Corte
di cassazione 29 novembre 2012, n. 21253
Svolgimento
del processo
Con
ricorso al Tribunale di Pescara, E. Di S. ha chiesto che venisse
dichiarata l'illegittimità del licenziamento disciplinare
intimatogli dalla Società Italiana Distribuzione Moderna spa (già
La R. spa), per avere svolto attività lavorativa consistente nel
servizio della clientela presso un locale pubblico mentre si trovava
in congedo per ragioni di salute, ed ha chiesto altresì la condanna
della società convenuta al pagamento dì somme dovute a titolo di
lavoro straordinario e notturno.
Il
Tribunale ha accolto la domanda relativa all'accertamento della
illegittimità del licenziamento e ha respinto quella riguardante la
pretesa del compenso per lavoro straordinario, con sentenza che è
stata riformata dalla Corte d'appello dell'Aquila, che ha ritenuto
invece la legittimità del licenziamento, rigettando sul punto la
domanda del lavoratore, ed ha accolto la domanda relativa al compenso
per lavoro straordinario e notturno, condannando la società al
pagamento, per questi titoli, della complessiva somma di €
40.984,85 (di cui € 37.928,55 a titolo di lavoro straordinario
diurno e € 3.056,30 a titolo di lavoro notturno), oltre
rivalutazione e interessi. A tali conclusioni la Corte territoriale è
pervenuta osservando che il lavoratore era stato sorpreso a svolgere
attività di servizio della clientela in un locale pubblico in
occasione di due assenze dal lavoro motivate da uno stato di malattia
(lombosciatalgia) e che, in tali occasioni, era apparso in condizioni
fisiche normali, sì da legittimare l'insorgenza di fondati dubbi
circa la stessa esistenza della malattia e giustificare così il
recesso del datore di lavoro. Quanto al compenso per lavoro
straordinario diurno e notturno, la Corte di merito ha osservato che
dalle risultanze istruttorie era emerso che il Di S. aveva svolto
settimanalmente numerose ore di lavoro straordinario e, in alcune
occasioni, anche un certo numero di ore di lavoro notturno, che
dovevano essere compensate con le maggiorazioni previste dalla
contrattazione collettiva, a nulla rilevando che il (…) per la sua
funzione di capo reparto, godesse di una certa autonomia operativa
riguardo al reparto affidatogli.
Avverso
tale sentenza ricorre per cassazione E. Di S., affidandosi a due
motivi di ricorso cui resiste con controricorso la SIDM spa, che ha
proposto anche ricorso incidentale fondato su due motivi.
Il
ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi
della decisione
Preliminarmente,
deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale, ex art. 335 c.p.c, trattandosi di impugnazioni proposte
avverso la stessa sentenza.
1.-
Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2119 c.c. e 3
l. n. 604/66 "in relazione a consolidati principi
giurisprudenziali in materia di svolgimento di altra attività
durante l'assenza per malattia", censurando la sentenza
impugnata per aver ritenuto che sarebbe assolutamente vietato al
lavoratore assente per malattia lo svolgimento di una qualsiasi altra
attività lavorativa, a prescindere da ogni valutazione circa la
compatibilità tra tale attività lavorativa e la malattia medesima.
2.-
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 7 l. n. 300/70
in relazione al principio di immutabilità della contestazione
disciplinare, nonché vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte
di stabilire se la sentenza impugnata abbia violato tale principio
laddove ha ritenuto giustificato il licenziamento sotto il profilo,
che non formava oggetto di specifica contestazione, del presunto
svolgimento di una attività lavorativa idonea a compromettere la
guarigione.
