Corte di Cassazione Civile Sezione
lavoro 21/5/2012 n. 7993
Svolgimento
del processo
Con
nota dell'8/4/2002 la Ykk Mediterraneo SpA contestava al proprio dipendente
O.A. addebiti disciplinari, riconducibili al mancato svolgimento, da parte sua,
di attività di propria pertinenza, in violazione delle richieste di volta in
volta fatte dal coordinatore, P.R., nel dichiarato intento di intralciare, se
non addirittura di boicottare, le attività di ricerca e sviluppo, ritenute
fondamentali e alle quali era addetto in via esclusiva.
Disattese
le giustificazioni fornite dal dipendente con tale nota, l'azienda con lettera
del 17.04.2002 gli applicava il provvedimento disciplinare della sospensione
dal lavoro e dalla retribuzione per giorni due.
Con
successiva nota del 14.06.2002 la Ykk contestava all' O. ulteriori addebiti disciplinari,
di tenore non dissimile.
Ricevute
(e non accolte) le giustificazioni del dipendente, la parte datoriale con nota
del 21.06.2002 gli applicava il provvedimento disciplinare della sospensione
dal lavoro e dalla retribuzione di giorni tre, precisando che i
"comportamenti tenuti ben avrebbero legittimato l'adozione del più grave
provvedimento di natura risolutiva".
Con
ulteriore nota del 27.06.2002 la Ykk inviava all' O. altra contestazione di
addebito, con cui, dopo avere puntualizzato di avere, con nota del 14/06/2002,
contestato alcuni addebiti di natura disciplinare riconducibili nella
fattispecie dello scarso rendimento, asservava che le giustificazioni su detti
addebiti erano avvenute con nota del 19.06.2002, durante il periodo di assenza
dal lavoro per malattia, aggiungendo che, con il relativo plico, l' O. aveva
contemporaneamente inviato copia di "tutte le comunicazioni scritte
riguardanti le attività di ricerca e sviluppo intercorse" nei 60 giorni
che separavano la prima e la seconda contestazione di addebiti costituite da
ben 37 pagine.
Pertanto,
sul presupposto che trattavasi di documenti aziendali di contenuto quanto mai
riservato riguardanti una delle fondamentali attività dell'azienda, cioè quella
di ricerca e sviluppo, la società contestava l'addebito di trafugamento di
documenti riservati dell'azienda stessa, oltre alla recidiva per le mancanze
addebitate con le note dell'8/4/2002 e del 14/06/2002 e sanzionate con i
provvedimenti di sospensione del 17.04.2002 e del 21.06.2002.
Ricevute
(e non accolte) le giustificazioni del dipendente, la parte datoriale, con nota
del 9.7.2002 gli intimava il licenziamento per giusta causa.
Le
cennate sanzioni disciplinari conservative ed il conseguente licenziamento
costituivano peraltro oggetto di impugnativa da parte dell' O., con ricorso
depositato il 10.3.2003 avanti al Giudice del lavoro presso il Tribunale di
Ascoli Piceno, che, nel contraddittorio con la società, con sentenza in data
25.10 - 5.12.2005, annullava il licenziamento impugnato e condannava la parte
datoriale all'immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro,
oltre al pagamento di un'indennità mensile di Euro 2.059,17 al lordo, dal
licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, e con obbligo di
regolarizzazione assistenziale e previdenziale, rigettando ogni diversa
domanda. Ciò in quanto, sulla scorta delle risultanze testimoniali, per un
verso, doveva ritenersi la legittimità delle sanzioni disciplinari
conservative, mentre, per altro verso, non poteva ritenersi che si fosse
verificato un vero e proprio trafugamento della documentazione aziendale, ma
piuttosto il suo utilizzo ai fini di difesa nel procedimento disciplinare,
sicchè la sanzione espulsiva appariva sproporzionata rispetto alla gravità
dell'addebito.
Avverso
tale decisione proponeva appello la S.p.A. Ykk Mediterraneo, con ricorso
depositato il 5.1.2006, nel quale insisteva per il rigetto della domanda
avversaria, con richiesta di restituzione di quanto versato in ottemperanza
alla sentenza di primo grado.
