Contestazione
disciplinare: necessaria la specificità per consentire al lavoratore
di
difendersi
Corte
di Cassazione Sezione civile, lavoro n. 17316/2013 del 15/7/2013
Svolgimento
del processo
A.T.
ha chiesto che venisse accertata l'illegittimità del licenziamento
intimatogli dalla Rete
Ferroviaria
Italiana a seguito di contestazione disciplinare del 19.7.2001, con
la quale gli era stato
addebitato
di essere venuto meno ai suoi compiti di Direttore del Museo di
(omissis), per quanto
atteneva,
in particolare, alla regolarità della gestione amministrativa e
contabile riguardante somme
incassate
in occasione di alcune visite di scolaresche effettuate presso il
Museo negli anni 1998-
2000.
Il
Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda con sentenza che,
sull'appello del lavoratore, è stata
riformata
dalla Corte d'appello della stessa città, che ha dichiarato
l'illegittimità del licenziamento e
ordinato
la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con le
conseguenze previste dall'art. 18
l.
n. 300/70. A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta
ritenendo che la contestazione degli
addebiti
fosse oltre modo generica e che anche dagli accertamenti ispettivi,
sui quali la società
aveva
fondato la contestazione non fosse emerso con certezza che la
disorganizzazione contabile e
amministrativa,
di cui era stato ritento responsabile il T. , fosse effettivamente a
lui ascrivibile, non
essendo
previste, come si leggeva nella relazione ispettiva, "chiare
definizioni delle mansioni e
responsabilità
del T. " e mancando "procedure formalizzate circa le
specifiche attività da svolgere".
Avverso
tale sentenza ricorre per cassazione la Rete Ferroviaria Italiana spa
affidandosi a tre motivi
di
ricorso, illustrati anche con memoria, cui resiste con controricorso
il T. .
Motivi
della decisione
1.-
Con il primo motivo, denunciando il difetto di motivazione su un
punto decisivo della
controversia,
la ricorrente si duole della statuizione con cui la Corte
territoriale ha ritenuto che la
contestazione
degli addebiti fosse generica. Sostiene invece che nella lettera di
contestazione erano
stati
indicati con precisione i fatti addebitati e le circostanze di tempo
in cui gli stessi si erano
verificati.
2.-
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2104 e 1176
c.c., nonché dell'art. 3
legge
n. 604/66, relativamente alla statuizione con cui la Corte
territoriale ha ritenuto che il T.
dovesse
andare esente da responsabilità in mancanza di precise direttive da
parte del datore di
lavoro
in ordine alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa,
chiedendo a questa Corte
di
stabilire se "il prestatore, a prescindere dalle direttive del
datore, deve eseguire la prestazione
secondo
la particolare qualità dell'attività dovuta, in relazione alle
mansioni ed ai profili
professionali
che la definiscono, ed altresì deve osservare, pur in assenza di
specifiche disposizioni,
tutti
quei comportamenti accessori e quelle cautele che si rendano
necessari ad assicurare una
gestione
professionalmente corretta".
3.-
Con il terzo motivo la società si duole della stessa statuizione
sotto il profilo del vizio di
motivazione.
4.-
La censura proposta con il primo motivo è fondata, ciò che tuttavia
non può comportare la
cassazione
della sentenza impugnata, ma solo la correzione della motivazione ex
art. 384, ultimo
comma,
c.p.c, dovendo essere respinte le censure (formulate con il secondo e
il terzo motivo)
relative
alle altre ragioni che sorreggono autonomamente la decisione della
Corte di merito, con
conseguente
rigetto del ricorso nella sua interezza.
4.1.-
Questa Corte ha già precisato (cfr. Cass. n. 8853/2002) che
l'esigenza della specificità della
contestazione
dell'addebito non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla
formulazione
dell'accusa
nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e ad
una regola assoluta e
astratta,
ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano
un rapporto
interpersonale
che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teleologicamente
finalizzata
all'esclusiva
soddisfazione dell'interesse dell'incolpato ad esercitare pienamente
il diritto di difesa.
Ed
ha ribadito (cfr. ex plurimis Cass. n. 18377/2006) che la
contestazione dell'addebito ha lo scopo
di
fornire al lavoratore la possibilità di difendersi, sicché la
specificità della contestazione sussiste
quando
sono fornite le indicazioni necessarie ad individuare nella sua
materialità il fatto nel quale il
datore
di lavoro abbia ravvisato la sussistenza di infrazioni disciplinari o
comunque comportamenti
in
violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c..
4.2.-
L'indagine sulla effettiva sussistenza del requisito della
specificità è comunque riservata al
giudice
del merito, il cui apprezzamento non è censurabile in sede di
legittimità se congruamente e
correttamente
motivato (cfr. ex plurimis Cass. 6877/98).
