SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
19 aprile
2012 (*)
«Direttive
2000/43/CE, 2000/78/CE e 2006/54/CE – Parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro – Lavoratore che afferma, in maniera
plausibile, di soddisfare i requisiti indicati in un annuncio di assunzione –
Diritto, per tale lavoratore, di accedere alle informazioni relative
all’eventuale assunzione, da parte del datore di lavoro, di un altro candidato»
Nella
causa C‑415/10,
avente
ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesarbeitsgericht (Germania), con decisione
del 20 maggio 2010, pervenuta in cancelleria il 20 agosto 2010, nel
procedimento
Galina Meister
contro
Speech Design Carrier Systems GmbH,
LA CORTE
(Seconda Sezione),
composta
dal sig. J. N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai
sigg. U. Lõhmus, A. Rosas (relatore), A. Arabadjiev e
C.G. Fernlund, giudici,
avvocato
generale: sig. P. Mengozzi
cancelliere:
sig. K. Malacek, amministratore
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 novembre 2011,
considerate
le osservazioni presentate:
– Per
G. Meister, da R. Wißbar, Rechtsanwalt;
– per
la Speech Design Carrier Systems GmbH, da U. Kappelhoff, Rechtsanwältin;
– per
il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;
– per
la Commissione europea, da V. Kreuschitz, in qualità di agente,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 gennaio
2012,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 8,
paragrafo 1, della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che
attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente
dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22), 10,
paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000,
che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), e 19,
paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la
sig.ra Meister e la Speech Design Carrier Systems GmbH (in prosieguo: la
«Speech Design»), in merito ad una discriminazione fondata sul sesso, sull’età
e sull’origine etnica che la prima asserisce avere subito nel contesto di una
procedura di assunzione.
Contesto normativo
La
normativa dell’Unione
La
direttiva 2000/43
3 Il
quindicesimo considerando della direttiva 2000/43 enuncia che «[l]a valutazione
dei fatti sulla base dei quali si può dedurre che ci sia stata discriminazione
diretta o indiretta è una questione di competenza dell’organo giurisdizionale
nazionale o di altro organo competente secondo norme del diritto o della prassi
nazionale. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione
indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica».
4 Dal
ventunesimo considerando della suddetta direttiva risulta che «[l]e norme in
materia di onere della prova devono essere adattate quando vi sia una
presunzione di discriminazione e, nel caso in cui tale situazione si verifichi,
l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento richiede che
l’onere della prova sia posto a carico del convenuto».
5 Ai
sensi dell’articolo 1 di detta direttiva:
«La
presente direttiva mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni
fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere effettivo negli
Stati membri il principio della parità di trattamento».
6 L’articolo
3, paragrafo 1, della stessa direttiva dispone quanto segue:
«Nei
limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a
tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli
organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle
condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo,
compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente
dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché
alla promozione;
(…)».
7 L’articolo
7, paragrafo 1, della direttiva 2000/43 così prevede:
«Gli
Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in
seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità
di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si
lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o
amministrative, comprese, ove lo ritengano opportuno, le procedure di
conciliazione finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla presente
direttiva».
8 L’articolo
8 di tale direttiva, intitolato «Onere della prova», è redatto come segue:
«1. Gli
Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi
giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono
lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di
trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente,
fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o
indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione
del principio della parità di trattamento.
2. Il
paragrafo 1 si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere
disposizioni in materia di onere della prova più favorevoli all’attore.
3. Il
paragrafo 1 non si applica alle procedure penali.
4. I
paragrafi 1, 2 e 3 si applicano altresì alle procedure promosse a norma
dell’articolo 7, paragrafo 2.
5. Gli
Stati membri possono non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali
l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo
competente».
La
direttiva 2000/78
9 Il
quindicesimo considerando della direttiva 2000/78 enuncia che «[l]a valutazione
dei fatti sulla base dei quali si può dedurre che ci sia stata discriminazione
diretta o indiretta è una questione di competenza dell’organo giurisdizionale
nazionale o di altro organo competente secondo norme del diritto o della prassi
nazionale. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione
indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica».
