Cassazione Penale, Sez. 5, 17 ottobre 2011, n. 37380
SENTENZA
sul
ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte d'Appello di Caltanissetta avverso la sentenza di quest'ultima
Corte in data 3.2.2011 nei confronti di
**,
nato a Regalbuto il***
visti
gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita
la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito
il Procuratore Generale in persona del Dott. Enrico Delehaye, che ha
concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
uditi
i difensori della parte civile Avv. *** che ha concluso per
l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, e dell'imputato
Avv. *** che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Fatto
Con
la sentenza impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di
Enna in data 21.6.2007, *** veniva assolto per insussistenza del
fatto dall'imputazione del reato di cui all'art. 594 cod. pen.,
contestato come commesso l'11.6.2002 nel corso di una riunione del
consiglio di istituto della scuola professionale di *** della quale
l'imputato era preside, rivolgendo al docente S. la frase «lei dice
solo stronzate». Le conclusione assolutoria era assunta
osservando che l'avverbio «solo» anteposto alla parola volgare non
compariva nel verbale nella riunione e dello stesso racconto della
persona offesa, e che di conseguenza la frase ne risultava
indirizzata non al modo di essere di quest'ultima ma a quanto la
stessa aveva argomentato nella specifica circostanza. Il
ricorrente deduce violazione di legge e contraddittorietà o
illogicità della motivazione osservando che il termine “stronzate”,
pur se privo dell'avverbio peraltro non escluso dallo stesso
imputato, mantiene un significato offensivo soprattutto in quanto
pronunciato in un consesso di educatori, e in quanto rivolto in
presenza dei colleghi si riverbera necessariamente sul pensiero e
quindi sul modo di essere della parte offesa, rivelando l'intenzione
di umiliarla.
Diritto
Il
ricorso è fondato.
Pur
non considerando l'avverbio la cui formulazione veniva ritenuta non
provata dalla Corte territoriale, non è invero possibile valutare la
portata offensiva del termine oggetto dell'imputazione, sotto il
profilo della sua incidenza sulla persona del soggetto passivo
piuttosto che sulla sola validità dell'opinione dallo stesso
manifestata, in una prospettiva avulsa dal contesto nel quale
l'espressione è pronunciata.
Dei
beni che costituiscono l'oggetto giuridico del reato in discussione,
l'onore attiene alle qualità che concorrono a determinare il valore
di un individuo, mentre il decoro concerne il rispetto o il riguardo
di cui ciascun essere umano è comunque degno (Sez. 5, n. 34599 del
4.7.2008, imp, Camozzi, Rv.241346); il giudizio sulla lesione
effettiva di detti beni non può pertanto prescindere dal considerare
se, rispetto all'ambiente nel quale una determinata espressione è
proferita, la stessa si limiti alla pur aspra critica di un'opinione
non condivisa ovvero trasmodi nello squalificare la persona appena
indicati. Nel caso in esame, la collocazione dell'episodio in una
riunione di docenti di un istituto scolastico, lo svolgimento dello
stesso in presenza di colleghi quotidianamente impegnati in
un'attività professionale comune a quella del soggetto passivo e la
provenienza dell'espressione contestata da un immediato superiore di
quest'ultimo sono elementi sicuramente rilevanti nel definire
l'incidenza lesiva della condotta, e la cui portata doveva pertanto
essere esaminata ai fini di un compiuto giudizio sull'esistenza o
meno di un pregiudizio per l'onore e il decoro della parte offesa nel
proprio ambiente lavorativo ed umano. La sentenza impugnata deve
pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte
d'Appello di Caltanissetta per un nuovo esame che tenga conto degli
aspetti motivazionali appena indicati.
P.
Q. M.
Annulla
la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione
della Corte d'Appello di Caltanissetta.
Così
deciso in Roma il 13.7.2011
Depositata
in Cancelleria addì 17 ottobre 2011
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