4.3.-
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che la
contestazione degli addebiti fosse
generica,
riguardando alcune irregolarità riscontrate nelle procedure
amministrative e contabili
seguite
dal T. - ed in particolare in quelle attinenti alla registrazione
delle somme incassate dal
Museo
e degli importi che dovevano essere versati alla società Ferrovie –
in occasione di visite
guidate
effettuate presso il Museo, di cui egli era il Direttore, negli anni
1998-2000, senza però che
fossero
state indicate precisamente le circostanze di tempo in cui si
sarebbero verificate le singole
irregolarità
e senza che fosse stato individuato analiticamente (e non solo nella
sua globalità)
l'importo
delle somme in questione.
4.4.-
La motivazione sul punto presenta, tuttavia, una obiettiva incoerenza
ed un evidente vizio
logico,
poiché, pur dando atto dell'orientamento giurisprudenziale secondo
cui la previa
contestazione
dell'addebito ha lo scopo di assicurare l'immediata difesa del
lavoratore, trascura poi
di
considerare, in primo luogo, che, allo scopo di realizzare il
risultato perseguito dalla legge, ossia
di
consentire al lavoratore la possibilità di difendersi, si richiede
soltanto che la contestazione
individui
i fatti addebitati con sufficiente precisione, in modo, cioè, che
non risulti incertezza circa
l'ambito
delle questioni sulle quali il lavoratore è chiamato a difendersi
(Cass. n. 624/98), e in
secondo
luogo che, nella specie, come risulta dai successivi passaggi della
motivazione della stessa
sentenza,
il lavoratore aveva avuto ampiamente modo di svolgere le proprie
difese, sottolineando in
proposito
che "nonostante le sue reiterate richieste, nessuna procedura
contabile era stata attuata,
per
cui egli, in assenza di qualunque organizzazione contabile, aveva
dovuto cercare di fare un po'
d'ordine
nelle visite al Museo di (omissis), ai fini statistici, ed aveva,
perciò, annotato su un
brogliaccio
le prenotazioni che gli pervenivano per le visite gratuite e per
quelle a pagamento
(queste
ultime erano solo quelle guidate), che, però, non sempre si
concretizzavano in visite
effettive
e non sempre venivano da lui annotate; che egli non aveva nessuna
mansione di natura
contabile
(non incassava somme né emetteva le fatture), demandata, invece,
alla segreteria
amministrativa
che rilasciava le eventuali ricevute; che la relazione "audit",
sulla quale la società
aveva
basato la sua contestazione, non aveva rilevato affatto sue
responsabilità, ma, invece,
confermato
la inesistenza di procedure formalizzate".
Il
giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla genericità
della contestazione non può
pertanto
essere condiviso.
5.-
Quanto alle censure formulate con il secondo ed il terzo motivo - che
possono essere esaminati
congiuntamente
per riguardare problematiche strettamente connesse tra loro - va
rilevato che in
ordine
alla problematica concernente il contenuto dell'obbligo di diligenza,
questa Corte ha già
affermato
che esso si sostanzia non solo nell'esecuzione della prestazione
lavorativa secondo la
particolare
natura di essa (diligenza in senso tecnico), ma anche nell'esecuzione
dei comportamenti
accessori
che si rendano necessari in relazione all'interesse del datore di
lavoro ad un'utile
prestazione
(cfr. ex plurimis Cass. n. 3845/92). Ed ha precisato (cfr. Cass. n.
12769/2000, richiamata
anche
dalla società ricorrente) che, a norma dell'art. 2104 c.c. (da
considerare in relazione all'art.
1176
c.c.), il lavoratore, anche in assenza di direttive del datore di
lavoro, deve eseguire la propria
prestazione
secondo la particolare qualità dell'attività dovuta, quale risulta
dalle mansioni e dai
profili
professionali che la definiscono, e deve osservare altresì tutti
quei comportamenti accessori e
quelle
cautele che si rendano necessari ad assicurare una gestione
professionalmente corretta.
5.1.-
Il richiamo, tuttavia, non giova alla tesi della ricorrente poiché,
nella fattispecie in esame, la
Corte
di merito ha escluso che al T. fossero state affidate mansioni di
controllo contabile, per quanto
riguarda
in particolare la gestione delle somme che venivano incassate e di
quelle che dovevano
essere
versate alla società Ferrovie, ed ha conseguentemente escluso che al
lavoratore potesse essere
ascritta
la violazione di comportamenti comunque riconducibili all'esecuzione
di tali mansioni, e
così
la responsabilità della disorganizzazione contabile e amministrativa
riscontrata dalla società
con
riferimento al periodo in questione.
