Suprema
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n.14020/2001
(Presidente:
A. Vela; Relatore: F. Roselli)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI
UNITE CIVILI
SENTENZA
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
ricorso del 4 agosto 1995 al Pretore di Genova, Roberto Putignano
chiedeva dichiararsi il suo diritto a godere le ferie negli anni 1994
e 1995 per l’intero periodo previsto nel contratto collettivo di
lavoro, proporzionale ai giorni di servizio prestato, nei quali
dovevano essere inclusi anche quelli di assenza per
malattia; egli chiedeva perciò che la datrice di lavoro
s.r.l. Corpo di Vigilanza Valbisagno Metronotte fosse
condannata a riconoscere e ricostruire l’intero monte ferie
maturato.
Costituitasi
la società convenuta, il Pretore accoglieva la domanda con sentenza
2 agosto 1996, condannando la datrice di lavoro a ricostruire il
monte ferie annuali maturate dal ricorrente, includendovi
quelle maturate in costanza di malattia relativamente agli
anni 1994 e 1995, e la decisione veniva confermata con sentenza 10
giugno 1997 dal Tribunale, il quale, riconosciuto il valore assoluto
e inderogabile dell’istituto delle ferie e richiamata la normativa
concordata in materia in sede di Organizzazione internazionale del
lavoro, equiparava i giorni di assenza per malattia a quelli di
lavoro effettivamente prestato.
Contro
questa sentenza ricorreva per cassazione la s.r.l Vigilanza
Valbisagno.
Resisteva
con controricorso il Putignano.
La
ricorrente presentava memoria.
Nell’udienza
del 4 luglio 2000 la Sezione lavoro di questa Corte,
rilevando un contrasto di giurisprudenza sulla questione di diritto
sottoposta dalla ricorrente ed accogliendo una istanza formulata
dalla medesima nel ricorso, rimetteva la causa al Primo Presidente
per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art.
374, 2° comma, cod. proc. civ..
Il
Primo Presidente disponeva in tal senso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con
l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 36 e
39 Cost., 2109 e 2110 cod. civ. [1].
Essa
osservava che l’art. 2109 cit., 2° comma, seconda parte,
delega la determinazione della durata del periodo di ferie, spettante
al lavoratore subordinato, alla legge, ai contratti collettivi, agli
usi o all’equità.
In
questa delega è, ad avviso della ricorrente, compresa la condizione,
insuperabile dal soggetto delegato, del necessario e precedente
periodo di ininterrotto servizio.
Tale
condizione significa che, dovendo essere la durata delle
ferie annuali proporzionale ai giorni di servizio prestato, in questi
non possono essere compresi i giorni di assenza per
malattia.
In
tal senso dispone l’art. 41 del contratto collettivo per i
dipendenti dagli istituti di vigilanza privati, applicato nella
fattispecie, il quale commisura il periodo di ferie ad ogni anno di
servizio prestato, ossia di effettiva presenza del
lavoratore.
Tale
esatto significato sarebbe dimostrato a contrario da altri contratti
collettivi, che includono espressamente nel periodo di servizio anche
i giorni di malattia, in tutto (c.c.n.l. del 1990 per le imprese
metalmeccaniche e del 1993 per le industrie della carta) o in parte
(c.c.n.l. del 1994 per le imprese bancarie).
La
contraria interpretazione della detta clausola contrattuale, resa dal
Tribunale, il quale ha equiparato la mera durata del rapporto di
lavoro, comprensiva dei giorni di assenza per malattia,
alla presenza effettiva del dipendente , confligge a parere della
ricorrente con il suddetto limite posto dall’art. 2109 cod.
civ. nonché con un principio di corrispettività, che
dominerebbe il rapporto di lavoro subordinato e che escluderebbe ogni
obbligo a carico del datore, come quelle di riconoscere le ferie
retribuite, in assenza della controprestazione lavorativa, salve le
eccezioni di legge.
La
questione che la ricorrente sottopone alla Corte si inserisce,
insieme ad altre analoghe di cui tra breve si dirà (infra, part. 4),
nella più ampia e controversa questione del fondamento
giustificativo del diritto soggettivo alle ferie annuali retribuite,
spettante al lavoratore subordinato.
Come esattamente,
e sia pure in forma sintetica, nota la ricorrente, alla tesi che vede
nelle ferie soltanto un tempo da destinare al riposo inteso come
ricostruzione delle energie consumate attraverso la effettiva
prestazione lavorativa, e che perciò la pone in relazione di stretta
corrispettività col lavoro svolto (ogni periodo di ferie compensa un
precedente e proporzionale periodo di attività) si contrappone
quella che assegna alla medesima la funzione più ampia di assicurare
al lavoratore un tempo libero, necessario alla tutela della salute
(art. 32 Cost.) ed all’esercizio dei diritti fondamentali di
svolgimento della personalità (art. 2 Cost.), e perciò
le inserisce solo in parte nella sinallagma del lavoro subordinato.
Questa
seconda tesi riflette a sua volta una concezione del contratto di
lavoro nell’impresa come fonte di un rapporto caratterizzato non
solo dallo scambio di prestazioni ma anche dall’implicazione
dell’intera personalità del lavoratore nell’organizzazione
produttiva diretta dall’imprenditore e nella sua inserzione in una
comunità (una formazione sociale, secondo l’impressione dell’art.2
Cost.) in cui egli realizza i detti diritti fondamentali: anzitutto
quello ad un’esistenza libera e dignitosa, sua e della famiglia
(art. 36, 1° comma, Cost.).
Prima
ancora delle disposizioni della Costituzione, l’insufficienza della
categoria dei contratti di scambio ad adeguare la formula
giuridica alla realtà sociale (agli artt. 2109 e 2110 del Codice
civile del 1942 imponevano l’obbligo retributivo anche quando il
contrapposto obbligo di lavoratore fosse sospeso, ed i
precedenti artt. 2105 e 2106 sottoponevano il lavoratore ai poteri
organizzativo e disciplinare dell’imprenditore) indusse la dottrina
a riportare il contratto di lavoro subordinato, esclusa la natura
associativa ossia l’unità dello scopo perseguito da tutti i
contraenti, al genere dei contratti d’organizzazione, vale a dire
alla complessa figura in cui, anche ma non solo attraverso rapporti
commutativi, l’imprenditore gestisce un complesso di beni e
coordina le attività di una comunità di collaboratori.
Lo
scrutinio di fondatezza del ricorso richiede l’interpretazione
delle seguenti norme di diritto.
L’art.
36, 3° comma, della Costituzione dice che il lavoratore ha diritto…
a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi.
Rientra
così tra i diritti indisponibili di cui all’art. 2113 cod.
civ. quello previsto dal precedente art. 21099, che
garantisce al prestatore di lavoro (secondo comma) un periodo annuale
di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che
l’imprenditore stabilisce, tenendo conto delle esigenze
dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.
Il
successivo art. 2110, derogando, come si è detto, o per lo meno
attenuando il principio di corrispettività, conserva il diritto alla
retribuzione anche in caso di infortunio, malattia,
gravidanza e puerperio ed aggiunge nel terzo comma che il periodo di
assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere
computato nell’anzianità di servizio.
La
convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) 24
giugno 1970 n. 132, resa esecutiva in Italia con legge 10 aprile 1981
n. 157, sulle ferie annuali retribuite, dopo aver stabilito il
diritto ad un congedo annuale pagato di una durata minima
e comunquenon inferiore a tre settimane di lavoro in un anno di
servizio (art. 3, commi 1 e 3) aggiunge nell’art. 5, comma 4: a
condizioni da stabilirsi da parte dell’autorità competente o
dall’organismo appropriato in ciascun Paese, le assenza dal lavoro
per motivi indipendenti dalla volontà della persona impiegata
interessata, come anche le assenze per malattia, incidente o congedo
per maternità, saranno calcolate nel periodo di sevizio.
