CORTE DI CASSAZIONE -
Sentenza 18 gennaio 2013, n. 2723
Considerato
in fatto
1)-
Nell’ambito del procedimento penale a carico di: E.M.
- indagato per
il reato ex art. 640/co.2 CP perché nella qualità di dipendente del Ministero
delle Politiche Agricole, con l'artificio di presentare certificazioni
prestampate con firma fotocopiata relativamente ai propri impegni presso il
Comune di Radicondoli attestanti un impegno per mandato assessoriale per
complessive ore 39 settimanali, si assentava in maniera ingiustificata dal
servizio presso la propria amministrazione, conseguendo l'illecito profitto
della retribuzione;
2)- il GIP
presso il Tribunale di Siena, in data 23.04.2012, emetteva il decreto di
sequestro preventivo , finalizzato anche alla confisca per equivalente delle
somme di denaro giacenti sul c/c intestato all'imputato nonché sui crediti
derivanti dal rapporto di lavoro con il predetto Ministero, sino alla
concorrenza di € 41.443,68;
3)-avverso
tale provvedimento di sequestro proponeva impugnazione l'indagato, ma il
Tribunale per il riesame di Siena, con decisione del 05.06.2012, rigettava il
gravame e confermava il provvedimento impugnato
-ricorre per
cassazione l'indagato a mezzo del Difensore di fiducia:
MOTIVI ex art. 606,1° co, lett. b) c.p.p.
4)-Il
ricorrente censura l'ordinanza per violazione dell'art. 640/co.2 CP, atteso che
il provvedimento di sequestro era stato emesso in assenza del necessario
"fumus" del reato contestato, in quanto :
- mancava
l'estremo dell'idoneità dei raggiri ed artifici essendo evidente che le
autorizzazioni erano redatte su moduli fotocopiati, ove anche la firma era in
fotocopia;
- mancava
l'elemento soggettivo del reato poiché l'indagato aveva dichiarato il vero,
avendo effettivamente prestato la sua attività di assessore presso il Comune di
Radicondoli;
- mancava
anche l'estremo del profitto atteso che l'art. 79/co 3 D L.vo n. 267 del
18.08.2000 attribuiva ai componenti degli organi elettivi il diritto di
assentarsi dal lavoro e il successivo comma 5 prevedeva che per le assenze
superiori a quelle previste per legge, erano consentiti ulteriori permessi sino
ad ore 24 mensili ma privi di retribuzione, ne conseguiva, a parere del
ricorrente , l'impossibilità di lucrare compensi per le ore eccedenti quelle
consentite;
CHIEDE
l'annullamento del provvedimento impugnato;
Considerato in diritto
5)-Quanto ai
motivi sul merito del sequestro preventivo va subito evidenziato che lo stesso
risulta emesso nell'ambito dei criteri dettati dall'art. 321 c.p.p. , atteso
che il GIP prima ed il Tribunale poi hanno motivato in ordine al
"fumus" del reato di cui all'art. 640/co.2 cp, richiamando i dati
fattuali su cui si fondava l'imputazione e la necessità di assicurare la futura
eventuale confisca, richiamando i dati oggettivi dell'indebito utilizzo di
moduli fotocopiati, artificiosamente riempiti dallo stesso indagato , e la
conseguente erogazione della retribuzione per un numero di ore superiore a
quello consentito
- Si tratta di
valutazioni, nel merito, supportate da congrua motivazione, esenti da
illogicità evidenti e pertanto incensurabili in questa sede dì legittimità.
6) Il
ricorrente deduce motivi che ricalcano i presupposti necessari per
l'applicazione delle misure cautelari personali e non anche di quella reale,
contestata nei caso di specie. In effetti, come è stato ribadito anche dalla
Corte Costituzionale (vedi ordinanza n. 153 del 2007 della Corte Costituzionale,
che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 324 c.p.p. in relazione all'art. 111 Cost., comma 2,
nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica
della sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata
ipotesi di reato), per le misure cautelari reali non è richiesto il presupposto
della gravità, indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in
correlazione alla diversità, pure di rango costituzionale, dei valori
coinvolti.
- Tale
"ratio" si riflette anche sull'ampiezza del sindacato giurisdizionale
relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l'adozione delle
misure cautelari, valendo il paradigma della qualificata probabilità di
responsabilità nelle misure cautelari personali ed il diverso metro del
"fumus commissi delicti" in tema di sequestri,
- Del resto
una tale prospettiva trova conforto anche nella interpretazione letterale delle
norme che disciplinano l'applicazione delle misure cautelari perché l'art. 321
c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di
applicabilità del sequestro, né è possibile ritenere applicabile, come si è già
notato, alle misure cautelari reali l'art. 273 c.p.p., dettato per le misure
cautelari personali e non richiamato in materia di misure cautelari reali (vedi
ex multis, oltre a SS.UU. penali 25 marzo 1993, Girimi, già citata, anche Cass.
Sez. 6 penale, 9 luglio 1999-5 agosto 1999, n. 2672, CED 214185).
- Occorre
sottolineare , infatti, che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse
in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione
di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in
iudicando" o in "procedendo", sia quei vizi della motivazione
così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi dì coerenza,
completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile
l'itinerario logico seguito dal giudice (sezioni un., 29 maggio 2008, 1),
(Cassazione penale, sez. III, 22/10/2010. n. 43249)
7) L'ordinanza
impugnata risulta pertanto incensurabile perché non si è limitato a
rappresentare la compatibilità astratta dell'imputazione rispetto alla condotta
ascritta ma si è estesa alla valutazione delle ragioni difensive cosi come
prospettate, evidenziandone l'infondatezza richiamando i dati oggettivi
dell'indebito utilizzo di moduli fotocopiati, artificiosamente riempiti dallo
stesso indagato , ed il conseguente introito dell'illecito profitto della
retribuzione.
8) I motivi di
ricorso articolati collidono con il precetto dell'art. 606 tette) c.p.p. in
quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi
della motivazione del provvedimento impugnato , proponendo soluzioni e
valutazioni alternative, sicché sono da ritenersi inammissibili.
9)-Ai sensi
dell'art. 616 c.p.p. , con il provvedimento che dichiara inammissibile il
ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento , nonché -ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, della somma di €.1000,00, così equitativamente fissata in ragione
dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento di €1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
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