L'appellato
si costituiva, resistendo al gravame e proponendo appello incidentale al fine
di ottenere la declaratoria di nullità, per genericità delle relative
contestazioni, delle sanzioni di sospensione di due e di tre giorni infittegli,
nell'ordine, il 17.4 ed il 21.6.2002 o, in subordine, declaratoria di
illegittimità delle medesime per violazione del principio di gradualità, la
condanna della controparte al ristoro del danno biologico da lui sofferto, da
liquidarsi in via equitativa, non disposta dal primo Giudice, ed, infine, la
condanna della controparte al corretto ristoro del danno conseguente al
licenziamento, che il Tribunale aveva immotivatamente indicato in Euro 2.059,17
mensili, inferiori alla retribuzione globale di fatto voluta dalla legge.
Con
sentenza del 14-19 marzo 2008, l'adita Corte d'appello di Roma, ritenuto
illegittimo il licenziamento intimato dalla Ykk Mediterraneo SpA il 9.07.2002
sulla base dei comportamenti in precedenza contestati con nota del 27.06.2002 e
respinte le critiche e le istanze istruttorie avanzate con il ricorso in
appello del 5.01.2006, rigettava il gravame proposto dalla Ykk e, in
accoglimento dell'appello incidentale spiegato dall' O., annullava anche le
sanzioni della sospensione di giorni 2 e giorni 3 inflitte al predetto e
condannava la società a corrispondergli la retribuzione dovuta per i 5 giorni
complessivi di sospensione. Condannava altresì l'appellante a corrispondere
all' O. un indennizzo pari alla retribuzione globale di fatto perduta dal
giorno del licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre interessi legali
e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo e con ripristino della
situazione previdenziale ed assistenziale in luogo della somma mensile fissa
indicata dal primo Giudice - detratti gli importi già versati. Per la
cassazione di tale pronuncia ricorre la Ykk Mediterraneo Spa con due motivi, di
cui il secondo articolato in due distinte censure.
L'
O. ha depositato procura.
Motivi della decisione
Motivi della decisione
Con
il primo motivo di ricorso la Ykk Mediterraneo Spa, denunciando omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto, controverso e decisivo
per il giudizio, del trafugamento di documenti, cioè furto di documenti
informatici ad opera dell' O. (art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che il Giudice d'appello
abbia posto a base del suo ragionamento circostanze in contrasto con quanto
risultante dagli atti del processo; ciò in quanto il licenziamento impugnato
troverebbe il suo fondamento non sull'addebito di "trafugamento di dati
aziendali", come ipotizzato dal Giudice di appello, ma sull'addebito di
"trafugamento di documenti riservati dell'azienda". Inoltre -
aggiunge -, erroneamente il Giudice di appello avrebbe ritenuto che l' O. non
avesse sottratto gli originali dei documenti informatici poi fatti pervenire in
copia all'azienda con la nota di giustificazioni del 19.06.2002, bensì che
avesse fatto uscire dall'ambito aziendale le sole copie di essi ai fini
dell'inviolabile esercizio del diritto di difesa e che, una tale condotta, non
costituisse sottrazione di documenti in senso proprio.
Il
motivo è infondato.
Invero,
sul punto, l'impugnata sentenza ha osservato che già il primo Giudice, aveva
ritenuto in fatto che l' O. aveva fatto uscire dall'azienda i documenti
allegati in copia alla nota di giustificazioni del 19.6.2032, poichè, secondo
quanto riconosciuto dallo stesso lavoratore nel ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado, egli, il 17.6.2002, appena ricevuto l'addebito, aveva
estratto copia di tutta la documentazione necessaria ad impostare le
giustificazioni, proponendosi di utilizzarla per redigere la propria difesa, a
casa, dopo l'orario di lavoro.