3.-
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione
degli artt. 414, 164, 244 c.p.c, 2697, 2108, 2099, 1241 c.c., 36
Cost., nonché vizio di motivazione, in ordine all'omesso rilievo, da
parte della Corte di merito, delle carenze dell'atto introduttivo e
dell'inammissibilità dei capitoli di prova articolati dal
ricorrente, oltre che per aver disatteso l'eccezione di compensazione
formulata in via subordinata dalla società, sostenendo che, sulla
base di tali carenze, il giudice d'appello avrebbe dovuto ritenere il
ricorso nullo ovvero rigettarlo nel merito, o comunque, in
accoglimento della suddetta eccezione, contenere la condanna entro
una diversa e più ridotta misura.
4.-
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2108 c.c., 3
RDL n. 1955/1923, 1 RDL n. 692/1923, nonché vizio di motivazione,
sostenendo che, in base alle normativa sopra richiamata, non doveva
essere riconosciuto al ricorrente, che svolgeva funzioni di capo
reparto e non era, quindi, tenuto ad osservare l'orario normale di
lavoro, alcun compenso per lavoro straordinario.
5.-
I motivi del ricorso principale, che, per riguardare problematiche
strettamente connesse tra loro, possono essere esaminati
congiuntamente, sono infondati.
6.-
In tema di svolgimento di attività lavorativa durante l'assenza per
malattia la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente
conformi. In linea di principio, si è affermato che non sussiste nel
nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare
attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di
assenza per malattia. Siffatto comportamento può, tuttavia,
costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di
lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di
correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di
altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per
malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza
dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando
quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l'attività stessa,
valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della
infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell'ambito del
rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche
potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del
lavoratore, con violazione di un'obbligazione preparatoria e
strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto (cfr. ex
plurimis Cass. n. 9474/2009, Cass. n. 14046/2005).
7.-
Ad ulteriore specificazione di questo principio, questa Corte (Cass.
n. 14046/2005 cit.) ha precisato che "la valutazione del giudice
di merito, in ordine all'incidenza del lavoro sulla guarigione, ha
per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli,
pur essendo malato e (per tale causa) assente dal lavoro cui è
contrattualmente obbligato, svolge per conto di terzi un'attività
che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale
lavoro; in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un
giudizio ex ante, ed ha per oggetto la potenzialità del
pregiudizio", con l'ulteriore conseguenza che "ai fini di
questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta
irrilevante". Ed ha ribadito che lo svolgimento da parte del
dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che,
valutata in relazione alla natura della infermità e delle mansioni
svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in
servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e
buona fede, che giustifica il recesso del datore di lavoro (nello
stesso senso, Cass. n. 17128/2002).
8.-
Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con
l'affermazione che, nella fattispecie, le modalità dello svolgimento
dell'attività svolta dal dipendente (quale addetto al servizio ai
tavoli e alla riscossione alla cassa presso un locale pubblico, in
orario notturno) durante l'assenza per malattia erano di per sé
sufficienti a far dubitare della stessa esistenza della malattia (o
quanto meno di una sua gravità tale da impedire l'espletamento di
una attività lavorativa) ed erano comunque indice di una scarsa
attenzione del lavoratore alle esigenze di cura della propria salute
ed ai connessi doveri di non ostacolare o ritardare la guarigione,
considerato anche l'impegno fisico richiesto dall'espletamento di
tale attività,
9.-
Tale affermazione risulta in tutto conforme ai principi enunciati in
materia da questa Corte e non presuppone affatto l'esistenza di un
divieto assoluto, per il lavoratore, di svolgere una qualsiasi altra
attività lavorativa durante l'assenza per malattia, prescindendo da
ogni valutazione circa la compatibilità tra detta attività e la
malattia; né può ritenersi che la Corte di merito, cosi
argomentando, abbia preso in considerazione fatti diversi da quelli
che formavano oggetto della contestazione disciplinare, che la
contestazione riguardava appunto il fatto di essere stato sorpreso,
in più occasioni, a lavorare con mansioni di servizio ai tavoli
durante l'assenza per malattia.