Le
ferie annuali minime di quattro settimane sono previste nell’art.
2, n. 3, della Carta speciale europea fatta a Strasburgo il 3
maggio 1996 e ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 9
febbraio 1999 n. 30.
Il
computo nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti dei
periodi di astensione obbligatoria dal lavoro è stabilità,
a favore delle lavoratrici madri, dall’art. 6 L. 30 dicembre 1971
n. 1204.
Questo
complesso normativo consente già ora di affermare: che il prestatore
di lavoro è titolare di un diritto soggettivo alle ferie, garantito
a livello costituzionale; che il modo di esercizio del
diritto non è rimesso alla libera volontà del titolare bensì alla
discrezionalità dell’imprenditore, soggetto passivo del diritto,
il quale deve bilanciare gli interessi del soggetto attivo con le
esigenze dell’impresa.
Conviene
aggiungere che tale discrezionalità è compatibile con la tutela
costituzionale, come ha detto espressamente Corte Cost. 10 maggio
1963 n. 66, mentre la sent. 19 dicembre 1990 n. 543 afferma la
sottoponibilità del suo esercizio al controllo giudiziale attraverso
l’espressione dei motivi.
Le
norme sopra riportate condizionano l’esercizio del diritto alle
ferie ad u7n periodo minimo di servizio.
In
particolare l’art. 2109, 2° comma, cod. civ., che attribuiva
al lavoratore il diritto dopo un anno di ininterrotto servizio, è
stato dichiarato illegittimo con sentenza n. 66 del 1963 cit. dalla
Corte costituzionale, limitatamente al detto inciso, così risultando
che le ferie debbono essere godute entro, e non dopo, l’intero anno
di lavoro.
La
questione sollevata dalla ricorrente se nel periodo minimo di
servizio entro l’anno possano essere calcolati i giorni
di assenza per malattia, dev’essere tenuta distinta da questioni
diverse, ancorchè caratterizzate da aspetti in parte comuni, e così
formulabili: se il cosiddetto periodo di comporto, ossia il periodo
massimo di assenza per malattia alla cui scadenza il datore di lavoro
può recedere dal contratto (art. 2110, 2° comma, cod. civ.), possa
essere sospeso dalle ferie.
Qui
il lavoratore non pretende propriamente un periodo di riposo dopo un
periodo comporto (ossia di tolleranza dell’assenza); se nel periodo
minimo di servizio possano essere calcolati i giorni
trascorsi dal lavoratore in cassa integrazione guadagni, a zero ore
oppure con orario ridotto; se nel detto periodo minimo possano essere
calcolati i giorni di sciopero; se, calcolati i giorni di assenza per
malattia nel detto periodo minimo e non esercitato il diritto alle
ferie, il lavoratore possa ottenere l’indennità sostitutiva
(rectius: il risarcimento del danno); se nel periodo minimo di lavoro
retribuito, alla cui maturazione l’art. 8, 1° comma, L: 5 novembre
1968 n. 1115 subordina il trattamento speciale di disoccupazione,
possano essere compresi i giorni di assenza per malattia.
La
necessità di mantenere separate tali questioni corrisponde
all’esigenza di tener presente che gli argomenti utili a risolvere,
in un senso o nell’altro, una questione non necessariamente possono
essere utilizzati per l’altra; la commistione, in altre parole,
aumenta il pericolo di soluzioni errate.
La
questione ora sottoposta alla Corte è risolta in senso negativo da
una sentenza della stessa Corte nonché dalla prevalente
dottrina in base ai seguenti argomenti.
Benchè
il diritto alle ferie sia riconosciuto dall’art. 36 Cost., ciò
non significa che esse spettino anche in relazione a periodi i cui è
mancata un prestazione lavorativa, sia pure per causa non imputabile
al debitore.
La
Convenzione OIL (supra, par. 3) non pone un rigido principio generale
di computabilità dei periodi di sospensione del lavoro ai
fini della determinazione del diritto alle ferie, poiché essa ha
voluto solo rinviare agli organi dei singoli Stati la specifica
disciplina della materia (Cass. 19 ottobre 1996 n. 9125).
La
questione qui in esame non è stata risolta neppure indirettamente
dalla sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1987 n. 616
(vedila ampiamente infra, sub part 7), che si è limitata a
dichiarare l’illegittimità dell’art. 2109 cod. civ. nella
parte in cui no prevedeva che la malattia insorta durante il periodo
feriale ne sospendesse il decorso.
La
previsione espressa della maturazione delle ferie in
costanza di astensione dal lavoro della lavoratrice madre,
contenuta nell’art. 6 L: n. 1204 del 1971, risulterebbe superflua
se fosse già contenuta con efficacia generale nell’art. 2110 cod.
civ..
Se
si considerasse il periodo i malattia come idoneo a
produrre accumulazione di ferie, potrebbe verificarsi nel caso limite
che u lavoratore malato per un intero anno conseguirebbe egualmente
il relativo diritto.
Alcuni
di questi argomenti vengono ripresi da Cass. 13 febbraio
1992 n. 1786, la quale esclude che il lavoratore licenziato per
superamento del periodo di comporto di un anno abbia diritto ad una
indennità pere ferie non godute.
La
questione qui in esame viene per contro risolta in
senso positivo sulla base di questi argomenti: il diritto
incondizionato alle ferie posto dall’art. 36 Cost. è da collegare
non all’effettiva attività lavorativa ma al rapporto di lavoro,
che permane anche durante la malattia del lavoratore (Cass. 23
gennaio 1997 n. 704).
A
tale conclusione interpretativa induce la convenzione OIL (Cass. 5
aprile 1982 n. 2078), che, seppure non tradotta in specifici
precetti, influisce sullo scioglimento di dubbi interpretativi.
La
non sovrapponibilità fra ferie e malattia è stata sancita
in via generale DA Corte cost. n. 616 del 1987 cit..
Pari
validità generale ha l’inclusione dei periodi di malattia
nell’anzianità di servizio ad opera dell’art. 2110
cod. civ..
Tale
art 2110, insieme all’art. 2111 in materia di sospensione del
rapporto di lavoro per servizio militare, indica la volontà del
legislatore di trasferire determinati rischi del prestatore al datore
di lavoro (Corte cost. N. 616 del 1987 cit.).
Ritengono
le Sezioni Unite di doversi attenere a questo secondo orientamento.
Come
si è detto nel par. 2, i contrapposti argomenti sub I e
Ia, concernenti la necessità di far corrispondere il diritto alle
ferie allo svolgimento effettivo del lavoro oppure alla semplice
persistenza del rapporto, riflettono le opposte concezioni del
contratto di lavoro nell’impresa come semplice contratto di scambio
oppure come contratto di organizzazione.
In
passato si vide in essa una garanzia contro eventuali
interventi arbitrari dell’autorità giudiziaria nell’equilibrio
del rapporto di lavoro, stabilito dalle parti collettive o
individuali; la rigida predeterminazione dei contrapposti diritti ed
obblighi delle parti nelle norme di diritto o nei titoli negoziali
(contratto di tariffa o contratto individuale) evitava che attraverso
le clausole generali legali (ad es. quella di buona fede contenuta
nell’art. 1124 del codice civile italiano del 1865 o nel par. 242
del codice civile tedesco) il lavoratore potesse veder limitati i
propri diritti o aggravati gli obblighi attraverso il richiamo,
mediato dalla clausola generale di buona fede o comunque da
disposizioni di legge elastiche, ad un trascendente interesse
dell’impresa- comunità, in realtà non considerato ne dal
legislatore ne dalle parti.
Specialmente
in Germania si denunciava il pericolo che la visione del contratto di
lavoro individuale come contratto non solo di scambio ma
anche di organizzazione, finalizzato all’interesse
superiore dell’impresa o della produzione nazionale, potesse
portare ad un potere incontrollabile del proprietario dei mezzi di
produzione sul locatore di mera forza- lavoro.