Pertanto,
richiamando il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità
(Cass. n. 12528/2004) ha escluso che potesse integrare violazione dell'obbligo
di fedeltà, di cui all'art. 2105 c.c., la produzione in giudizio di copie di
atti ai quali il dipendente abbia avuto accesso, giacchè tale produzione,
avendo ad oggetto copie - e non originali, da un lato, non costituiva sottrazione
di documenti in senso proprio e, dall'altro, essendo finalizzata all'esercizio
del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ed
esclusivamente a tale esercizio, con le modalità prescritte dal codice di rito,
non comportava divulgazione del contenuto dei documenti ed assolve ad una
esigenza prevalente su quella di riservatezza propria del datore di lavoro (v.
Cass.
n. 12528/04).
Nella
specie -soggiunge la Corte territoriale-, poichè la produzione in giudizio
della copia degli atti implicava all'evidenza che dette copie erano state fatte
uscire dall'ambito aziendale, doveva convenirsi che tale circostanza, pur
astrattamente violando il dovere di riservatezza del dipendente, perdeva la
propria rilevanza al riguardo laddove attuata per l'esercizio del proprio
diritto di difesa.
Nel
caso in esame, inoltre, neppure poteva ritenersi che vi fosse stata lesione del
diritto della parte datoriale alla riservatezza dei documenti aziendali (ivi
compresi quelli inerenti alle comunicazioni e-mail intercorse tra altri
dipendenti), in quanto le copie degli atti in oggetto - in difetto di elementi
di prova di opposto segno - non risultavano essere state divulgate a terzi
(neppure attraverso quella limitata diffusione che si realizza con la loro produzione
in giudizio), ma piuttosto consegnate alla stessa parte datoriale nel contesto
del procedimento disciplinare, rimanendo quindi in un ambito di conoscenza
circoscritto a quello strettamente aziendale.
Del
tutto improprio risultava quindi l'addebito di trafugamento di dati aziendali,
su cui essenzialmente si fondava il licenziamento impugnato.
Dal
che discendeva la sostanziale irrilevanza della contestata recidiva.
A
maggior conforto della correttezza della argomentazioni adottate dalla Corte
d'appello a sostegno della decisione, va aggiunto che - secondo la
giurisprudenza di questa Corte - il lavoratore che produca, in una controversia
di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti
aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene
meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all'art. 2105 cod. civ., tenuto conto
che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a
impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che,
in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza
rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell'azienda; ne consegue la
legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove
lecite (Cass. n. 3038/2011). Tale orientamento vale anche, con riferimento alla
utilizzazione da parte del lavoratore di documenti aziendali di carattere
riservato allorchè la produzione in giudizio dei documenti è determinata al
fine di esercitare il diritto di difesa, di per sè da considerarsi lecita per
la prevalenza di detto diritto ed anche in virtù di quanto previsto dalla L. n.
675 del 1996, art. 12 (Cass. n. 22923/2004).
Sulla
base di tale impostazione la decisione impugnata appare corretta anche a voler
ritenere l'avvenuta acquisizione ai fini di difesa dei documenti aziendali.
Altrettanto
correttamente poi la Corte d'appello ha ritenuto non valutabili perchè estranei
alla contestazione degli addebiti le deduzioni svolte nella memoria difensiva
di primo grado, secondo cui era risultato che, sia nell'archivio dati del
computer già in uso all' O. sia nell'intero sistema centralizzato (server di
rete) non era più presente la documentazione relativa a tutta l'attività di
ricerca e sviluppo svolta dall' O. stesso e che quest'ultimo aveva utilizzato
il suo personal computer per accedere abusivamente alla casella di posta
personale del dipendente P.R. e aveva cancellato tutti i files di bg che
registravano "lo storico dei movimenti e attività del server di rete di
posta elettronica della Società sino al 27.5.2002".
Con
il secondo motivo la ricorrente contesta il capo della sentenza con cui, in
accoglimento dell'appello incidentale proposto dall'appellato, sono state
annullate le sanzioni della sospensione rispettivamente per giorni due e per
giorni tre inflitte al dipendente il 17/4/2002 e il 21/6/2002 con condanna
della società a corrispondere al lavoratore la retribuzione dovuta per i
predetti cinque giorni complessivi di sospensione.