10.-
Non sussistono, inoltre, i vizi motivazionali denunciati nella
seconda parte del secondo motivo, in quanto la decisione impugnata si
fonda, in primo luogo, sul rilievo della inidoneità dello stato di
malattia ad impedire l'espletamento dell'attività lavorativa e la
fondatezza di tale rilievo non può certo ritenersi inficiata per
effetto delle indicazioni contenute nella documentazione medica
richiamata nel ricorso, che attesta sì l'esistenza di una
lomobosciatalgia (esistenza che non viene, peraltro, disconosciuta
da! giudice del merito), ma non ha diretta attinenza alla specifica
situazione di impedimento dell'attività lavorativa che si sarebbe
verificata a carico del Di S. nei periodi di tempo in contestazione.
11.
- Le ulteriori osservazioni svolte nell'ultima parte del ricorso si
riferiscono al profilo relativo alla idoneità (o meno) del
comportamento del lavoratore ad incidere sulla guarigione della
malattia e non hanno comunque rilievo decisivo ai fini della prova
della effettiva esistenza di uno stato della malattia impeditivo
della prestazione lavorativa.
12.-
Il ricorso principale non può pertanto trovare accoglimento.
13.-
Il primo motivo del ricorso incidentale è in parte infondato e, per
la restante parte, assorbito, come si dirà, dall'accoglimento del
secondo motivo.
14.-
Deve escludersi anzitutto la sussistenza della dedotta violazione
degli artt. 414 e 164 c.p.c, posto che, come è stato più volte
affermato da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 3126/2011. Cass.
n. 820/2007, Cass. n. 17076/2004), nel rito del lavoro la valutazione
di nullità del ricorso introduttivo per mancanza di determinazione
dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi
di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda è
ravvisabile solo quando, attraverso l'esame complessivo dell'atto,
sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e
il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa; ipotesi,
questa, che non si riscontra nel caso in esame, posto che, nella
specie, le indicazioni contenute nel ricorso introduttivo in ordine
ai fatti posti a fondamento della domanda hanno consentito alla
convenuta di apprestare adeguatamente le proprie difese e al giudice
di impostare e svolgere l'attività istruttoria indispensabile ai
fini della decisione. Le censure formulate dalla società, d'altra
parte, si incentrano in gran parte sulla genericità e sulla
inattendibilità degli elementi di fatto indicati nel ricorso a
sostegno delle pretese fatte valere, oltre che sulla omessa
indicazione di altri elementi che si assumono idonei a modificare o a
ridurre tali pretese, ed attengono quindi alla fondatezza della
domanda più che alla insufficienza della esposizione degli elementi
di fatto su cui questa si fonda, sicché deve ritenersi che, sotto
questo profilo, la valutazione della Corte di merito risulti del
tutto immune dalle censure che le sono state mosse, al riguardo,
dalla controricorrente.
15.-
Anche la censura relativa alla valutazione della idoneità della
specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova, ex art. 244
c.p.c, non può trovare accoglimento, in quanto la parte avrebbe
dovuto riportare, in ossequio al principio di autosufficienza, lo
specifico contenuto dei capitoli di prova, onde rendere edotta la
Corte del modo in cui la prova era stata formulata con il ricorso
introduttivo.
16.-
Il secondo motivo del ricorso incidentale deve ritenersi fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini dell'esclusione
della limitazione dell'orario di lavoro, con conseguente negazione
del diritto a compenso per lavoro straordinario, il concetto di
"personale direttivo" di cui all'art. 1 RDL n. 692 del 1923
è comprensivo - come chiarito dall'art. 3, n. 2, del RD n. 1955 del
1923 (regolamento per l'applicazione del citato RDL n. 692 del 1923)
- non soltanto di tutti i dirigenti ed institori che rivestono
qualità rappresentative e vicarie, bensì anche, in difetto di una
pattuizione contrattuale in deroga, del personale dirigente ed.