Queste
preoccupazioni sono sopravvissute alla caduta degli ordinamenti
autoritari ed hanno lasciato consistente seguito alla dottrina
italiana, che nel puro sinallagma contrattuale ravvisa una barriera
contro una sottomissione del contraente- lavoratore alla gerarchia
dell’impresa (impermeabile a controlli esterni) ossia contro
eventuali ritorni a concezioni assolutistiche o almeno
paternalistiche dell’impresa stessa.
E
ciò anche se oggi il pericolo di abuso dei poterti
imprenditoriali sia frenato anzitutto dai principi economici della
Costituzione (parte prima, titolo III) e poi da una folta normazione
di dettaglio, specie extracodicistica.
Per
quanto qui interessa, il sinallagma contrattuale comporta un nesso
così stretto fra le prestazioni contrapposte che le norme non solo
del codice civile, ed in primis l’art. 2110 cit.,. postulanti la
permanenza dell’obbligo economico datoriale anche in caso di
inesecuzione della prestazione lavorativa non imputabile al debitore,
andrebbero considerate come eccezioni al principio di corrispettività
e perciò di stretta interpretazione: ne deriverebbe l’impossibilità,
in difetto di espressa previsione legale, di parificare i giorni di
assenza per malattia e giorni di lavoro effettivo ai fini della
maturazione del diritto alle ferie, intese rigidamente come
corrispettivo del lavoro svolto.
Altra
parte della dottrina rivela però l’insufficienza della concezione
sinallagmatica a rappresen6tare l’intera realtà del lavoro
nell’impresa, attraverso cui il prestatore di lavoro non consegue
soltanto il compenso per l’utilità economica resa dal datore, ma
realizza i valori indicati negli artt. 2, 4, e 36 Cost..
Anche la
dottrina tedesca del secondo dopoguerra, pur ostile alla concezione
comunitaria dell’impresa a suo tempo accolta dalla Corte del
Lavoro, e propugnatrice della contrapposizione degli interessi dei
datori e dei prestatori di lavoro, riconosce la rilevanza
dell’interesse generale alla conservazione dell’azienda e quindi
l’impossibilità di ridurre il rapporto di lavoro alla sola
corrispettività.
La
nostra giurisprudenza di legittimità mantiene la concezione
sinallagmatica ma non la irrigidisce: le prestazioni lavorative non
costituiscono così un mero strumento per il raggiungimento di un
risultato economico, ma esprimono piuttosto la presenza di un
soggetto nell’organizzazione aziendale.
Un
soggetto che quivi opera mediante il vincolo del rapporto
obbligatorio di scambio, nella cui struttura sono insite
pause di varie durate (giornaliera, settimanale, annuale), le quali
non incidono sulla funzionalità del sinallagma (Cass. 13 novembre
1986 n. 6658).
Una
concezione ampliata del nesso di corrispettività, dunque.
La
presenza del soggetto nell’organizzazione aziendale impone
all’imprenditore l’obbligo delle ferie non quale compenso ma come
vincolo cogente inderogabile a tutela della salute e della
personalità del lavoratore (così Cass. 28 maggio 1986 n. 3603).
La
giurisprudenza costituzionale si spinge oltre.
Essa
configura il diritto soggettivo alla salute come posizione soggettiva
autonoma (art. 32 Cost.), realizzabile nell’ambito del rapporto di
lavoro attraverso l’imposizione al ,datore del rischio della
malattia sofferta del prestatore, ossia dell’obbligo di
retribuzione e del divieto di recesso (art. 2110 cit.), e aggiunge:
l’assumere che il principio di corrispettività nel rapporto di
lavoro si risolve meccanicamente, salvo deroghe eccezionali, in una
relazione biunivoca tra prestazione lavorativa e retribuzione urta
contro il concetto di retribuzione assunto dall’art. 36 Cost., che
non è mero corrispettivo del lavoro, ma compenso del lavoro
proporzionale alla sua quantità e qualità, e, insieme, mezzo
normalmente esclusivo per sopperire alle necessità vitali del
lavoratore e dei suoi familiari.
Per
realizzare tale funzione della retribuzione il legislatore può
provvedere non solo mediante strumenti previdenziali e di sicurezza
sociale, ma anche imponendo determinate prestazioni all’imprenditore:
ciò per la ragione che nel rapporto il lavoratore impegna
non solo le proprie energie lavorative ma, necessariamente e in modo
durevole, la sua stessa persona, coinvolgendovi una parte dei suoi
rapporti personali e sociali (Corte Cost. 18 dicembre 1987 n. 559).
Con
ciò la concezione puramente sinallagmatica del contratto di lavoro
può dirsi superata (in tal senso e più recentemente Cass. Sez. Un.
7 agosto 1998 n. 7755).
Che
poi il diritto alle ferie serva non solo di corrispettivo alle
prestazioni lavorative ma soddisfi anche esigenze
psicologiche fondamentali del lavoratore, gli consenta di partecipare
più incisivamente alla vita familiare e sociale e tuteli il suo
diritto alla salute, nell’interesse dello stesso datore, è
affermato dalla Corte nelle sentenze 30 dicembre 1987 n. 616 e 22
maggio 2001 n. 158.
Nella
pria è esplicitamente negata la sovrapponibilità dei periodi di
malattia e di ferie, che debbono essere godute in stato di
salute.
Nella
seconda la Corte ripete che il diritto alle ferie fa parte
di quel contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve
assistere ogni rapporto di lavoro subordinato (compreso perciò
quello carcerario).
La
tutela costituzionale del diritto soggettivo in questione, così
configurata dall’art. 36 cit. e dell’interpretazione fornitane
dal Giudice delle leggi, costituisce un limite
inderogabile dalla autonomia privata.
Ciò
che non i verifica in ordinamenti lavoristici pur simili al
nostro, nei quali l’assenza di una garanzia di livello
sovralegislativo così intesa lascia maggiore discrezionalità ai
soggetti collettivi.
Ad
esempio nell’ordinamento francese, mentre in tempo meno recente, ed
ai fini del congedo annuale, il periodo di sospensione del rapporto
per malattia era assimilato a periodo di lavoro effettivo (art. 54 G
del codice del lavoro, come risultante dalla legge 20 luglio 1994),
l’art. 223/2 del codice attuale (risultante dall’ordinanza 16
gennaio 1982 n. 82/41) stabilisce la riduzione del periodo di congedo
annuale in proporzione alla durata della malattia, non esiste però
in quell’ordinamento il divieto di sovrapposizione dei periodi
malattia e congedo (Cass., Chambre sociale, 4 dicembre 1996,
Bullettin civil, V, n. 420).
Ne all’autonomia
collettiva può essere affidata l’attenuazione del detto limite
costituzionale.
Non
è utilizzabile in sede di applicazione delle norme vigenti
la risalente proposta dottrinale di parificare all’effettivo
servizio solamente le malattie di breve durata.
L’autonomia
collettiva rimane nondimeno libera di determinare la durata del
periodo feriale, ai sensi dell’art. 2109, 2° comma, ultimo
periodo, cod. civ..
Oltre
al detto limite costituzionale, l’interprete no può
tenere in nessun conto una convenzione internazionale, come quella
OIL sopra più volte richiamata, ratificata, resa esecutiva nel
diritto interno ed altrettanto chiara nell’apprestare una tutela
privilegiata del lavoratore in caso di certi impedimenti personali,
tra cui la malattia.
Ne alcun
argomento in contrario può trarsi dall’art. 6 L. n. 1704 del 1971,
confermato nell’art. 22, comma 3, d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, che
anzi specifica e rafforza la previsione dell’art. 2110 cod.
civ. sulla base delle sopravvenute norme della Costituzione.
