Corte di Cassazione, sentenza del 20 luglio 2012, n. 12697
Con
sentenza del 22/02/2007 il Tribunale di Palermo dichiarava
illegittime la sospensione dal soldo e dal servizio, disposta dall'A.
Palermo S.p.a. nei confronti del proprio dipendente P.S. in data
16/02/2001, e la destituzione inflittagli con provvedimento del
24/10/2001, per la mancanza di cui all'art. 45 n.11 R.D. 148/31.
consistita nell'avere aggredito verbalmente, in data 12/2/2001, il
proprio superiore, passando successivamente a vie di fatto, tentando
di rovesciare addosso a quest'ultimo la scrivania ed una sedia
dell'ufficio, ed esclamando, una volta allontanato, "e non
finisce qua". Condannava l'A. S.p.a., convenuta in giudizio, a
reintegrarlo nel posto di lavoro ed a corrispondergli, per il periodo
di sospensione cautelare, le differenze fra la retribuzione che
avrebbe percepito e l'assegno alimentare, e, dalla data del
licenziamento sino a quella della reintegrazione, una indennità pari
alla retribuzione globale di fatto, oltre il versamento dei
contributi previdenziali ed il rimborso delle spese di lite.
Avverso
tale decisione, con la quale il primo Giudice aveva ritenuto che i
fatti, nel loro obiettivo svolgimento risultante dalle prove
testimoniali, non corrispondessero pienamente a quelli oggetto della
contestazione e non integrassero la violazione di cui all’art. 45
n. 11 R.D. cit., proponeva appello l'A.., lamentandone l'erroneità.
Il lavoratore resisteva al gravame.
Con
sentenza del 14 gennaio-9 aprile 2010, l'adita Corte d'appello di
Palermo, rilevato che le risultanze processuali non consentivano di
ritenere dimostrato, con sufficiente grado di certezza ed univocità,
che il lavoratore avesse posto in essere una condotta sanzionata
dall'art. 45 R.D. 8 gennaio 1931 n. 148 con la destituzione,
rigettava l'impugnazione.
Per
la cassazione di tale pronuncia ricorre l'A. Palermo S.p.A. con due
motivi.
Resiste
P.S. con controricorso.
Entrambe
le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi
della decisione
Con
il primo motivo di ricorso l'A., denunciando violazione dell'art. 45
del R.D. 8 gennaio 1931 n. 148 nonché omessa motivazione (art. 360
nn. 3 e 5 c.p.c), lamenta che la Corte d'appello, pur escludendo,
attraverso una ricostruzione del fatto non più censurabile in sede
di legittimità, l'aggressione fisica dello S. ai danni del superiore
gerarchico, ing. C., non abbia considerato che, nel caso specifico,
quello che era stato contestato allo S. non era l'insubordinazione ma
il comportamento aggressivo dallo stesso tenuto "passando a vie
di fatto", considerato, dal richiamato art. 45, censurabile
disciplinarmente e punibile con la sanzione della destituzione.
Con
il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa ed insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5
c.p.c.) inerente alla possibilità di riscontrare nei fatti
addebitati al lavoratore gli estremi del giustificato motivo
soggettivo di licenziamento e lamentandone l'apodittica esclusione,
operata dal Giudice a quo.
Il
ricorso, pur valutato nella sua duplice articolazione, è privo di
fondamento. Invero, la Corte territoriale, dopo avere esaminato il
materiale probatorio acquisito, è pervenuta, argomentando
adeguatamente la sua decisione, ad escludere la sussistenza materiale
degli episodi addebitati al lavoratore. In particolare, ha escluso
che lo S. avesse aggredito il superiore gerarchico, precisando che i
testi avevano riferito che era in corso una discussione, ancorché,
animata, ma nulla di più; che non era esatto che lo S. "'passava
a vie di fatto" contro il C., avendo i testi riferito che non vi
fu seguito alla discussione; che non rispondeva a verità che lo S.
stesse "tentando di rovesciare" la scrivania, ma solo che
lo stesso diede a essa una leggera spinta che la spostò minimamente;
che non era vero che lo S. tentava di rovesciare addosso al superiore
una sedia, limitandosi a sollevarla.; che neppure era vero che lo S.
profferì la frase "e non finisce qua".
Va
soggiunto che la Corte di Palermo ha con successiva corretta
sussunzione giuridica, puntualmente escluso non solo la materiale
sussistenza delle "vie di fatto" ma anche della
"insubordinazione", non essendo emersi elementi tali da
configurare gli "altri atti di grave insubordinazione",
previsti dall'art. 45 n. 11 R.D. n. 148/31 ("Chi si rende
colpevole di vie di fatto contro i superiori o di altri atti di grave
insubordinazione").
Ha,
in proposito osservato che il colloquio con il superiore aveva ad
oggetto un argomento totalmente estraneo agli obblighi di servizio
del lavoratore (modalità di pensionamento) senza alcuna relazione
con il dovere di osservanza delle direttive del superiore gerarchico,
la cui violazione avrebbe potuto configurare l'insubordinazione; ciò
in quanto l'analisi critica delle risultanze processuali non
consentiva di ritenere dimostrato, con sufficiente grado di certezza
ed univocità, che il lavoratore avesse posto in essere la condotta,
sanzionata dall'art. 45 n. 11 R.D. 8/01/1931 n. 148 con la
destituzione.
Ha
soggiunto, coerentemente con l'esito della espletata istruttoria, che
neppure poteva ravvisarsi nella condotta del dipendente il
giustificato motivo soggettivo di licenziamento, rendendo così priva
di valore la questione, pur sollevata in questa sede, circa la
configurabilità o meno di tale forma di licenziamento nell'ambito
della disciplina speciale del rapporto di lavoro degli
autoferrotranvieri. Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le
spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio,
liquidate in € 40, oltre € 3.000,00 per onorari ed oltre spese
generali, IVA e CPA.
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