5.2.-
Hanno infatti osservato i giudici di merito che dalla relazione
ispettiva era risultato che non vi
erano
all'epoca "procedure formalizzate circa le specifiche attività
da svolgere" e che il T. si
limitava
ad annotare su un brogliaccio le richieste di visita del Museo e ad
apporre il proprio visto
sul
fax di conferma della richiesta di visita. Anche dalla prova
testimoniale era emerso che "il T. era
stato
autorizzato all'uso del Museo per convegni e visite... non c'erano
disposizioni che assegnavano
al
T. il controllo contabile... neanche dopo la istituzione del conto
(omissis), avvenuta nel 2000,
furono
date al T. istruzioni contabili precise, se non che le somme
avrebbero dovuto essere versate
sul
conto stesso". Dalle dichiarazioni rese all'interrogatorio
libero dal procuratore speciale della
società
era risultato poi che gli introiti delle visite venivano versati
direttamente alla segreteria
amministrativa
del Museo, che a sua volta li trasmetteva all'Usat, mentre non
risultava che alcun
importo
fosse mai stato versato al T. .
5.3.-
La ricorrente ha censurato la decisione impugnata, anche sotto il
profilo del vizio di
motivazione,
sostenendo che la Corte territoriale non si sarebbe avvista che il T.
, siccome preposto
alla
direzione del Museo, doveva considerarsi quale titolare anche della
gestione amministrativa e
contabile
del Museo stesso, ed evidenziando che l'inesistenza di una procedura
formalizzata per la
gestione
della contabilità non lo esonerava dall'obbligo di predisporre una
documentazione idonea
ad
attestare lo svolgimento delle visite e il relativo incasso
economico, né gli avrebbe mai potuto
consentire
di occultare una gestione che, sotto il profilo economico, appariva
assolutamente
disorganizzata
ed irregolare.
5.4.-
Tali censure non possono tuttavia trovare ingresso in questa sede di
legittimità, atteso che con
le
stesse la società ricorrente, lungi dal denunciare lacune o
effettive contraddizioni logiche nella
motivazione
che sorregge l'accertamento di fatto sul quale è fondata la
decisione impugnata, si è
limitata
a prospettare - inammissibilmente - una diversa ricostruzione dei
medesimi fatti,
proponendone
un giudizio valutativo parimenti diverso e introducendo, per di più,
questioni che,
come
quella relativa al preteso occultamento della gestione patrimoniale
del Museo o alla
violazione
dell'obbligo di fedeltà, non risultano trattate nella sentenza
impugnata.
5.5.-
Al riguardo, va ribadito che il vizio di omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione
denunciabile
con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., si
configura soltanto quando
nel
ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o
insufficiente esame di punti
decisivi
della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio,
ovvero un insanabile
contrasto
tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire
l'identificazione del procedimento
logico-giuridico
posto a base della decisione, vizio che non è certamente
riscontrabile allorché -
come
verificatosi nel caso in esame - la decisione appaia comunque
assistita da motivazione
sufficiente
e non contraddittoria e il giudice del merito abbia semplicemente
attribuito agli elementi
valutati
un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle
deduzioni di parte, poiché,
diversamente,
il motivo di ricorso si risolverebbe in un'inammissibile istanza di
revisione delle
valutazioni
e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe
all'ottenimento di
una
nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle
finalità del giudizio di
cassazione
(cfr. ex plurimis, sui principi sopra indicati, Cass. n. 10657/2010,
Cass. n. 9908/2010,
Cass.
n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n.
18885/2008, Cass. n.
6064/2008).
Va rimarcato, poi, che i motivi del ricorso per cassazione devono
investire, a pena
d'inammissibilità,
questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio
d'appello,
non
essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità
questioni nuove o nuovi temi di
contestazione
non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di
questioni rilevabili d'ufficio
(cfr.
ex plurimis Cass. n. 20518/2008), e, in ogni caso, e quindi pur
quando si tratti di questioni
rilevabili
d'ufficio, laddove esse implichino una modifica dei termini della
controversia sviluppatasi
nei
precedenti gradi di merito o comunque presuppongano o richiedano
nuovi accertamenti di fatto
(Cass.
n. 19164/2007).
6.-
In definitiva, quindi, previa correzione della motivazione sul punto
relativo alla ritenuta
genericità
della contestazione degli addebiti, il ricorso deve essere rigettato.
Le
spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono
liquidate facendo
riferimento
alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla
tabella A ivi allegata, in
vigore
al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.),
disponendone la distrazione a
favore
dell'avv. Benino Migliaccio, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio
liquidate
in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori di legge,
disponendone
la distrazione a favore dell'avv. Benino Migliaccio, antistatario.
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