Quanto
all’eventualità che ad un lungo periodo di assenza per
malattia, pur senza superamento del periodo di comporto, segua la
richiesta di ferie da parte del lavoratore (vedi retro, par. 5, V),
essa è stat risolta nel senso dell’accoglibilità della richiesta
da Cass. 5 aprile 1982 n. 2078, in base alla già ricordata necessità
che il diritto alle ferie, irrinunciabile, sia esercitato in
condizioni di salute (cfr.anche Corte cost. n. 616 del 1987
cit.), o almeno in condizioni fisiche compatibili con la funzione di
riposo e ricreazione, sua propria(Cass. Sez. Un. 23 febbraio
1998 n,. 1947).
Per
tale motivo l’art. 22, comma 6, d.lgs. n. 151 del 2001 stabilisce
oggi che le ferie non vanno godute nei periodi di congedo per
maternità.
La
questione della possibilità di sospendere il periodo di comporto per
la fruizione di ferie già maturate (vedi retro, par. 3,
sub A), eventualmente durante il periodo di malattia, presenta
elementi comuni con quella quì affrontata e suole essere risolta
nella giurisprudenza di questa Corte nel senso dell’insussistenza
di un principio di automatico prolungamento del periodo di comporto
(Cass. 4 giugno 199 n,. 5528), salva la facoltà, per il lavoratore,
di chiederne la sospensione prima della scadenza ed il
potere di scelta riservato al datore dall’art. 2109, 2° comma,
cod. civ. (Cass.- 28 gennaio 1997 n. 873 14 maggio 1997 n. 4217,
2 ottobre 1998 n. 9797, 19 novembre 1998 n. 11691, 11 maggio 2000 n.
6043, 8 novembre 2000 n. 14490).
Anche questa
giurisprudenza è in armonia con la soluzione qui adottata e ne
conferma l’esattezza.
Le
altre questioni, concernenti la possibilità di comprendere nel
periodo di servizio di cui all’art. 2109, 2° comma, cod.
civ. i giorni trascorsi in cassa integrazione guadagni, o
in sciopero (retro, par. 3, sub. B e C), non possono essere
equiparate a quella qui affrontata poiché l’assenza per
malattia non è assimilabile all’assenza per crisi economica
dell’impresa o per contenzioso sindacale, quanto alla possibilità
di utilizzazione del tempo resosi libero dall’impiego lavorativo.
Parimenti
diversa da quella affrontata qui è la questione di
spettanza della cosiddetta indennità per ferie non godute, e quella
della comprensibilità dei giorni di assenza per malattia nel periodo
minimo di lavoro retribuito ai fini del trattamento speciale di
disoccupazione (Cass 6 settembre 1993 n. 9339, 27 luglio 1996 n.
6762, 16 ottobre 1999 n. 11663, retro, par. 3, sub D ed E).
La
diversità delle caratteristiche e dei conseguenti criteri di
soluzione escludono tali questioni dall’attuale tema di decisione.
In
conclusione dev’essere confermato il principio di diritto a cui si
è attenuta la sentenza impugnata e secondo cui, nella determinazione
della durata delle ferie ex art. 2109, capoverso, cod.
civ., l’autonomia privata trova un limite nella necessità,
imposta dall’art. 36 Cost., di parificare ai periodi di servizio
quelli di assenza del lavoratore per malattia.
Rigettato
il ricorso, il sopra illustrato contrasto di giurisprudenza
giustifica la compensazione delle spese processuali.
PQM
La
Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Roma,
8 giugno 2001.
Depositata
in Cancelleria il 2 novembre 2001.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.1765/08
Reg.Dec.
N.
5070 Reg.Ric.
ANNO
2003
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n. 5070/2003 proposto da:
-
il Ministero per l’interno, in persona del Ministro in carica,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale
dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12,
Roma, appellante;
contro
-
Gianfagna Pasquale, rappresentato e difeso dall’avv. Corrado
Oliviero e con lui elettivamente
domiciliato
presso lo studio dell’avv. Sandro Picciolini, in viale Parioli n.
72, Roma, appellato;
per
l’annullamento e/o la riforma
della
sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione I-ter, n. 3844/2003,
concernente il decreto ingiuntivo
monocraticamente
emesso dal presidente di una sezione del T.a.r. Lazio, per la
corresponsione
della
monetizzazione di un periodo di congedo ordinario non fruito da un ex
ispettore della Polizia
di
Stato, decreto ingiuntivo opposto dalla p.a., ma confermato dal
collegio di prima istanza con la
sentenza
qui appellata.
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato Pasquale
Gianfagna;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore,
alla pubblica udienza del 29 gennaio 2008, il consigliere Aldo
SCOLA;
Uditi,
per le parti, l’avvocato dello Stato Roberto De Felice e l’avv.
Amicarelli, per delega
dell’avv.
Corrado Oliviero.
Ritenuto
e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
NARRATIVA
in FATTO Su istanza dell’ex ispettore della Polizia di Stato
Pasquale Gianfagna, il Presidente della Sezione
I-ter
del T.A.R. Lazio monocraticamente emetteva (inaudita altera parte) il
decreto ingiuntivo n.
495/2002,
intimando al Ministero dell’Interno di pagare (maggiorata delle
spese di procedura) la
somma
complessiva di euro 3479,95 euro, a titolo di compenso per 73 giorni
di ferie non fruite
dall’interessato.
Il
Ministero dell’interno proponeva rituale opposizione, sostenendo
che non vi sarebbero stati i
presupposti
per l’adozione di un tale provvedimento.
Resisteva
all’opposizione il Gianfagna creditore, che ribadiva la fondatezza
delle proprie pretese
e
concludeva conseguentemente per il rigetto del gravame.
All’esito
della discussione svoltasi il 17 aprile 2003, il collegio constatava
come il
provvedimento
monitorio in questione fosse stato correttamente emanato, osservando
che
l’interessato,
a seguito del riconoscimento della sua fisica inabilità, era stato
dispensato dal
servizio
con decorrenza dal 27 settembre 2002; che, a tale data, egli doveva
ancora fruire di 89
giorni
complessivi di congedo ordinario (10 dei quali relativi al 2000; 45
al 2001 e 34 al 2002);
infine,
che solo 16 tra tali giorni gli erano stati successivamente
retribuiti.
I
primi giudici richiamavano, quindi, l’art. 18, D.P.R. n. 254/1999,
contemplante il pagamento
sostitutivo
del congedo ordinario non solo nei casi previsti dall’art. 14,
comma 14, D.P.R. n.
395/1995,
ma anche nelle ipotesi di mancata fruizione per decesso, cessazione
dal servizio per
malattia
o dispensa intervenuta dopo il collocamento in aspettativa per
infermità.
Il
Tribunale amministrativo laziale riteneva che l’irrinunciabilità
del diritto alle ferie (prevista,
addirittura,
a livello costituzionale) si fondasse, intuitivamente, sull’esigenza
di fare in modo che il
lavoratore
disponesse di un periodo di tempo sufficiente per ritemprarsi (onde
potersi poi dedicare,
in
modo sempre più proficuo, allo svolgimento delle mansioni
affidategli), fermo restando che, nel
periodo
di tempo trascorso in malattia (termine implicante necessariamente
un’idea di sofferenza),
il
lavoratore stesso, impegnato a curarsi, non avrebbe potuto certo
trarre alcun reale beneficio da
detto
periodo di riposo.
In
ogni caso, indipendentemente dall’esistenza di un’espressa
normativa contemplante la
corresponsione
di una particolare indennità, il diritto al compenso sostitutivo
delle ferie non fruite
discenderebbe
direttamente dalla mancata fruizione delle stesse, comunque non
determinata (come
nella
fattispecie) dalla volontà dell’interessato (cfr. Cd.S., sezione
V, dec. n. 374/1998).
Tanto
bastava, ai primi giudici, per ritenere infondata l’opposizione
proposta dalla p.a. avverso
il
provvedimento monitorio di cui sopra, con sentenza prontamente
impugnata dalla p.a.
soccombente
in prime cure che, mediante la difesa erariale, invocava una
contraria giurisprudenza
di
questo Consiglio di Stato e concludeva per la riforma della gravata
pronuncia del T.a.r. Lazio.
