggetti che, come l’attuale
appellante, fossero chiamati a rispondere in solido con queste ultime
delle sanzioni pecuniarie comminate.
La
contestazione di dette sanzioni, in effetti, non avrebbe potuto non
incidere sui diritti dei lavoratori interessati, le cui esigenze di
riservatezza – da ritenere sussistenti, nei termini già in
precedenza illustrati – entravano immediatamente in discussione in
rapporto ad esigenze difensive, che non potevano non coinvolgere
tutti i soggetti, a vario titolo obbligati, con conseguente
omogeneità della posizione del coobbligato solidale rispetto a
quella del datore di lavoro.
Correttamente
pertanto, ad avviso del Collegio, il ricorso di primo grado è stato
dichiarato inammissibile, per omessa notifica ad almeno un soggetto
controinteressato.
Per
le ragioni esposte, in conclusione, si ritiene che il ricorso debba
essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio
stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della non
univocità dei precedenti giurisprudenziali nella materia
controversa.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),
definitivamente pronunciando, respinge l’appello specificato in
epigrafe; compensa le spese giudiziali.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013
con l'intervento dei magistrati:
Stefano
Baccarini, Presidente
Maurizio
Meschino, Consigliere
Claudio
Contessa, Consigliere
Gabriella
De Michele, Consigliere, Estensore
Claudio
Boccia, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
31/07/2013
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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