Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 3040/2013
Svolgimento
del processo
1
- Con ricorso depositato il 28 marzo 2006 C.G. chiese al Tribunale di
Cagliari l'accertamento della
dipendenza
da causa di servizio - e la conseguente corresponsione dell'equo
indennizzo – delle malattie contratte durante lo svolgimento del
servizio militare obbligatorio di leva in conseguenza di
un'aggressione subita il 14 luglio 1997 da parte di sconosciuti
mentre si trovava in libera uscita in
divisa.
2
- Radicatosi il contraddittorio, il Ministero della Difesa eccepì,
in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario in ragione della natura di rapporto di diritto pubblico del
servizio
militare
di leva e, nel merito, la mancanza di nesso causale tra lo
svolgimento del servizio di leva e l'aggressione patita.
3
- Con sentenza in data 12 giugno - 26 ottobre 2009 il Tribunale,
ritenuto che l'attore avesse fatto valere una posizione di diritto
soggettivo, accolse la domanda.
4
- Pronunciando sull'impugnazione principale del Ministero soccombente
e sull'incidentale del C., con sentenza in data 19 gennaio - 10
febbraio 2011 la Corte d'Appello di Cagliari retrodatò alla
presentazione della domanda amministrativa la decorrenza del diritto
riconosciuto al C. e pose a carico del Ministero le spese dei due
gradi di giudizio. La Corte territoriale osservò per quanto
interessa: il servizio militare di leva non determina l'esistenza di
un rapporto di impiego pubblico; il diritto soggettivo azionato sorge
indipendentemente dal provvedimento amministrativo che riconosce
l'equo indennizzo poichè esso ha natura ricognitiva e non
costitutiva; la domanda di equo indennizzo era stata presentata in
sede giudiziale unitamente all'accertamento della dipendenza
dell'infermità da causa di servizio, disconosciuta in sede
amministrativa, per cui gli effetti del riconoscimento giudiziale
dell'equo indennizzo decorrevano dalla domanda amministrativa
dell'interessato; le spese dei due gradi seguivano la soccombenza.
5
- Avverso fa suddetta sentenza il Ministero della Difesa ha proposto
ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il
C. ha resistito con controricorso.
Motivi
della decisione
1.1
- Il primo motivo adduce violazione del D.P.R. 29 ottobre 2001, n.
461, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63 e delle norme e dei
principi sulla giurisdizione. Il Ministero ricorrente sostiene che
l'emanazione del provvedimento di concessione di equo indennizzo non
dipende esclusivamente dal riscontro dell'esistenza di elementi
oggettivi, ma implica una serie di accertamenti da parte
dell'Amministrazione che non sono scevri da valutazioni
discrezionali, per cui il richiedente ha una posizione di interesse
legittimo e non di diritto soggettivo. Ne inferisce che l'atto
dell'Amministrazione è soggetto al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, mentre solo a partire dal momento in cui il
provvedimento concede la provvidenza la posizione del richiedente si
configura come diritto soggettivo perfetto.
1.2
- Il resistente eccepisce che sulla questione si è formato il
giudicato. Spiega che già nel 2003 aveva agito per il medesimo fatto
ma che il Tribunale di Cagliari, con sentenza 25 luglio 2005
(allegata al controricorso), non impugnata dal Ministero della
Difesa, pur dichiarando inammissibile
la
domanda essendo stato chiesto il mero accertamento della dipendenza
da causa di servizio delle infermità riportate e non anche
l'accertamento di un eventuale diritto, si era pronunciato
sull'eccezione sollevata dal Ministero convenuto affermando la
giurisdizione del giudice ordinario.
1.3
- L'eccezione è fondata. Con la sentenza del 2005, passata in
giudicato, il Tribunale di Cagliari, premesso che nella specie si
verteva in tema di rapporto non di pubblico impiego, ma di mero
servizio, aveva affermato che nei caso in esame oggetto della
controversia era un elemento della fattispecie costitutiva di un
diritto soggettivo di natura patrimoniale, la cui cognizione spettava
al giudice ordinario. Vi è, dunque, una sentenza del giudice
ordinario di merito, passata in giudicato, non essendo stata
impugnata, che ha statuito esplicitamente sulla giurisdizione e che
ha acquistato autorità di giudicato esterno un punto di
giurisdizione, determinandone l'incontestabilità - in virtù della
cosiddetta efficacia pan processuale) - nei giudizi tra le stesse
parti che abbiano ad oggetto questioni identiche a quelle prospettate
nel precedente giudizio (confronta Cass. Sez. Un. 13 ottobre 2011, n.