10 Il
trentunesimo considerando della medesima direttiva precisa che «[l]e norme in
materia di onere della prova devono essere adattate quando vi sia una
presunzione di discriminazione e, nel caso in cui tale situazione si verifichi,
l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento richiede che
l’onere della prova sia posto a carico del convenuto. Non incombe tuttavia al
convenuto provare la religione di appartenenza, le convinzioni personali, la
presenza di un handicap, l’età o l’orientamento sessuale dell’attore».
11 Ai
sensi dell’articolo 1 di detta direttiva:
«La
presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle
discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli
handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le
condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il
principio della parità di trattamento».
12 L’articolo
3, paragrafo 1, della stessa direttiva dispone quanto segue:
«Nei
limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a
tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli
organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle
condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo,
compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente
dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché
alla promozione;
(…)».
13 L’articolo
9, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 così prevede:
«Gli
Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in
seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità
di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si
lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o
amministrative, comprese, ove lo ritengano opportuno, le procedure di
conciliazione finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla presente
direttiva».
14 L’articolo
10 di tale direttiva, intitolato «Onere della prova», ha il seguente tenore:
«1. Gli
Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi
giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono
lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di
trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente,
fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o
indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione
del principio della parità di trattamento.
2. Il
paragrafo 1 si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere
disposizioni in materia di onere della prova più favorevoli all’attore.
3. Il
paragrafo 1 non si applica alle procedure penali.
4. I
paragrafi 1, 2 e 3 si applicano altresì alle procedure promosse a norma
dell’articolo 9, paragrafo 2.
5. Gli
Stati membri possono non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali
l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo
competente».
La
direttiva 2006/54
15 Il
trentesimo considerando della direttiva 2006/54 è formulato come segue:
«L’adozione
di norme sull’onere della prova contribuisce in modo significativo a che il
principio della parità di trattamento possa essere applicato efficacemente.
Pertanto, come dichiarato dalla Corte di giustizia, occorre adottare
provvedimenti affinché l’onere della prova sia a carico della parte convenuta
quando si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione, a
meno che si tratti di procedimenti in cui l’istruzione dei fatti spetta
all’organo giurisdizionale o ad altro organo nazionale competente. Occorre
tuttavia chiarire che la valutazione dei fatti in base ai quali si può
presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta rimane di
competenza dell’organo nazionale competente, secondo il diritto e/o la prassi
nazionali. Inoltre, spetta agli Stati membri prevedere, in qualunque fase del
procedimento, un regime probatorio più favorevole alla parte attrice».
16 A
termini dell’articolo 1 di detta direttiva:
«Lo
scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle
pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego.
A
tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della
parità di trattamento per quanto riguarda:
a) l’accesso
al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;
(…)».
17 L’articolo
14, paragrafo 1, della stessa direttiva recita:
«È
vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei
settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto
attiene:
a) alle
condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo,
compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente
dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché
alla promozione;
(…)».
18 L’articolo
17, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dispone quanto segue:
«Gli
Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in
seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità
di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si
lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o
amministrative, comprese, ove lo ritengono opportuno, le procedure di
conciliazione finalizzate all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla
presente direttiva».
19 L’articolo
19 di tale direttiva, intitolato «Onere della prova», è redatto come segue:
«1. Gli
Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti
necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della
violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso
dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto
dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo
competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia
stata discriminazione diretta o indiretta.
2. La
presente direttiva non osta a che gli Stati membri impongano un regime
probatorio più favorevole alla parte attrice.
3. Gli
Stati membri possono non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali
l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.
4. I
paragrafi 1, 2 e 3 si applicano anche:
a) alle
situazioni contemplate dall’articolo 141 del trattato [CE] e, in caso di
discriminazione fondata sul sesso, dalle direttive 92/85/CEE e 96/34/CE;
b) a
qualsiasi procedimento civile o amministrativo riguardante il settore pubblico
o privato che preveda mezzi di ricorso secondo il diritto nazionale in base
alle disposizioni di cui alla lettera a), ad eccezione dei procedimenti non
giurisdizionali di natura volontaria o previsti dal diritto nazionale.
