Svolgimento del processo
L'arch. G.R. adiva il Giudice del Lavoro del Tribunale di Venezia
chiedendo che fosse dichiarata l'illegittimità del licenziamento
intimatogli con lettera del 22.11.2004 e la reintegra nel posto di
lavoro, oltre al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.
Il ricorrente deduceva che la contestazione disciplinare era generica,
per omessa specificazione di tempo e di luogo delle condotte addebitate,
ed inoltre eccepiva la mancata affissione del codice disciplinare. Nel
merito negava gli addebiti, adducendo che spesso visitava gli utenti
all'ora di pranzo e consumava talvolta il pasto a casa propria;
contestava infine la sproporzione tra sanzione irrogata e fatti
addebitati.
La società convenuta, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto
del ricorso, in particolare allegando che il lavoratore aveva dichiarato
di aver svolto lo straordinario nei giorni in cui invece pranzava a
casa e vi si tratteneva fino alle 16 e deducendo che
l'autodeterminazione dell'orario e le false dichiarazioni in ordine allo
straordinario effettuato integravano violazione alla diligenza e
disciplina del lavoro di gravità tale da non consentire la prosecuzione
del rapporto.
Il Tribunale accoglieva il ricorso. Riteneva che il comportamento
attuato e contestato al ricorrente rientrasse nell'ipotesi disciplinare
dell'ingiustificato abbandono del posto di lavoro, nonchè, per analogia,
nell'ipotesi sanzionatoria circa l'abuso di norme relative alla
trasferta; riteneva altresì che la dichiarazione mendace
sull'effettuazione di straordinario non fosse finalizzata al
conseguimento di un compenso non dovuto, ma a "coprire" l'irregolarità
temporale nell'effettuazione della prestazione lavorativa. Osservava poi
che le ipotesi disciplinari di cui sopra non comportavano, in base alle
previsioni del contratto collettivo applicato, la sanzione espulsiva.
A seguito di appello principale della società datrice di lavoro e di
appello incidentale del lavoratore, la Corte d'appello di Venezia
provvedeva ritenendo configurabile un'ipotesi di licenziamento per
giustificato motivo soggettivo e quindi, riconosciuto il diritto del
lavoratore al preavviso, condannava il medesimo a restituire alla ex
datrice di lavoro la differenza tra quanto percepito in forza della
sentenza di primo grado e quanto spettante a titolo di indennità
sostitutiva del preavviso secondo il c.c.n.l. del settore gas-acqua.
La Corte d'appello, circa la riproposta eccezione di genericità della
contestazione, rilevava che la datrice di lavoro, a fronte della
richiesta, in data 30.10.2004, sottoscritta dal lavoratore, oltre che
dal suo difensore, di specificazione degli addebiti formulati, aveva
inviato la lettera racc. A.R. in data 8.11.2004, indirizzata all'avv.
Comelio, cioè al suddetto difensore, con la quale si precisavano i
singoli giorni nei quali il dipendente si era recato a casa propria e
ivi si era trattenuto fino alle 16, in luogo di prestare attività
lavorativa. Nè era condivisibile l'assunto secondo cui tale ultima
missiva, in quanto non inviata al lavoratore ma al suo difensore, fosse
inidonea ad integrare la precedente, dato che la lettera in data
30.10.2004 era stata sottoscritta anche dal G., cosicchè la conseguente
risposta era evidentemente diretta anche all'appellato. Peraltro l'invio
della contestazione integrativa al difensore era funzionale al
perseguimento della finalità di garantire un'idonea difesa
dell'incolpato, tenuto anche presente che non era stato messo in dubbio
che il G. fosse stato informato dal suo difensore del contenuto della
comunicazione in data 8.11.2004. Peraltro, la circostanza che la citata
lettera di data 30.10.2004 fosse stata sottoscritta congiuntamente dal
difensore e dal lavoratore induceva fondatamente a ritenere la
sussistenza di specifico rapporto di rappresentanza e dunque l'invio
della specificazione degli addebiti al difensore costituiva garanzia di
maggior tutela.
Quanto alla dedotta mancata affissione del codice disciplinare, il
giudice di appello attribuiva rilievo al fatto che la società appellante
aveva documentato che il G. aveva sottoscritto una dichiarazione di
constatazione dell'affissione del codice disciplinare e aveva altresì
documentato che con comunicazione di data 12.8.2002 erano stati resi
edotti tutti i dipendenti dell'affissione del codice disciplinare nelle
bacheche delle varie sedi dell'azienda.
