Consiglio
di Stato sez. III 16/1/2013 n. 227
FATTO
e DIRITTO
1.
– La dott.ssa B.A., assistente medico in servizio presso l’USL n.
15 di C. (oggi, in gestione liquidatoria), dichiara d’aver
constatato, a seguito di verifica da lei chiesta alla P.A. datrice di
lavoro in data 5 maggio 1995, di non aver fruito di 15 giorni di
congedo ordinario per il 1993 e di 33 giorni per il 1994.
La
dott.ssa A. assume che tale mancato godimento è avvenuto per ragioni
attinenti alla gestione dell’USL, onde ella ha chiesto, in data 30
maggio 1995, il trattamento economico sostitutivo delle ferie non
godute. Non avendo la P.A. fornitole risposta alcuna sul punto, la
dott.ssa Adinolfi ha allora adito il TAR Napoli, deducendo in punto
di diritto la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e
lo sviamento di potere, in relazione a quanto dalla stessa P.A.
certificato al riguardo della mancata fruizione delle ferie. L’adito
TAR, con la sentenza n. 4304 dell’8 ottobre 2001, ha respinto la
pretesa della ricorrente, in quanto la mancata fruizione del congedo
ordinario non implica l’automatica corresponsione del trattamento
economico sostitutivo.
2.
– Appella allora la dott.ssa A., con il ricorso in epigrafe,
contestando l’erroneità della sentenza impugnata laddove, alla
luce della certificazione citata da cui evincesi la prova
dell’inadempimento della P.A. datrice di lavoro. Dal canto suo,
dice l’appellante, quest’ultima nulla ha dimostrato in senso
contrario, dal che il diritto dell’appellante all’invocato
trattamento sostitutivo.
Resiste
in giudizio la P.A. intimata, concludendo per il rigetto
dell’appello.
Alla
pubblica udienza del 16 novembre 2012, nessuno presente per le parti,
il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
3.
– L’appello non può esser condiviso e va respinto, per le
ragioni di cui appresso.
Corretta
s’appalesa invero la sentenza impugnata, laddove fa presente come
il mancato godimento delle ferie da parte del pubblico dipendente di
per sé sola non possa dare luogo al trattamento economico
sostitutivo corrispondente. A differenza da ciò che afferma
l’appellante, non basta, ai detti fini, la mera indicazione del
numero complessivo dei giorni di ferie non godute per dimostrare
l’inadempimento della P.A. datrice di lavoro e, quindi, la
sussistenza del credito.
È
noto infatti che, nel rapporto di pubblico impiego, la retribuibilità
delle prestazioni di lavoro straordinario è condizionata
all’esistenza di una formale e preventiva autorizzazione allo
svolgimento di tali prestazioni di lavoro eccedenti l’orario
d’ufficio. Essa svolge una pluralità di funzioni, tutte riferibili
alla concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e
buon andamento cui, ai sensi dell’art. 97 Cost., dev’esser
improntata l’azione della P.A. In particolare, la previa
autorizzazione implica la verifica in concreto delle ragioni di
pubblico interesse che rendono necessario il ricorso a prestazioni di
lavoro straordinario. Anzi, la formale previa autorizzazione al
lavoro straordinario deve costituire, per la P.A., anche lo strumento
per la valutazione delle concrete esigenze di funzionamento delle
proprie strutture quanto alla loro reale capacità di perseguire i
compiti d’istituto, nonché all’organizzazione delle risorse
umane ed alla loro adeguatezza, onde evitare che il sistematico ed
indiscriminato ricorso alle prestazioni straordinarie costituisca
elemento di programmazione dell’ordinario lavoro.
L’autorizzazione
è altresì lo strumento per evitare che, mercè incontrollate
erogazioni di somme di danaro per prestazioni di lavoro
straordinario, siano superati i limiti di spesa fissati dalle
previsioni di bilancio, con grave nocumento dell’equilibrio
finanziario dei conti pubblici.
Per
altro verso ancora, la normativa intende escludere che i pubblici
dipendenti siano assoggettati a prestazioni lavorative che, eccedendo
quelle ordinarie, individuate come punto di equilibrio fra le citate
esigenze della P.A. ed il rispetto delle condizioni psico-fisiche del
dipendente, possano creare per l’impiegato nocumento alla sua
salute ed alla sua dignità personale.
4.
– Sulla scorta di tali consolidati principi, non sembra sussistere
il denunciato inadempimento da parte dell’USL, perché non consta
che l’appellante abbia ottenuto un’autorizzazione né previa, né
postuma allo svolgimento di dette presentazione.
Neppure
è certo che ella abbia dovuto effettuarle per evidenti e serie
ragioni d’istituto, indifferibili ed urgenti, tali, dunque, da non
esser disconosciute come tali dalla P.A. datrice di lavoro. Il
principio della indispensabilità della previa autorizzazione allo
svolgimento del lavoro straordinario subisce eccezione, invero,
quando l’attività sia svolta sì per obbligo d’ufficio, ma, nel
rispetto dei principi costituzionali testé evidenziati, con la
precisazione che tale lavoro sia compiuto a fronte di esigenze
indifferibili ed urgenti. Poiché, nondimeno, l’autorizzazione
costituisce, per la P.A. e per il dirigente del servizio cui è
assegnato il dipendente che svolge il lavoro straordinario,
assunzione di responsabilità gestionale e contabile, allora anche
nel caso dell’indifferibilità dall’autorizzazione non si può
prescindere, sia pure ex
post ed
a sanatoria (cfr., da ultimo, Cons. Stato, VI, 9 novembre 2010 n.
8626; id., III, 15 febbraio 2012 n. 783).
5.
– In definitiva, l’appello è da rigettare, ma giusti motivi
suggeriscono la compensazione integrale, tra tutte le parti, delle
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III),
definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 10744/2001 RG
in epigrafe), lo respinge.
Spese
compensate.
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