5. Salvo
diversa disposizione degli Stati membri, il presente articolo non si applica ai
procedimenti penali».
La
normativa nazionale
20 L’articolo
1 della legge generale sulla parità di trattamento (Allgemeines
Gleichbehandlungsgesetz), del 14 agosto 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1897),
nella versione applicabile all’epoca dei fatti di cui alla causa principale (in
prosieguo: l’«AGG»), ha il seguente tenore:
«La
presente legge mira ad impedire o eliminare qualsiasi discriminazione fondata
sulla razza o sull’origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle
convinzioni, sull’handicap, sull’età o sull’identità sessuale».
21 Ai
sensi dell’articolo 3, n. 1, dell’AGG:
«Sussiste
discriminazione diretta quando, a causa di uno dei motivi di cui all’articolo
1, una persona è trattata meno favorevolmente di come un’altra persona sia, sia
stata o sarà trattata in una situazione paragonabile. Sussiste altresì
discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo
1, punti 1‑4, quando una donna è vittima di un trattamento meno favorevole a
causa di gravidanza o maternità».
22 L’articolo
6, paragrafo 1, dell’AGG enuncia quanto segue:
«Con
lavoratori ai sensi della presente legge si intendono:
1. le
persone occupate in attività di lavoro subordinato;
2. le
persone occupate in attività di lavoro a scopo di formazione professionale;
3. le
persone la cui condizione, a motivo della loro situazione di dipendenza
economica, è assimilata a quella dei lavoratori dipendenti; appartengono
segnatamente a questa categoria i lavoratori a domicilio e le persone
assimilate.
Sono
parimenti considerati lavoratori le persone che hanno presentato una
candidatura per un posto di lavoro nonché quelle per le quali il rapporto di
lavoro abbia avuto termine».
23 Conformemente
all’articolo 7, paragrafo 1, dell’AGG, i lavoratori non devono subire alcuna
discriminazione per uno dei motivi di cui all’articolo 1. Tale divieto si
applica anche quando l’autore della discriminazione si limita a supporre la
presenza di uno dei motivi di cui all’articolo 1 nell’ambito del fatto
discriminatorio.
24 Ai
sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, dell’AGG:
«Per
quanto riguarda il danno non patrimoniale, il lavoratore ha diritto ad un
adeguato risarcimento economico. In caso di non assunzione, il risarcimento non
può essere superiore a tre stipendi mensili se il lavoratore non sarebbe stato
assunto neanche in caso di selezione non discriminatoria».
25 L’articolo
22 dell’AGG prevede quanto segue:
«Se
una parte in una controversia produce elementi di prova che facciano presumere
una discriminazione per uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, l’altra
parte è gravata dell’onere di provare che non vi è stata alcuna violazione
delle disposizioni antidiscriminatorie».
I fatti della causa principale e le questioni
pregiudiziali
26 La
sig.ra Meister è nata il 7 settembre 1961 ed è di origine russa. Ella è in
possesso di un diploma russo di ingegnere «sistemista», la cui equivalenza ad
un diploma tedesco conseguito presso una Fachhochschule (Istituto superiore
tecnico) è stata riconosciuta in Germania.
27 La
Speech Design ha pubblicato a mezzo stampa un annuncio allo scopo di assumere
«un/una esperto/a sviluppatore/sviluppatrice di software», al quale la
sig.ra Meister ha risposto il 5 ottobre 2006, presentando la propria candidatura.
L’11 ottobre 2006 la Speech Design ha respinto la sua candidatura per posta,
senza convocarla per un colloquio di assunzione. Poco tempo dopo, detta società
ha diramato in Internet un secondo annuncio, dal contenuto simile a quello del
primo annuncio. Il 19 ottobre 2006 la sig.ra Meister si è nuovamente
candidata, ma la Speech Design ha respinto la sua candidatura una seconda
volta, senza convocarla ad un colloquio e senza fornirle una qualsivoglia
indicazione concernente i motivi di tale rifiuto.