Peraltro la Corte di merito riteneva anche che il tipo di
contestazione e il mancato riferimento in essa una specifica fattispecie
disciplinare, faceva ritenere che le mancanze siano state configurate
come gravi inadempimento ex art. 2104 c.c., integranti giusta causa di
recesso o finanche fattispecie criminose di rilevanza penale
(dichiarazioni mendaci dirette a conseguire un ingiusti profitto).
Quanto al merito, la Corte, richiamati i termini precisi della
contestazione e della contestazione integrativa, rilevava che non era
più messa in dubbio la ricostruzione in fatto pienamente provata dalla
controparte, sostenendosi invece che non sussisteva l'intento
fraudolento, dal momento che il lavoratore era stato sollecitato a
consegnare il foglio di servizio, contenente l'attestazione circa il
lavoro straordinario prestato in settembre, nel mese di ottobre, quando
la datrice di lavoro già conosceva i fatti contestati. Egli, peraltro,
aveva effettivamente prestato servizio dopo le ore 17.25, sicchè non
aveva reso una dichiarazione mendace ma conforme alle timbrature.
Deduceva anche che nella specie la truffa costituiva reato impossibile
ex art. 48 c.p., non potendosi trarre in errore chi aveva accertato i
fatti.
Al riguardo la Corte osservava che la teste B. non aveva dichiarato
di avere sollecitato l'appellato a consegnare il foglio di servizio nel
mese di ottobre, ma che ricordava di averlo fatto nel mese di maggio e
per una sola volta. Rilevava anche che il foglio di servizio era in data
7.10.2004, mentre la relazione degli investigatori privati era datata
11.10.2004. Ricordava poi la Corte che le condotte in contestazione
concernevano l'attestazione da parte del dipendente di avere prestato un
orario superiore rispetto a quello effettivamente prestato nelle
specificate 11 giornate del mese di settembre e di avere quindi indicato
come prestato uno straordinario inesistente.
Valutate complessivamente, le condotte in contestazione non erano
qualificabili come abbandono del posto di lavoro, condotta che non
comporta concomitanti o successivi inadempimenti finalizzati a
occultarne la commissione al datore di lavoro; inoltre doveva
sottolinearsi che nella specie vi era una dichiarazione falsa resa al
datore di lavoro, preceduta da una timbratura irregolare. Neanche erano
ravvisabili pertinenti analogie con l'ipotesi disciplinare dell'abuso
delle norme relative ai rimborsi delle spese di trasferta.
Ai fini della gravità della condotta doveva tenersi presente che il
lavoro dell'appellato, consistente in ispezioni di cantieri, si svolgeva
prevalentemente fuori sede, sostanzialmente senza possibilità di
controllo da parte del datore di lavoro circa l'orario concretamente
osservato, e che vi era stata reiterazione e pluralità delle condotte.
In conclusione, la modalità dei fatti connotavano di indubbia gravità le
condotte del lavoratore, non solo dirette a sottrarsi all'esecuzione
dei compiti assegnati, ma anche contrarie a buona fede e a correttezza.
Tale valutazione trovava conferma nel fatto che il contratto collettivo
prevedeva, a titolo esemplificativo di comportamenti sanzionabili con
licenziamento con preavviso, la condotta di chi effettua con intenti
fraudolenti irregolare scritturazione o timbratura di schede o
alterazione dei sistemi aziendali di controllo delle presenze e delle
trasferte.
Il G. ricorre per cassazione con tre motivi, la società intimata resiste con controricorso. Memorie di entrambe le parti.
Motivi della decisione
Il primo motivo, denunciando violazione della L. n. 300 del 1970,
art. 7, con riferimento all'art. 1335 c.c., sostiene che nella specie è
mancata la specificazione dei motivi di contestazione disciplinare, in
quanto la lettera contenente la specificazione dei motivi era stata
inviata in luogo diverso dal domicilio del lavoratore e a soggetto
diverso dal medesimo.
