Corte di Cassazione n. 21485 / 2011
"MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7, commi 2, 3, 4 e 5 della legge 300 del 1970, e degli artt. 1366, 1374 e 1375 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. In particolare deduce di aver correttamente ottemperato al dettato dell'art. 7 della legge 300 del 1970 provvedendo alla convocazione della lavoratrice indicando due date a scelta; che il procedimento disciplinare si sarebbe correttamente concluso a seguito della diserzione della lavoratrice che si è limitata a chiedere lo spostamento dell'incontro a data successiva; che sarebbe legittimo irrogare la sanzione disciplinare senza accogliere l'istanza di rinvio proposta dalla lavoratrice, essendo il procedimento disciplinare validamente concluso con la convocazione della lavoratrice stessa.
Il motivo è infondato.
Va infatti rilevato che
comunque, per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione l'art. 7 legge
20 maggio 1970 n. 300, il quale subordina la legittimità del procedimento di
irrogazione della sanzione disciplinare alla previa contestazione degli
addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in
relazione al comportamento ascrittogli, pur non comportando per il datore di
lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l'audizione orale,
ma solo un obbligo correlato alla manifestazione tempestiva (entro il quinto
giorno) del lavoratore di voler essere sentito di persona (sicchè nel giudizio il
lavoratore ha l'onere di provare la sua tempestiva richiesta, costituente
elemento costitutivo a lui favorevole della fattispecie procedimentale),
presuppone tuttavia che il datore di lavoro gestisca il potere disciplinare
secondo i principi di correttezza e buona fede e, quindi, con modalità tali da
non generare equivoci nel dipendente cui si riferisce la contestazione (per
tutte Cass. 3 agosto 2001 n. 10760). Nel caso in esame la Corte territoriale ha
motivato riguardo all'applicazione della disciplina invocata dalla ricorrente,
pervenendo alla conclusione per cui il datore di lavoro non ha gestito
correttamente il potere disciplinare. Il vizio lamentato, quindi,
configurerebbe un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e non
violazione di legge ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. così come rappresentato,
proprio perchè la Corte d'appello ha considerato pienamente le norme
applicabili giudicando non corretto e in buona fede il comportamento del datore
di lavoro con giudizio logico e congruo non censurabile in questa sede di
legittimità".
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