Con
una prima censura denuncia motivazione illogica, incongrua e contraddittoria
sul requisito della specificità della contestazione di addebiti dell'8.04.2002
sanzionata con il provvedimento disciplinare del 17/4/2002 (art. 360 c.p.c., n.
5).
Con
una seconda censura la ricorrente denuncia motivazione illogica, incongrua e
contraddittoria in ordine alla ritenuta genericità della successiva
contestazione di addebiti del 14/6/2002 alla quale ha fatto seguito il
provvedimento del 21/6/2002 (art. 360 c.p.c., n. 5).
Il
motivo, pur valutato nella sua duplice articolazione, è infondato, avendo il
Giudice a quo fornito in proposito adeguata motivazione.
Quanto
alla sanzione del 17 aprile 2002, il Giudice d'appello, criticando l'opinione
espressa dal primo Giudice, ha in primo luogo richiamato la contestazione
dell'addebito -riprodotta integralmente nella esposizione in fatto della
sentenza- riguardante, così come correttamente sintetizzata nella motivazione,
il mancato sviluppo dei temi assegnati all' O. nella riunione del 13.2.2002 in
vista del meeting programmato per i successivi 21 e 22 marzo, ed il rifiuto di
porre a disposizione dello staff le poche attività svolte "così
costringendo il coordinatore P.R. ed il componente dello staff M.A. ad iniziare
soli nuovi studi e ricerche per presentarle tempestivamente al meeting del
21-23/03/2002".
Orbene,
la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto l'assoluta genericità della
prima di tali due circostanze oggetto di contestazione, non essendo specificato
quali fossero i "temi assegnati" e quale sarebbe stata la
prestazione, in ordine allo "sviluppo" di essi, che il dipendente
avrebbe dovuto tenere.
Quanto
all'altro addebito, ha osservato che esso non aveva goduto del conforto delle
testimonianze raccolte, poichè i testi assunti sul punto - entrambi di
indicazione datoriale - avevano, con sostanziale uniformità di accenti,
affermato, il primo, che "l' O. non si rifiutò di mettere a disposizione i
risultati dell'attività di ricerca da lui svolti, ... piuttosto non seguiva le
mie direttive" - così come riferito dal preposto P., consistenti nello
svolgimento di un'attività di equipe; il secondo, teste M., che "l' O. non
si rifiutava di mettere a disposizione i propri dati ma lo faceva in modo
formale".
Sicchè
coerentemente la Corte d'appello ha tratto la conclusione che la contestazione,
nei termini in cui era stata formulata, appariva "quantomeno non
centrata".
In
ordine alla successiva contestazione con cui si addebitava all' O. di:
a)
rifiutarsi sistematicamente di seguire la metodologia di lavoro stabilita nelle
apposite riunioni periodiche;
b)
non apportare alcun concreto contributo di idee o di progetti, ma limitarsi a
riferire circostanze e fatti scontati e noti a tutti;
c)
assumere una posizione di netto contrasto con i colleghi dello staff così
vanificando gli impegni e gli sforzi degli stessi, la Corte d'appello ha
ritenuto i detti addebiti del tutto indeteminati, non precisandosi: a) i
termini della "metodologia di lavoro" asseritamente non seguita, b)
quale sarebbe stato il contributo di progetti e di idee esigibile dal
prestatore, che egli avrebbe invece mancato di apportare, ed in forza di quale
disposizione contrattuale egli sarebbe stato tenuto ad un tal genere di
prestazione ideativi; c) in quali comportamenti dello stesso lavoratore si
sarebbe concretizzato il contrasto con i col leghi dello staff, al punto da
generare le gravi conseguenze contestate.
Stante
siffatta genericità delle contestazioni, venivano, dunque - prosegue la Corte,
a menomarsi le facoltà difensive del prestatore in sede disciplinare, con
conseguente annullamento della inflitta sospensione.
Trattasi
in tutti gli esaminati casi di accertamenti di merito, adeguatamente, ancorchè
sinteticamente, motivati che non si prestano ad essere censurati in questa
sede.
Per
quanto precede il ricorso va rigettato.
Le
spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo
giudizio, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.500,00 per onorari ed oltre
spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.