minore, ossia gli impiegati di prima categoria con funzioni
direttive, i capi di singoli servizi o sezioni d'azienda, i capi
ufficio e i capi reparto (cfr. ex plunmis Cass. n. 12367/2003),
precisando che il personale direttivo, escluso dalla disciplina
legale delle limitazioni dell'orario di lavoro, ha diritto al
compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva
delimiti anche per il medesimo l'orario normale, e tale orario venga
in concreto superato, oppure se la durata della prestazione
lavorativa ecceda il limite di ragionevolezza in rapporto alla
necessaria tutela della salute e della integrità fisiopsichica
garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori (cfr. ex plurimis
Cass. n. 16050/2004, Cass. n. 13882/2004, Cass. n. 7201/2004, Cass.
n. 12301/2003, Cass. n. 11929/2003, Cass. n. 7577/2003).
17.-
Nella specie, è pacifico che il Di S. abbia prestato la propria
attività lavorativa con la qualifica e le mansioni di capo reparto,
qualifica che lo escludeva dalla disciplina legale delle limitazioni
dell'orario di lavoro, applicabile, all'epoca, al rapporto di lavoro.
Anche la disciplina collettiva (art. 39 c.c.n.l.) escludeva il
diritto di direttori tecnici, capi ufficio e capi reparto ad un
compenso per lavoro straordinario.
18.-
La Corte d'appello ha ritenuto di riconoscere il diritto
dell'appellante al compenso per lavoro straordinario - superando
così, implicitamente, l'impedimento che derivava al riconoscimento
di tale diritto dalle previsioni della disciplina legale e della
normativa collettiva - in base alla considerazione che la stessa
società aveva riconosciuto al dipendente, facendone menzione nelle
buste paga, un compenso per lavoro straordinario, seppure
"forfettizzato".
19.-
L'argomentazione non merita condivisione in quanto l'attribuzione di
un compenso per lavoro straordinario "forfettizzato", in
presenza di una normativa legale e contrattuale che esclude
determinate categorie di lavoratori dall'applicazione della
disciplina in tema di limitazioni dell'orario di lavoro, non può
assumere, per sé solo, il significato di un riconoscimento, da parte
del datore di lavoro, dell'esistenza di una limitazione dell'orario
normale, né del diritto ad un compenso per il lavoro prestato oltre
tale limite, ma, se mai, solo quello di un trattamento più
favorevole determinato e corrisposto dal datore di lavoro al
dipendente, al quale non si applica la disciplina delle limitazioni
dell'orario di lavoro, proprio in conseguenza degli svantaggi
eventualmente derivanti al lavoratore dalla suddetta esclusione.
20.-
In definitiva, alla stregua della disciplina legale e contrattuale
delle limitazioni dell'orario di lavoro applicabile al rapporto - e
non essendo in questione nella presente controversia, per come emerge
dalle rispettive deduzioni svolte negli scritti difensivi delle
parti, il limite della "ragionevolezza" -, deve escludersi
il diritto del ricorrente al compenso per lavoro straordinario.
21.-
Il secondo motivo del ricorso incidentale deve essere pertanto
accolto e la sentenza deve essere cassata relativamente alla
statuizione con cui la società è stata condannata al pagamento del
compenso per lavoro straordinario diurno (ferma restando la
statuizione di condanna della medesima società al pagamento della
somma di € 3.056,30 a titolo di compenso per lavoro notturno), con
l'assorbimento di ogni altra censura svolta sul punto dalla
controricorrente.
22.-
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve
essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384, secondo comma,
c.p.c, con il rigetto della domanda di condanna al pagamento del
compenso per lavoro straordinario (diurno),
23.-
Avuto riguardo alla peculiarità della materia che ha dato luogo a
diverse e contrastanti soluzioni nel corso del giudizio di merito, si
ritiene che sussistano giusti motivi per compensare interamente fra
le parti anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce
i ricorsi, rigetta il principale, accoglie il secondo motivo del
ricorso incidentale, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non
dovuta al P. somma liquidata dalla Corte d'appello a titolo di
compenso per lavoro straordinario diurno; compensa le spese del
giudizio di legittimità.
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