CASSAZIONE CIVILE I N. 20689 DEL 7/10/2011
volgimento del processo
Il
Ministero dell’Economia e delle Finanze ricorre per cassazione, sulla
base di quattro motivi, avverso il decreto in data 29 maggio 2009, con
il quale la Corte di appello di Roma lo ha condannato al pagamento in
favore di G.C. e altri della somma di Euro 6.500,00 ciascuno, oltre agli
interessi legali a decorrere dalla data del decreto, a titolo di equo
indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata di un
giudizio promosso davanti al Tar Lazio il 30 luglio 1997 e definito con
sentenza del 13 novembre 2006.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
Con
i quattro motivi di ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze si duole che la Corte d’appello
abbia determinato in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo il criterio
di computo dell’equo indennizzo, in misura superiore al parametro
applicato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e senza tener
conto delle specifiche caratteristiche e delle modalità concrete di
svolgimento del giudizio presupposto.
Il
ricorso è fondato. Il parametro per indennizzare la parte del danno non
patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non
inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli
argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.
Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del
diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla
giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo
2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli
importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni
possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione
che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione
giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purché detti
importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non
irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la
Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di
offrire un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a
garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla
complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per
la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando
il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6
della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la
quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non
inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di
ragionevole durata. Tali principi vanno confermati in questa sede, con
la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai
primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi
riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno
di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale
periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;
2010/819).
Il
decreto impugnato deve essere dunque cassato e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito,
ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.
In
particolare, determinata in sei anni e quattro mesi la durata non
ragionevole del giudizio presupposto, alla stregua dell’accertamento
compiuto dalla Corte di merito e non censurato dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze, nel caso di specie si deve, riconoscere a
ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo di Euro 5.600,00, oltre agli
interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere
condannato il menzionato Ministero.
Le
spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione
seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base
alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con
riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;
2008/25352) e tenuto conto della pluralità di ricorrenti, che però nel
giudizio presupposto avevano agito unitariamente (cfr. Cass.
2010/10634), con distrazione delle prime in favore del procuratore dei
ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel
merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento
in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 5.600,00,
oltre agli interessi legali dalla domanda.
Condanna
il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle
spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 3.080,00, di cui
Euro 1.940,00 per competenze ed Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese
generali e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore
dei ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario. Condanna i
ricorrenti in solido al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e
delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano
in Euro 1.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Depositata in Cancelleria il 07.10.2011
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