28 Il
dossier di cui dispone la Corte non contiene elementi atti ad indicare che la
società in discorso abbia sostenuto che il livello di qualificazione della
sig.ra Meister non corrispondesse a quello perseguito nell’ambito della
summenzionata procedura di assunzione.
29 Ritenendo
di essere in possesso dei requisiti necessari per occupare il posto in
questione, la sig.ra Meister ha reputato di aver subito un trattamento
meno favorevole rispetto ad un’altra persona in una situazione analoga in ragione
del suo sesso, della sua età e della sua origine etnica. Essa ha quindi
presentato un ricorso contro la Speech Design dinanzi all’Arbeitsgericht
(Tribunale del lavoro), chiedendo, in primo luogo, che tale società le versi un
risarcimento per discriminazione nell’assunzione e, in secondo luogo, che essa
esibisca il dossier del candidato assunto, circostanza che le consentirebbe di
dimostrare di essere più qualificata di quest’ultimo.
30 Dal
momento che in primo grado il ricorso della signora Meister è stato respinto,
ella ha interposto appello contro tale sentenza di rigetto dinanzi al
Landesarbeitsgericht (Tribunale regionale superiore del lavoro), giudice che ha
del pari respinto la domanda dell’interessata. Quest’ultima ha proposto un
ricorso in cassazione («Revision») dinanzi al Bundesarbeitsgericht (Corte
federale del lavoro). Tale giudice si chiede se la sig.ra Meister possa
far valere un diritto all’informazione sul fondamento delle direttive 2000/43,
2000/78 nonché 2006/54 e, in questo caso, quali siano le conseguenze di un
rifiuto di fornire informazioni opposto dalla Speech Design.
31 In
tale contesto, il Bundesarbeitsgericht ha deciso di sospendere il procedimento
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54[…] e l’articolo 8,
paragrafo 1, della direttiva 2000/43[…] nonché l’articolo 10, paragrafo 1,
della direttiva 2000/78[…] debbano essere interpretati nel senso che deve
essere riconosciuto ad un lavoratore, il quale affermi in maniera plausibile di
soddisfare i requisiti per un posto offerto da un datore di lavoro, nel caso in
cui venga respinta la sua candidatura, un diritto ad essere informato, da parte
del datore di lavoro, se questi abbia assunto un altro candidato e, in caso
affermativo, sulla base di quali criteri sia avvenuta l’assunzione.
2) In
caso di soluzione affermativa della prima questione: se la circostanza che il
datore di lavoro non comunichi le informazioni richieste faccia presumere la
sussistenza della discriminazione asserita dal lavoratore».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla
prima questione
32 Con
la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli
articoli 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, 10, paragrafo 1, della
direttiva 2000/78 e 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 debbano essere
interpretati nel senso che essi prevedono il diritto, per il lavoratore il
quale affermi, in maniera plausibile, di corrispondere al profilo richiesto in un
annuncio di assunzione e la cui candidatura non sia stata accolta, di avere
accesso alle informazioni che precisano se il datore di lavoro, in seguito alla
procedura di assunzione, abbia assunto un altro candidato e, in tale ipotesi,
in base a quali criteri.
33 In
via preliminare si deve rammentare che dagli articoli 3, paragrafo 1, lettera
a), della direttiva 2000/43, 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
2000/78 nonché 1, secondo comma, lettera a), e 14, paragrafo 1, lettera a),
della direttiva 2006/54 risulta che tali direttive sono applicabili alle
persone che desiderano accedere all’occupazione e al lavoro, compresi i
relativi criteri di selezione e le condizioni di assunzione.
34 Agli
articoli 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, 10, paragrafo 1, della
direttiva 2000/78 e 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, le medesime
direttive stabiliscono, in sostanza, che gli Stati membri devono prendere le
misure necessarie per assicurare che, conformemente ai loro sistemi giudiziari,
allorché persone che si ritengano lese dalla mancata applicazione nei loro
riguardi del principio della parità di trattamento ed espongano, dinanzi a un
tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere
che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte
convenuta provare che non vi è stata violazione di detto principio.