Con
memoria, l’appellato Gianfagna si costituiva in giudizio e
resisteva all’appello, difendendo
l’impugnata
sentenza ed eccependo l’indegradabilità del diritto alle ferie od
alla loro
monetizzazione;
la vigenza del generale principio della tutela per equivalente
nell’ordinamento
italiano
(cfr. art. 2058, c.c.), alla luce degli artt. 3, 36 e 97, Cost.;
l’identità delle situazioni del
dipendente
ammalato in aspettativa e di quello in regime di congedo ordinario
per infermità;
l’infermità
da esso Gianfagna contratta per causa di servizio, argomento ignorato
dai primi
giudici.
All’esito
della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in
decisione.MOTIVI della DECISIONE
L’appello
è infondato e va respinto, in base ad una consolidata giurisprudenza
della sezione IV
di
questo Consiglio di Stato, che in questa sede si richiama
espressamente (cfr., ex multis, dec. n.
6533/2003
e dec. n. 1230/2001, rispetto alle quali rimangono isolate la dec. n.
8245 e la dec. n.
8246
del 2004, peraltro relative a due identiche fattispecie).
L’art.
14, d.P.R. n. 395/1995, incorporante l'accordo sindacale 20 luglio
1995 (riguardante il
personale
delle Forze di polizia ad ordinamento civile: Polizia di Stato, Corpo
di polizia
penitenziaria
e Corpo forestale dello Stato) ed il provvedimento di concertazione
20 luglio 1995,
riguardante
le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e
Corpo della Guardia
di
finanza), che ha introdotto la monetizzazione delle ferie maturate e
non godute, nel ribadire, al
comma
7, l’irrinunciabilità riguardo al suddetto congedo, al successivo
comma 14 ha previsto che si
possa
ammettere il pagamento del congedo ordinario non fruito nella sola
ipotesi che, all’atto della
cessazione
dal servizio, detto congedo non sia stato fruito per documentate
esigenze di servizio.
Ulteriori
deroghe sono state successivamente introdotte dall’art. 18, d.P.R.
n. 254/1999,
(recepimento
dell’accordo sindacale per le Forze di polizia), che ha previsto
la possibilità della
monetizzazione
del congedo ordinario e non fruito in caso di decesso, cessazione dal
servizio per
infermità
o dispensa disposta dopo il collocamento in aspettativa per
infermità.
Secondo
tale ultima normativa viene compensato, monetizzandolo, quel congedo
maturato non
fruito,
anche in mancanza del presupposto delle documentate esigenze di
servizio, in quanto
imprevedibili
eventi ne abbiano impedito la fruizione.
Rispetto
a tale situazione ed in riferimento al più vasto ambito del rapporto
di pubblico impiego,
la
giurisprudenza è per lo più giunta al riconoscimento del diritto
alla computabilità, ai fini del
calcolo
del periodo di congedo ordinario, dei giorni in cui il dipendente non
abbia prestato servizio,
in
quanto collocato in aspettativa per infermità., vale a dire per
fatto a lui non imputabile (cfr., tra le
altre,
C.d.S., sez VI, dec. 26 maggio 1999 n. 670).
Meno
ampio è il panorama giurisprudenziale per l’ipotesi del
riconoscimento del compenso
sostitutivo
delle ferie non godute e ritenute maturate nel periodo di aspettativa
per infermità.
La
tesi favorevole sviluppa l’opzione ermeneutica che ha portato a
considerare maturate le ferie
anche
nel periodo d’infermità per malattia, cioè in assenza di attività
di servizio, giungendo ad
affermare
che, quando il mancato godimento delle ferie non sia imputabile
all’interessato, ciò non
preclude
l’insorgenza del diritto alla percezione dell’emolumento
sostitutivo (cfr., ex plurimis,
C.d.S.,
sez, VI, dec. n. 2520/2001).
Nella
specie, il collegio ritiene che il compenso per le ferie non godute
non debba essere
necessariamente
connesso esclusivamente a documentate esigenze di servizio, per le
quali la
prestazione
lavorativa sia stata effettuata su richiesta dell’amministrazione,
che così abbia impedito
il
godimento delle ferie maturate, con la conseguenza che, se
ragionevolmente si volesse ritenere il
diritto
al congedo ordinario (indisponibile, irrinunciabile ed indegradabile
da parte del datore di
lavoro,
anche se pubblico) maturabile pure nel periodo di aspettativa per
infermità (nella specie,
incontestatamente
contratta per causa di servizio), da ciò conseguirebbe
automaticamente il diritto
al
compenso sostitutivo, ove tali ferie non venissero fruite. E ciò
implica che nel caso di aspettativa per infermità, diritto al
congedo ordinario e compenso
sostitutivo
costituiscono due facce inscindibili di una stessa situazione
giuridica, per cui al primo
in
ogni caso si dovrà sostituire il secondo (arg. pure ex art. 36,
Cost., ed art. 14, d.P.R. n. 395/1995).
L’uno
è, in effetti, un diritto incondizionatamente protetto dalla norma
costituzionale, salvo che
non
ne sia imputabile al dipendente il mancato godimento (art. 36, Cost);
l’altro spetta nei limiti in
cui
è normativamente riconosciuto, traducendosi in un onere ulteriore
per l’amministrazione (v. cit.
art.
18, d.P.R. n. 254/1999).
In
definitiva, se la non imputabilità all’interessato del mancato
svolgimento dell’attività di
servizio,
in caso di malattia, è alla base del computo dei giorni di congedo
ordinario, la non
riconducibilità
a causa imputabile al datore di lavoro del mancato godimento delle
ferie maturate
non
impedirà di percepirne il compenso sostitutivo, per cui la sentenza
impugnata, apparendo
correttamente
agganciata ai parametri normativi sopra richiamati ed alle loro
implicazioni
interpretative,
deve pertanto essere confermata.
L’appello
va, dunque, respinto, con contestuale salvezza dell’impugnata
sentenza, mentre le
spese
del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per
giusti motivi tra le parti
costituite,
tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della
natura della vertenza.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta):
-
respinge l’appello;
-
compensa spese ed onorari del secondo grado di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, nella camera
di
consiglio del 29 gennaio 2008.
Consiglio
di Stato sez.VI 23/7/2008 n. 3636; Pres. Varrone, C., Rel. Barra
Caracciolo, L. -
Nell’ambito
del rapporto di pubblico impiego, debbono ritenersi computabili, ai
fini del calcolo del periodo di congedo ordinario e del compenso
sostitutivo per le ferie non godute, i giorni in cui il dipendente
non abbia prestato servizio, in quanto collocato in aspettativa per
infermità, trattandosi di fatto a lui non imputabile.
(Omissis)
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Il
Tar del Lazio ha, in un primo tempo, accolto il ricorso proposto
dall’assistente della Polizia di Stato Carmelina Esposito per
l’ottenimento di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il
pagamento del compenso sostitutivo di 19 giorni di ferie non godute.
L’opposizione sollevata a seguito di ciò dall’ingiunto Ministero
dell’interno veniva quindi respinta con la sentenza in
epigrafe.
L’adito Tribunale premetteva che l’interessata, a seguito del riconoscimento della sua fisica inabilità, era stata dispensata dal servizio con decorrenza 15.1.2002 e, a tale data, doveva ancora fruire di 19 giorni complessivi di congedo ordinario. Pertanto richiamava l’art. 18 del DPR n. 254 del 1999, ai sensi del quale si procede al pagamento sostitutivo del congedo ordinario non solo nei casi previsti dall’art. 14, co. 14, del DPR n. 395/95, ma anche quando detto congedo non sia stato fruito per decesso, cessazione dal servizio per malattia o per dispensa intervenuta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. In ogni caso, indipendentemente dall’esistenza di una normativa espressa, il diritto al compenso sostitutivo delle ferie discende direttamente dal mancato godimento: pur che risulti certo che questo non sia stato determinato dalla volontà dell’interessato, e non era il caso in questione.