21065, 18 dicembre 2008, n. 29531 e 21 aprile 2006, n. 9337).
2
- Tuttavia, attesa la rilevanza della questione, le Sezioni Unite
ritengono opportuno rilevare che le
tesi
prospettate dal Ministero ricorrente sono infondate. Occorre
considerare che, con il motivo in esame, il ricorrente esamina e
critica solo una parte della decisione impugnata, in quanto da per
scontato che il C. fosse un dipendente pubblico, qualità negata in
sede di merito. Infatti la sentenza impugnata recita testualmente
(pagg. 9-10): "Il Tribunale..., dopo aver correttamente escluso
che nel caso del militare di leva fosse prospettabile l'esistenza di
un rapporto di pubblico impiego, ha ancorato il riconoscimento della
propria giurisdizione alle originarie regole di riparto della
giurisdizione, ossia in base alla natura di diritto soggettivo ovvero
di interesse legittimo della posizione giuridica fatta valere
dall'interessato". In effetti dalla giurisprudenza di queste
Sezioni Unite si ricava che il militare di leva obbligatoria non è
legato all'amministrazione da un rapporto di pubblico impiego, ma da
un mero rapporto di servizio destinato a cessare dopo il periodo di
utilizzazione. In assenza di argomentazioni atte ad indurre ad un
ripensamento, occorre dare continuità all'orientamento già espresso
con la sentenza n. 7899 del 20 maggio 2003 che, esaminando l'ipotesi
di servizio degli ausiliari dell'arma dei carabinieri in sostituzione
del servizio obbligatorio di leva, ha condivisibilmente affermato:
"Esula … dalle prestazioni rese dai predetti la natura di
prestazioni lavorative subordinate, proprio per la mancanza di quel
requisito della spontaneità - rinvenibile nell'elemento essenziale
della volontà negoziale diretta alla costituzione del rapporto di
impiego -, dal quale il Ministero ricorrente ritiene invece che si
possa prescindere (v. Cass. sez. lav. 18 gennaio 1984 n. 433). Ed al
riguardo devesi rilevare che la domanda proposta ai fini
dell'assunzione quale ausiliario dell'arma dei carabinieri, al pari
della domanda di partecipazione al corso per allievi ufficiali di
complemento non presenta alcun profilo di spontaneità nè di
idoneità alla costituzione del rapporto, ma è soltanto espressione
di una scelta tra le possibili modalità di adempimento del servizio
militare comunque dovuto. Nei casi ora considerati è piuttosto
configurabile un rapporto di servizio, che, in generale, non è
necessariamente connesso con un rapporto di pubblico impiego, come,
nella specie, per la mancanza del requisito volontaristico, e
comunque si caratterizza per l'esistenza di una relazione funzionale
- tra soggetto obbligato e Amministrazione -, che implica la
partecipazione del medesimo al conseguimento dei fini pubblici,
previo il suo inserimento nell'apparato organico dell'ente (v. Cass.
SU 27 novembre 2002 n. 16829; 4 luglio 2002 n. 9693). E' pertanto
esclusa l'esistenza di una controversia sussumibile tra quelle
espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, e, quindi, vertendosi in materia di diritti
soggettivi di natura patrimoniale, fatti valere nei confronti della
P.A., deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario.