35 Si
deve rilevare che il testo delle disposizioni summenzionate è quasi identico a
quello dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80/CE del Consiglio,
del 15 dicembre 1997, riguardante l’onere della prova nei casi di
discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6), disposizione che
la Corte ha avuto l’occasione di interpretare in particolare nella sua sentenza
del 21 luglio 2011, Kelly (C‑104/10, non ancora pubblicata nella Raccolta).
Infatti, detto articolo 4, paragrafo 1, che è stato abrogato dalla direttiva
2006/54 con effetto a partire dal 15 agosto 2009, nonché la direttiva 97/80
nella sua totalità, per quanto riguarda l’onere della prova assoggettava i casi
di discriminazione in ragione del sesso allo stesso regime giuridico delle
direttive in esame nella causa principale.
36 Nell’interpretare
l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80 nella citata sentenza Kelly,
al punto 30 di questa la Corte ha dichiarato che incombe a colui che si ritenga
leso dal mancato rispetto del principio di parità di trattamento dimostrare, in
un primo momento, i fatti che consentano di presumere l’esistenza di una
discriminazione diretta o indiretta. Solamente nel caso in cui questi abbia
provato tali fatti, spetterà poi al convenuto, in un secondo momento,
dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non
discriminazione.
37 La
Corte ha altresì dichiarato che spetta all’autorità giudiziaria nazionale o ad
altra autorità competente valutare, in base al diritto e/o alle prassi
nazionali, i fatti che consentano di presumere la sussistenza di una
discriminazione diretta o indiretta (sentenza Kelly, cit., punto 31), come
previsto dal quindicesimo considerando delle direttive 2000/43 e 2000/78 nonché
dal trentesimo considerando della direttiva 2006/54.
38 La
Corte ha inoltre precisato che la direttiva 97/80, a termini del suo articolo
1, mirava a garantire che fosse accresciuta l’efficacia dei provvedimenti
adottati dagli Stati membri in applicazione del principio della parità di
trattamento, diretti a consentire a chiunque si ritenga leso dall’inosservanza,
nei propri confronti, di tale principio di ottenere il riconoscimento dei
propri diritti per via giudiziaria, dopo l’eventuale ricorso ad altri organi
competenti (sentenza Kelly, cit., punto 33). In proposito, va rilevato che gli
articoli 7, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, 9, paragrafo 1, della direttiva
2000/78 e 17, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 fanno riferimento allo
stesso principio.
39 Ciò
premesso, al punto 34 della sentenza Kelly, cit., la Corte ha concluso che, se
è pur vero che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80 non prevede un
diritto specifico a favore di colui che si ritenga leso dal mancato rispetto,
nei propri confronti, del principio della parità di trattamento di accedere ad
informazioni affinché questi sia in grado di dimostrare «elementi di fatto in
base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o
indiretta» ai sensi della menzionata disposizione, resta il fatto che non può
essere escluso che il diniego da parte della convenuta di fornire informazioni,
nell’ambito dell’accertamento dei fatti stessi, possa rischiare di
compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva
medesima, privando in tal modo detta disposizione, segnatamente, del proprio
effetto utile.
40 Come
ricordato al punto 35 della presente sentenza, la direttiva 97/80 è stata
abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/54. Tuttavia, alla luce del testo e
dell’economia degli articoli oggetto del rinvio pregiudiziale in esame, non
ricorrono elementi tali da far ritenere che, adottando le direttive 2000/43,
2000/78 e 2006/54, il legislatore dell’Unione abbia inteso modificare il regime
relativo all’onere della prova istituito dall’articolo 4, paragrafo 1, della
direttiva 97/80. Conseguentemente, nell’ambito della dimostrazione dei fatti
che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta o
indiretta, deve essere garantito che il diniego di fornire informazioni da
parte del convenuto non rischi di compromettere la realizzazione degli
obiettivi perseguiti dalle direttive 2000/43, 2000/78 e 2006/54.
41 A
termini rispettivamente del secondo e del terzo comma dell’articolo 4, paragrafo
3, TUE, gli Stati membri, in particolare, «adottano ogni misura di carattere
generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti
dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e «si
astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la
realizzazione degli obiettivi dell’Unione», compresi quelli perseguiti dalle
direttive (v. sentenze del 28 aprile 2011, El Dridi, C‑61/11 PPU, non
ancor pubblicata nella Raccolta, punto 56, e Kelly, cit., punto 36).