Appella l’Amministrazione deducendo i seguenti motivi:
La decisione del Tar non considera né la sentenza n. 67/1999 del Consiglio di Stato, né il parere n. 2620/2002, sui quali il Ministero aveva fondato l’opposizione al decreto ingiuntivo. Il parere citato ha sottolineato che l’art. 18 del D.P.R. n. 254 del 1999 si limita a prevedere il diritto del dipendente alla retribuzione del congedo ordinario, oltre che nei casi di cui all’art. 14 del D.P.R. n. 395/95, anche quando lo stesso non sia stato fruito per decesso, cessazione dal servizio per infermità o, come nel caso di specie, per dispensa dal servizio del dipendente disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. La disposizione nulla prevede circa la monetizzazione del congedo ordinario non fruito durante il periodo di esonero del dipendente dal servizio per collocamento in aspettativa per infermità. Secondo il Consiglio di Stato, per il periodo trascorso in aspettativa non matura alcun diritto al congedo ordinario, non vi è diritto del tutto se l’aspettativa si sia protratta per l’intero anno solare; se si è protratta per un periodo inferiore, il suddetto diritto si perde proporzionalmente. Anche C.d.S. n. 67/1999 ha affermato che le cause del congedo ordinario, inteso a garantire l’integrità fisica e psichica contro il logorio conseguente alle prestazioni lavorative, vengono meno allorché l’impiegato sia esonerato dalla prestazione del servizio in quanto in aspettativa. Di tale orientamento il Tar non ha tenuto alcun conto.
Applicando la normativa vigente alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale, alla ricorrente non spetta alcuna somma ulteriore rispetto a quella già liquidata dall’amministrazione e relativa alle ferie non godute prima del collocamento in aspettativa. Per il periodo successivo nulla può esserle riconosciuto in quanto manca il presupposto della monetizzazione, ossia la maturazione di giorni di ferie non goduti.
Si è costituita la sig.ra Esposito contestando con memoria le deduzioni appellatorie.
L’adito Tribunale premetteva che l’interessata, a seguito del riconoscimento della sua fisica inabilità, era stata dispensata dal servizio con decorrenza 15.1.2002 e, a tale data, doveva ancora fruire di 19 giorni complessivi di congedo ordinario. Pertanto richiamava l’art. 18 del DPR n. 254 del 1999, ai sensi del quale si procede al pagamento sostitutivo del congedo ordinario non solo nei casi previsti dall’art. 14, co. 14, del DPR n. 395/95, ma anche quando detto congedo non sia stato fruito per decesso, cessazione dal servizio per malattia o per dispensa intervenuta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. In ogni caso, indipendentemente dall’esistenza di una normativa espressa, il diritto al compenso sostitutivo delle ferie discende direttamente dal mancato godimento: pur che risulti certo che questo non sia stato determinato dalla volontà dell’interessato, e non era il caso in questione.
Appella l’Amministrazione deducendo i seguenti motivi:
La decisione del Tar non considera né la sentenza n. 67/1999 del Consiglio di Stato, né il parere n. 2620/2002, sui quali il Ministero aveva fondato l’opposizione al decreto ingiuntivo. Il parere citato ha sottolineato che l’art. 18 del D.P.R. n. 254 del 1999 si limita a prevedere il diritto del dipendente alla retribuzione del congedo ordinario, oltre che nei casi di cui all’art. 14 del D.P.R. n. 395/95, anche quando lo stesso non sia stato fruito per decesso, cessazione dal servizio per infermità o, come nel caso di specie, per dispensa dal servizio del dipendente disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità. La disposizione nulla prevede circa la monetizzazione del congedo ordinario non fruito durante il periodo di esonero del dipendente dal servizio per collocamento in aspettativa per infermità. Secondo il Consiglio di Stato, per il periodo trascorso in aspettativa non matura alcun diritto al congedo ordinario, non vi è diritto del tutto se l’aspettativa si sia protratta per l’intero anno solare; se si è protratta per un periodo inferiore, il suddetto diritto si perde proporzionalmente. Anche C.d.S. n. 67/1999 ha affermato che le cause del congedo ordinario, inteso a garantire l’integrità fisica e psichica contro il logorio conseguente alle prestazioni lavorative, vengono meno allorché l’impiegato sia esonerato dalla prestazione del servizio in quanto in aspettativa. Di tale orientamento il Tar non ha tenuto alcun conto.
Applicando la normativa vigente alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale, alla ricorrente non spetta alcuna somma ulteriore rispetto a quella già liquidata dall’amministrazione e relativa alle ferie non godute prima del collocamento in aspettativa. Per il periodo successivo nulla può esserle riconosciuto in quanto manca il presupposto della monetizzazione, ossia la maturazione di giorni di ferie non goduti.
Si è costituita la sig.ra Esposito contestando con memoria le deduzioni appellatorie.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
L’appello
è infondato e va respinto, in base ad una consolidata e prevalente
giurisprudenza della sezione IV di questo Consiglio di Stato, che
questa Sezione ha confermato e richiamato espressamente con
recentissima decisione ( VI, 21 aprile 2008, n. 1765; in ordine al
richiamato orientamento pregresso cfr., ex
multis,
dec. n. 6533/2003 e dec. n. 1230/2001, rispetto alle quali rimangono
isolate la dec. n. 8245 e la dec. n. 8246 del 2004, peraltro
relative a due identiche fattispecie).
L’art. 14, d.P.R. n. 395/1995, incorporante l`accordo sindacale 20 luglio 1995 (riguardante il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile: Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato) ed il provvedimento di concertazione 20 luglio 1995, riguardante le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della Guardia di finanza), che ha introdotto la monetizzazione delle ferie maturate e non godute, nel ribadire, al comma 7, l’irrinunciabilità riguardo al suddetto congedo, al successivo comma 14 ha previsto che si possa ammettere il pagamento del congedo ordinario non fruito nella sola ipotesi che, all’atto della cessazione dal servizio, detto congedo non sia stato fruito per documentate esigenze di servizio.
Ulteriori deroghe sono state successivamente introdotte dall’art. 18, d.P.R. n. 254/1999, (recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia), che ha previsto la possibilità della monetizzazione del congedo ordinario e non fruito in caso di decesso, cessazione dal servizio per infermità o dispensa disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità.
Secondo tale ultima normativa viene compensato, monetizzandolo, quel congedo maturato non fruito, anche in mancanza del presupposto delle documentate esigenze di servizio, in quanto imprevedibili eventi ne abbiano impedito la fruizione.
Rispetto a tale situazione ed in riferimento al più vasto ambito del rapporto di pubblico impiego, la giurisprudenza è per lo più giunta al riconoscimento del diritto alla computabilità, ai fini del calcolo del periodo di congedo ordinario, dei giorni in cui il dipendente non abbia prestato servizio, in quanto collocato in aspettativa per infermità., vale a dire per fatto a lui non imputabile (cfr., tra le altre, C.d.S., sez VI, dec. 26 maggio 1999 n. 670).
Meno ampio è il panorama giurisprudenziale per l’ipotesi del riconoscimento del compenso sostitutivo delle ferie non godute e ritenute maturate nel periodo di aspettativa per infermità.
La tesi favorevole sviluppa l’opzione ermeneutica che ha portato a considerare maturate le ferie anche nel periodo d’infermità per malattia, cioè in assenza di attività di servizio, giungendo ad affermare che, quando il mancato godimento delle ferie non sia imputabile all’interessato, ciò non preclude l’insorgenza del diritto alla percezione dell’emolumento sostitutivo (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez, VI, dec. n. 2520/2001).