Ed è appena il caso di rilevare che la giurisprudenza indicata dal
Ministero ricorrente concerne bensì militari di leva ed ufficiali di
complemento di prima nomina, ma ha riguardo a fattispecie di
responsabilità civile o contabile in ordine alle quali, in ogni
caso, il rapporto con l'Amministrazione è qualificato rapporto di
servizio, mai di pubblico impiego". Occorre, poi, considerare
ulteriormente che la giurisdizione appartiene comunque al giudice
ordinario giacchè (vedi Cass. Sez. Un. 15 maggio, 2012 n. 7504) in
materia di rapporti di lavoro instaurati con lo Stato ed altre
pubbliche amministrazioni, la giurisdizione deve essere determinata
"quoad tempus"in base ai fatti costitutivi del diritto
rivendicato tutte le volte in cui essi vengano in rilievo a
prescindere dal loro collegamento con uno specifico atto di gestione
del rapporto da parte dell'amministrazione, e, invece, in base alla
data dell'atto emesso da questa quando il regime del rapporto preveda
che la giuridica rilevanza dei fatti sia assoggettata ad un
preventivo apprezzamento dell'amministrazione medesima e alla
conseguente declaratoria della sua volontà al riguardo: infatti, il
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, nell'escludere dal
trasferimento alla giurisdizione ordinaria tutte le controversie che,
sebbene introdotte successivamente alla data del 30 giugno 1998,
abbiano ad oggetto questioni attinenti al periodo di rapporto di
lavoro pubblico anteriore a tale data, utilizza una locuzione
generica, che pone l'accento sul dato storico, costituito
dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione
alla cui giuridica rilevanza sia sorta
la
controversia. Ne consegue che, con riferimento alla domanda di equo
indennizzo per infermità contratta a causa di servizio, siccome
l'atto di concessione del beneficio è caratterizzato da notevole
discrezionalità, il momento in cui si determina la questione, e da
cui dipende la giurisdizione, è quello dell'emanazione del
provvedimento amministrativo che concede o nega l'equo indennizzo.
Nella specie tale provvedimento è intervenuto in data 13 luglio
2001, quindi successivamente al 30 giugno 1998.
3.1
- Il secondo motivo denuncia violazione del D.P.R. 3 maggio 1957, n.
686, artt. 36 e 51 e D.M. n. 1622 del 1983, art. 4. Il ricorrente
contesta la decorrenza del diritto attribuito al C. individuata dalla
Corte distrettuale nella data di presentazione della domanda di
riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, assumendo che
la medesima si è cristallizzata solo con il passaggio
in
giudicato della sentenza che l'ha accertata.
3.2
- Il D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, artt. 36 e 51 sono stati abrogati
dal D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, art. 11, mentre il D.M. n. 1622
del 1983, art. 4 si riferisce ai dipendenti delle Ferrovie dello
Stato. La censura in esame è meramente assertiva e non contiene
specifiche argomentazioni atte a dimostrare l'erroneità della
statuizione impugnata. Comunque questa Corte ha già avuto modo di
affermare (Cass. 26 marzo 2007, n. 7307) che, in materia di equo
indennizzo ai dipendenti ferroviaria gli interessi e la rivalutazione
monetaria sono dovuti dalla data di insorgenza del credito, che
coincide con la data di presentazione della domanda e che (Cass. 9
marzo 2012 n. 3800) la liquidazione dell'equo indennizzo dev'essere
effettuata con riferimento allo stipendio percepito dal dipendente al
momento della presentazione della domanda (o dell'avvio del
procedimento, se d'ufficio) e non a quello dell'effettiva
liquidazione, inapplicazione del disposto della L. 11 luglio 1980, n.
312, art. 154, comma 3, e, successivamente, della L. 23 dicembre
1994, n. 724, art. 22, comma 27. Il ragionamento della Corte
territoriale, che ritiene decisiva ai fini della decorrenza del
diritto la circostanza che la domanda di equo indennizzo sia stata
presentata in sede giudiziale unitamente all'accertamento della
dipendenza dell'infermità da causa di servizio, disconosciuta in
sede amministrativa, con la conseguenza che gli effetti del
riconoscimento giudiziale dell'equo indennizzo debbono decorrere
dalla proposizione della domanda amministrativa volta a conseguire
l'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio,
appare corretta e, dunque, condivisibile. Il passaggio in giudicato
della sentenza che accerti, in caso di contestazione, la dipendenza
delle infermità da causa di servizio è rilevante solo ai fini della
decadenza della proposizione della domanda di equo indennizzo.
4.1
- Il terzo motivo lamenta violazione dell'art. 92 cod. proc. Civ.. Il
tema è l'erroneità della condanna al pagamento delle spese del
doppio grado di giudizio, Si assume che, in ogni caso, ricorrevano
giusti motivi per compensarle.
4.2
- La censura attacca un potere discrezionale del giudice di merito
che incontra l'unico limite nel divieto di porre le spese di lite a
carico della parte vittoriosa. Nella specie l'esito globale della
lite è stato l'integrale accoglimento della domanda dell'attore e il
rigetto totale delle eccezioni del convenuto.
5
- Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese seguono il criterio
della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla
stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012
sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
Rigetta
il primo motivo dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario;
rigetta il secondo e il terzo motivo. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre
accessori di legge.
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