42 Pertanto,
spetta al giudice del rinvio vegliare affinché il diniego di fornire
informazioni da parte della Speech Design, nell’ambito dell’accertamento dei
fatti che consentono di presumere che ci sia stata una discriminazione diretta
o indiretta ai danni della sig.ra Meister, non rischi di compromettere la
realizzazione degli obiettivi perseguiti dalle direttive 2000/43, 2000/78 e
2006/54. A tale giudice, in particolare, spetta valutare tutte le circostanze
della controversia principale, al fine di determinare se vi siano indizi
sufficienti perché i fatti che consentono di presumere la sussistenza di una
siffatta discriminazione siano considerati provati.
43 A
questo proposito si deve ricordare che, come risulta dal quindicesimo considerando
delle direttive 2000/43 e 2000/78 e dal trentesimo considerando della direttiva
2006/54, il diritto o le prassi nazionali degli Stati membri possono prevedere,
in particolare, che la discriminazione indiretta sia accertata con qualsiasi
mezzo, compresa l’evidenza statistica.
44 Tra
gli elementi che possono essere presi in considerazione figura, segnatamente,
la circostanza che, a differenza della fattispecie nella causa sfociata nella
sentenza Kelly, cit., il datore di lavoro di cui trattasi nella causa
principale sembra aver negato alla sig.ra Meister qualsiasi accesso alle
informazioni di cui quest’ultima richiede la comunicazione.
45 Inoltre,
come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 35‑37 delle sue conclusioni,
si possono altresì prendere in considerazione, inter alia, il fatto che la
Speech Design non contesti la corrispondenza tra il livello di qualificazione
della sig.ra Meister e quello menzionato nell’annuncio di assunzione,
nonché la duplice circostanza che, nonostante ciò, il datore di lavoro non
l’abbia convocata per un colloquio e che l’interessata non sia stata neppure
convocata nell’ambito della seconda procedura di selezione di candidati per il
posto in questione.
46 In
base a quanto precede, si deve rispondere alla prima questione dichiarando che
gli articoli 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, 10, paragrafo 1, della
direttiva 2000/78 e 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 devono essere
interpretati nel senso che non prevedono il diritto, in favore del lavoratore
che affermi, in maniera plausibile, di soddisfare i requisiti contenuti in un
annuncio di assunzione e la cui candidatura non sia stata accolta, di accedere
alle informazioni che precisano se il datore di lavoro, a seguito della
procedura di assunzione, abbia assunto un altro candidato.
47 Non
può tuttavia escludersi che il diniego di fornire qualunque accesso alle
informazioni da parte di un convenuto possa costituire uno degli elementi da
prendere in considerazione nell’ambito dell’accertamento dei fatti che
consentono di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o
indiretta. Spetta al giudice del rinvio, valutando tutte le circostanze della
controversia di cui è investito, verificare se tale sia il caso che ricorre
nella causa principale.
Sulla
seconda questione
48 Tenuto
conto della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla
seconda questione posta dal giudice del rinvio.
Sulle spese
49 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda
Sezione) dichiara:
Gli articoli 8, paragrafo 1, della
direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio
della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica, 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio,
del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e 19,
paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego, devono essere interpretati nel senso che non prevedono
il diritto, in favore del lavoratore che affermi, in maniera plausibile, di
soddisfare i requisiti contenuti in un annuncio di assunzione e la cui
candidatura non sia stata accolta, di accedere alle informazioni che precisano
se il datore di lavoro, a seguito della procedura di assunzione, abbia assunto
un altro candidato. Non può tuttavia escludersi
che il diniego di fornire qualunque accesso alle informazioni da parte di un
convenuto possa costituire uno degli elementi da prendere in considerazione
nell’ambito dell’accertamento dei fatti che consentono di presumere la
sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta. Spetta al giudice del
rinvio, valutando tutte le circostanze della controversia di cui è investito,
verificare se tale sia il caso che ricorre nella causa principale
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