Nella specie, il collegio ritiene che il compenso per le ferie non godute non debba essere necessariamente connesso esclusivamente a documentate esigenze di servizio, per le quali la prestazione lavorativa sia stata effettuata su richiesta dell’amministrazione, che così abbia impedito il godimento delle ferie maturate, con la conseguenza che, se ragionevolmente si volesse ritenere il diritto al congedo ordinario (indisponibile, irrinunciabile ed indegradabile da parte del datore di lavoro, anche se pubblico) maturabile pure nel periodo di aspettativa per infermità (nella specie, incontestatamente contratta per causa di servizio), da ciò conseguirebbe automaticamente il diritto al compenso sostitutivo, ove tali ferie non venissero fruite.
E ciò implica che nel caso di aspettativa per infermità, diritto al congedo ordinario e compenso sostitutivo costituiscono due facce inscindibili di una stessa situazione giuridica, per cui al primo in ogni caso si dovrà sostituire il secondo (arg. pure ex art. 36, Cost., ed art. 14, d.P.R. n. 395/1995).
L’uno è, in effetti, un diritto incondizionatamente protetto dalla norma costituzionale, salvo che non ne sia imputabile al dipendente il mancato godimento (art. 36, Cost.); l’altro spetta nei limiti in cui è normativamente riconosciuto, traducendosi in un onere ulteriore per l’amministrazione (v. cit. art. 18, d.P.R. n. 254/1999).
In definitiva, se la non imputabilità all’interessato del mancato svolgimento dell’attività di servizio, è alla base del computo dei giorni di congedo ordinario, la non riconducibilità a causa imputabile al datore di lavoro del mancato godimento delle ferie maturate non impedirà di percepirne il compenso sostitutivo, trattandosi oltretutto di ipotesi nella sostanza assimilabile a quella delle “documentate esigenze di servizio”, per cui la sentenza impugnata, apparendo correttamente agganciata ai parametri normativi sopra richiamati ed alle loro implicazioni interpretative, deve pertanto essere confermata.
L’appello va, dunque, respinto, con contestuale salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.
L’art. 14, d.P.R. n. 395/1995, incorporante l`accordo sindacale 20 luglio 1995 (riguardante il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile: Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato) ed il provvedimento di concertazione 20 luglio 1995, riguardante le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della Guardia di finanza), che ha introdotto la monetizzazione delle ferie maturate e non godute, nel ribadire, al comma 7, l’irrinunciabilità riguardo al suddetto congedo, al successivo comma 14 ha previsto che si possa ammettere il pagamento del congedo ordinario non fruito nella sola ipotesi che, all’atto della cessazione dal servizio, detto congedo non sia stato fruito per documentate esigenze di servizio.
Ulteriori deroghe sono state successivamente introdotte dall’art. 18, d.P.R. n. 254/1999, (recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia), che ha previsto la possibilità della monetizzazione del congedo ordinario e non fruito in caso di decesso, cessazione dal servizio per infermità o dispensa disposta dopo il collocamento in aspettativa per infermità.
Secondo tale ultima normativa viene compensato, monetizzandolo, quel congedo maturato non fruito, anche in mancanza del presupposto delle documentate esigenze di servizio, in quanto imprevedibili eventi ne abbiano impedito la fruizione.
Rispetto a tale situazione ed in riferimento al più vasto ambito del rapporto di pubblico impiego, la giurisprudenza è per lo più giunta al riconoscimento del diritto alla computabilità, ai fini del calcolo del periodo di congedo ordinario, dei giorni in cui il dipendente non abbia prestato servizio, in quanto collocato in aspettativa per infermità., vale a dire per fatto a lui non imputabile (cfr., tra le altre, C.d.S., sez VI, dec. 26 maggio 1999 n. 670).
Meno ampio è il panorama giurisprudenziale per l’ipotesi del riconoscimento del compenso sostitutivo delle ferie non godute e ritenute maturate nel periodo di aspettativa per infermità.
La tesi favorevole sviluppa l’opzione ermeneutica che ha portato a considerare maturate le ferie anche nel periodo d’infermità per malattia, cioè in assenza di attività di servizio, giungendo ad affermare che, quando il mancato godimento delle ferie non sia imputabile all’interessato, ciò non preclude l’insorgenza del diritto alla percezione dell’emolumento sostitutivo (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez, VI, dec. n. 2520/2001).
Nella specie, il collegio ritiene che il compenso per le ferie non godute non debba essere necessariamente connesso esclusivamente a documentate esigenze di servizio, per le quali la prestazione lavorativa sia stata effettuata su richiesta dell’amministrazione, che così abbia impedito il godimento delle ferie maturate, con la conseguenza che, se ragionevolmente si volesse ritenere il diritto al congedo ordinario (indisponibile, irrinunciabile ed indegradabile da parte del datore di lavoro, anche se pubblico) maturabile pure nel periodo di aspettativa per infermità (nella specie, incontestatamente contratta per causa di servizio), da ciò conseguirebbe automaticamente il diritto al compenso sostitutivo, ove tali ferie non venissero fruite.
E ciò implica che nel caso di aspettativa per infermità, diritto al congedo ordinario e compenso sostitutivo costituiscono due facce inscindibili di una stessa situazione giuridica, per cui al primo in ogni caso si dovrà sostituire il secondo (arg. pure ex art. 36, Cost., ed art. 14, d.P.R. n. 395/1995).
L’uno è, in effetti, un diritto incondizionatamente protetto dalla norma costituzionale, salvo che non ne sia imputabile al dipendente il mancato godimento (art. 36, Cost.); l’altro spetta nei limiti in cui è normativamente riconosciuto, traducendosi in un onere ulteriore per l’amministrazione (v. cit. art. 18, d.P.R. n. 254/1999).
In definitiva, se la non imputabilità all’interessato del mancato svolgimento dell’attività di servizio, è alla base del computo dei giorni di congedo ordinario, la non riconducibilità a causa imputabile al datore di lavoro del mancato godimento delle ferie maturate non impedirà di percepirne il compenso sostitutivo, trattandosi oltretutto di ipotesi nella sostanza assimilabile a quella delle “documentate esigenze di servizio”, per cui la sentenza impugnata, apparendo correttamente agganciata ai parametri normativi sopra richiamati ed alle loro implicazioni interpretative, deve pertanto essere confermata.
L’appello va, dunque, respinto, con contestuale salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge
il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per l’effetto
la sentenza impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall`Autorità
amministrativa.
N.
07295/2010 REG.SEN.
N.
05775/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha
pronunciato la presente
DECISIONE
Sul
ricorso numero di registro generale 5775 del 2006, proposto dal
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
******,
rappresentato e difeso dall'avv.
per la riforma
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 00274/2006, resa
tra le parti, concernente PAGAMENTO SOMME PER FERIE NON FRUITE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste
le note difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2010 il consigliere Bruno
Rosario Polito e uditi per le parti l’ avvocato dello Stato
Barbieri e l’ avvocato Amoroso.;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1).
Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio respingeva il ricorso proposto
dal Ministero dell’interno in opposizione a decreto ingiuntivo
recante la condanna al pagamento in favore del sig. *****, già
appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, di una somma
corrispondente al periodo di congedo ordinario non fruito, perché
collocato in aspettativa per malattia che in prosieguo ha comportato
la dispensa dal servizio per inidoneità fisica.
Il
Tribunale amministrativo regionale , in particolare, riconosceva che
il diritto alla maturazione del periodo di congedo ordinario non
viene meno in caso di assenza per malattia dal servizio. Al dato
obiettivo del mancato godimento delle ferie - indipendentemente da
espressa previsione normativa - segue il diritto all’ indennità
sostitutiva. L’ obbligo di monetizzazione per equivalente delle
ferie non fruite non è in ogni caso eludibile ove al periodo di
aspettativa segua la dispensa dal servizio, tanto più quando la
malattia stessa sia stata contratta per ragioni o in occasione del
servizio.