Il motivo non è fondato. Deve rilevarsi infatti che, nell'ambito
delle varie considerazioni svolte dalla Corte d'appello a conferma della
regolarità della contestazione disciplinare, con particolare
riferimento alla comunicazione della contestazione integrativa, ha
rilievo decisivo e assorbente il conclusivo rilievo secondo cui, essendo
stata la lettera in data 30.10.2004 sottoscritta congiuntamente dal
difensore e dal lavoratore, doveva ritenersi sussistente uno specifico
rapporto di rappresentanza (del lavoratore da parte del difensore), e
quindi la comunicazione della contestazione integrativa al legale
costituiva garanzia di maggior tutela. Tale accertamento sul rapporto di
rappresentanza e della sua rilevanza anche ai fini della esecuzione
delle comunicazioni relative alla procedura in corso (e in particolare
della fase di contestazione) non ha formato oggetto di censura in questa
sede e quindi non può dubitarsi della idoneità della comunicazione
della contestazione integrativa eseguita al legale del lavoratore.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L.
n. 300 del 1970, art. 7 e dell'art. 2697 c.c. e vizio logico di
motivazione, in merito all'asserita irrilevanza e alla ritenuta
sussistenza della prova dell'affissione del codice disciplinare nella
sede di lavoro.
Si osserva contraddittorietà nella motivazione, là dove ha ritenuto
che la contestazione fosse estranea alle previsioni del codice
disciplinare, in quanto di fatto aveva riportato la questione ai termini
contrattuali, con riferimento ad una condotta tipica prevista dall'art.
32 del c.c.n.l..
Si deduce poi contraddittorietà e violazione dei principi sull'onere
della prova nell'avere ritenuto che la (generica) presa d'atto del
lavoratore dell'avvenuta affissione del codice disciplinare fosse idonea
anche a dimostrare che l'affissione fosse avvenuta presso la sede di
lavoro del ricorrente, oltre che presso la sede aziendale.
Le doglianze appaiono prive di pregio, in quanto si è in presenza di
un compiuto e logico accertamento in linea di fatto da parte del giudice
di merito circa la regolarità dell'affissione del codice disciplinare
anche presso l'unità produttiva cui era addetto l'attuale ricorrente.
Il terzo motivo denuncia violazione del principio di immodificabilità
della contestazione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e vizio di
motivazione, visto che al lavoratore non era stato mai contestato un
comportamento fraudolento di alterazione delle timbrature e di avere
indotto il datore di lavoro in errore, inducendolo al pagamento di una
somma non dovuta.
Al riguardo deve ricordarsi e ribadirsi il principio ripetutamente
enunciato da questa Corte, secondo cui la contestazione dell'addebito
nel procedimento disciplinare, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art.
7, comma 1, è corretta se ha ad oggetto i dati e gli aspetti essenziali
del fatto materiale posto a fondamento del provvedimento sanzionatorio,
così da garantire un'adeguata difesa dell'incolpato, con la conseguenza
che l'immodificabilità della causa di licenziamento riguarda solo gli
elementi di fatto e non già la qualificazione dei medesimi (cfr. Cass.
n. 16190/2002, 10761/1997).
Nella specie appare indubbio che la contestazione abbia chiaramente
riguardato gli elementi materiali e gli aspetti essenziali del fatto
materiale addebitato al lavoratore, essendo stata formulata nei seguenti
termini, riportati in sentenza: "Ci è stata fornita la prova che Lei
anzichè prestare attività lavorativa per la nostra azienda di frequente
si sarebbe recato dopo la pausa pranzo (verso le quattordici) a casa sua
e ivi si sarebbe trattenuto oltre le 16,00 riprendendo da tale ora il
suo giro lavorativo che si sarebbe protratto fino ad oltre le 18,00,
fine dell'orario così da Lei indicato e da Lei fattosi retribuire con
compenso lavoro straordinario" (venendo successivamente precisati con la
contestazione integrativa i giorni in cui tale condotta si era
verificata). Deve anche rilevarsi che dal complesso della sentenza
d'appello risulta chiaro che la "irregolarità" delle timbrature è stata
affermata per il fatto che ne risultava un orario di lavoro dilatato
rispetto a quello effettivamente prestato e non un altro tipo di
alterazione delle timbrature stesse. Anche la circostanza della
richiesta di retribuzione di lavoro straordinario effettivamente non
prestato risulta sostanzialmente contenuta nell'ultimo inciso della
contestazione.
Anche questo motivo non può quindi ritenersi fondato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del
giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza
(art. 91 c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare
alla controricorrente le spese del giudizio in Euro 52,00 oltre Euro
duemila per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. secondo
legge.
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