Avverso
detta sentenza ha proposto appello il Ministero dell’ Interno ed ha
confutato le conclusioni del primo giudice , sottolineando che
nessuna pretesa economica può essere avanzata per di ferie non
fruite in costanza di collocamento in aspettativa per infermità.
Il
sig. *******, costituitosi in giudizio, ha contraddetto i motivi di
appello, insistendo per la conferma della sentenza appellata.
All’
udienza del 15 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto per la
decisione.
2)
) L’ appello è infondato.
Si
verte qui in sostanza della corretta interpretazione da darsi alle
disposizioni in tema di congedo ordinario di cui agli artt. 18 d.P.R.
16 marzo 1999, n. 254 (di recepimento dell'accordo sindacale per le
Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di
concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi
al quadriennio normativo 1998- 2001 ed al biennio economico
1998-1999) e 14 d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395 (di recepimento
dell'accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale
delle forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di
concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le forze di polizia ad
ordinamento militare). Per l’Amministrazione appellante, infatti,
da queste disposizioni si trae la conclusione che il reclamato
trattamento non spetta, giacché il diritto al compenso sostitutivo
postula che il fatto causativo dell’impedimento al godimento delle
ferie sia da imputare all’Amministrazione, il che non avviene nel
caso della malattia che ha dato luogo al collocamento in aspettativa.
La
Sezione non condivide un siffatto assunto. Vale considerare quanto
segue:
2.1).
In ordine al diritto dell’appartenente ai ruoli della Polizia di
Stato alla monetizzazione, mediante corresponsione dell’indennità
per ferie non godute, del periodo di congedo ordinario non fruito in
quanto collocato in aspettativa per infermità (vale a dire in
assenza di attività di servizio), si è ripetutamente pronunciata
questa Sezione con un indirizzo favorevole alle tesi qui sviluppate
dalla difesa dell’appellato, che qui si ritiene di confermare (cfr.
Cons. Stato, VI, 7 maggio 2001, n. 2520; 21 aprile 2008, n. 1765,
specifico riguardo al dipendente della Polizia di Stato; 23 luglio
2008 n. 3636; 24 febbraio 2009, n. 1084; e già v. Cons. Stato, V, 3
marzo 2001, n. 1230; IV, 7 giugno 2005, n. 2964). In tal modo è
stato disatteso l’opposto orientamento, a tenore del quale il
diritto del dipendente a fruire dell’indennità sostitutiva delle
ferie non godute non si configura dato che la mancata fruizione
dipende da una situazione soggettiva (lo stato di infermità causante
l’aspettativa) che non è non direttamente imputabile
all’Amministrazione, la quale può essere chiamata in causa solo
nel caso in cui costringa il dipendente ad effettuare la prestazione
lavorativa nel periodo feriale (Cons. Stato, IV, 30 maggio 2005, n.
2779; 27 aprile 2005, n. 1956; 27 dicembre 2004, n. 8245).
Con
le dette decisioni favorevoli alla corresponsione della indennità, è
stato, in particolare, posto in rilievo:
-
che il diritto del lavoratore al godimento delle ferie retribuite,
che è solennemente affermato dall’ art. 36 della Costituzione, non
soffre in via di massima limite per la sospensione del rapporto per
malattia del lavoratore (in tema di lavoro privato, è stato
affermato – risolvendo un’annosa disputa giurisprudenziale - che
la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla
sospensione del rapporto per malattia del lavoratore, con la
conseguenza della parificazione al servizio effettivo del periodo di
assenza per malattia: Cass., SS. UU., 12 novembre 2001, n. 14020);
-
che, anche nel settore dell’impiego pubblico non contrattualizzato,
il mancato godimento delle ferie,non imputabile all’ interesso non
preclude di suo l’ insorgenza del diritto alla percezione del
compenso sostitutivo. Si tratta infatti di un diritto che per sua
natura prescinde dal sinallagma prestazione lavorativa/retribuzione
che governa il rapporto di lavoro subordinato e non riceve, quindi,
compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività
del servizio (nella specie collocamento in aspettativa per malattia);
-
che, con specifico riferimento al comparto di pubblico impiego cui
appartiene l’odierno appellato, i casi in cui vi è diritto al
compenso sostitutivo dei periodi di ferie non fruite - espressamente
contemplate agli artt. 14 del d.P.R. n. 395 del 1995 e 18 del d.P.R.
n. 254 del 1999, non hanno carattere costitutivo del diritto
invocato, ma ricognitivo di singole fattispecie; perciò non
esauriscono con carattere di tassatività ogni altra ipotesi
riconducibile alla tutela del diritto in questione e, fra queste, la
mancata fruizione delle ferie per collocamento in aspettativa per
infermità;
-
che, in conclusione “nel caso di aspettativa per infermità, il
diritto al congedo ordinario e al compenso sostitutivo costituiscono
due facce inscindibili di una stessa situazione giuridica, per cui al
primo in ogni caso si dovrà sostituire il secondo” (Cons. Stato,
VI, n. 1765 del 2008).
La
Sezione non ravvisa ragioni per doversi discostare dalla su riferite
precedenti conclusioni. Esse non recedono a fronte dell’ordine
argomentativo sviluppato in appello, teso a collegare in rapporto di
consequenzialità la maturazione del diritto alla ferie
all’effettività della prestazione lavorativa de die in diem, con
ricaduta quindi anche sulla sua monetizzazione per equivalente. In
contrario, come posto in rilievo nella stessa sentenza che si
appella, l’esonero dal servizio attivo per riconosciuta malattia
(in ipotesi derivante anche da causa di servizio), non determina una
deminutio dello stato giuridico del pubblico dipendente quanto alle
restanti prerogative ed, in particolare, in ordine alla maturazione
del diritto al riposo per ferie.
L’
appello va, quindi, respinto.
In
relazione ai profili della controversia, spese ed onorari del
giudizio vanno compensati fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, respinge l’ appello in epigrafe.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2010 .
CORTE
DI CASSAZIONE n. 10341 dell'11 maggio 2011
La
Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull'indennità per ferie
non godute e afferma,
ribaltando
l'orientamento espresso in altre recenti decisioni, che la
monetizzazione in una indennità
economica
del diritto alle ferie maturate e non godute ha natura di
risarcimento.
La
"querelle" si è posta, nel caso sottoposto alla Corte,
sull'applicabilità del termine di
prescrizione
quinquennale, previsto dalla disciplina del codice civile, tra gli
altri, per i diritti di
natura
retributiva, o di quello ordinario decennale, a cui soggiacciono le
richieste di risarcimento
per
inadempimento contrattuale.
Con la sentenza
10341 dell'11 maggio 2011 la Cassazione sostiene che il termine di
prescrizione
per chiedere il pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie non
godute, a cui si
aggiunge
anche l'indennità sostitutiva dei riposi settimanali non goduti, è
quello ordinario
decennale,
perchè il diritto rivendicato, essendo direttamente correlato a un
inadempimento
contrattuale
del datore di lavoro, ha natura squisitamente risarcitoria.
Il
principio da cui muove la Cassazione è la considerazione che il
dipendente ha periodo
temporale
di maturazione, del monte ferie a lui spettante, con la conseguenza
che, in presenza di
ferie
residue maturate e non godute dal dipendente, il datore di lavoro
risulta inadempiente a una
precisa
obbligazione, che è legale e contrattuale.
La
richiesta successivamente avanzata dal dipendente di voler
monetizzare in una
corrispondente
indennità economica le ferie che sono state accumulate e non godute
per intero si
pone,
secondo l'interpretazione espressa nella sentenza 10341 dell'11
maggio 2011, in diretta
relazione
con l'inadempimento del datore di lavoro, che quelle ferie non ha
fatto fruire al
dipendente,
e ha conseguentemente natura di risarcimento contrattuale.
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