REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
N. 685 del 13 gennaio 2011
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SERPICO Francesco - Presidente
Dott. MILO Nicola - rel. Consigliere
Dott. LANZA Luigi - Consigliere
Dott. MATERA Lina - Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.C. N. IL ***, persona offesa costituita parte civile;
nel procedimento a carico di:
C.G. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 6637/2008 GIP TRIBUNALE di TORINO, del 01/10/2009;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NICOLA MILO;
sentite le conclusioni del PG Dott. Iacoviello F.M., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
non è comparso l'avv. Locci S. per la parte civile ricorrente;
udito il dif. avv. De Carolis O., in sost. dell'avv. Anfora G., (per l'imputato) che ha concluso per il rigetto del ricorso.
M.C. N. IL ***, persona offesa costituita parte civile;
nel procedimento a carico di:
C.G. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 6637/2008 GIP TRIBUNALE di TORINO, del 01/10/2009;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NICOLA MILO;
sentite le conclusioni del PG Dott. Iacoviello F.M., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
non è comparso l'avv. Locci S. per la parte civile ricorrente;
udito il dif. avv. De Carolis O., in sost. dell'avv. Anfora G., (per l'imputato) che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FattoDiritto
1 - Il Gup del Tribunale di
Torino, con sentenza 1/10/2009, dichiarava non luogo a procedere nei
confronti di (...), in ordine al reato di cui all'art.
572 c.p., perché il fatto
non sussiste.
L'accusa specifica mossa
all'Imputato, nella qualità di caposquadra del settore UTE 23 dello
stabilimento “M.” della "F. spa", è di avere
sottoposto, tra l’estate 2005 e il giugno 2007, l'operaia (...),
che - per ragioni di salute - era esonerata dallo svolgere
determinate mansioni, a trattamenti umilianti, degradanti e
vessatori, imponendole ritmi di lavoro non sostenibili, rivolgendole
frasi offensive e minacciando di trasferirla in altro stabilimento,
ove non avesse eseguito i suoi ordini.
Il Gup riteneva che la
versione dei fatti fornita dalla persona offesa, affetta da disturbo
psicotico di tipo schizofrenico, che la portava inevitabilmente ad
alterare la realtà, elaborandola soggettivamente in senso
persecutorio, non era attendibile e non trovava riscontro nelle
testimonianze rese da altri lavoratori in servizio presso lo stesso
reparto: in particolare, (...) aveva riferito che la (...) era stata
sempre addetta a mansioni compatibili con le sue condizioni di
salute, non si era mai lamentata del comportamento del caposquadra
(...) e che egli stesso non aveva mai sentito quest'ultimo
pronunciare frasi offensive all'indirizzo della prima, né aveva mai
assistito a diverbi tra i medesimi; (...), (...) e (...) non avevano
avallato il racconto della persona offesa e, pur evidenziando il
carattere "rigido", "autoritario" e “non
simpatico" del (...), avevano escluso di avere mal percepito
atteggiamenti vessatori di costui in danno della (...); soltanto
l'operaio (...) aveva in parte confermato i contenuti della denunzia
sporta dalla (...), ma tale testimonianza era scarsamente
attendibile, provenendo da soggetto che nutriva, per una pregressa
conflittualità mal superata, sentimenti di astio verso il (...).
Sottolineava, inoltre, il Gup
che, pur a volere allegare attendibilità alla denunzia della persona
offesa e alla testimonianza del (...), la condotta ascritta
all'imputato non risultava essere stata connotata da abitualità,
requisito tipico del reato di maltrattamenti, e, in ogni caso,
appariva essere stata ispirata dalla sola finalità di esigere dagli
operai, ivi compresa la (...), il massimo impegno e la massima
precisione sul lavoro.
2 - Ha proposto ricorso per
cassazione, tramite il proprio difensore munito di procura speciale,
la persona offesa costituita parte civile e ha lamentato la mancanza,
la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione
della sentenza sotto più profili: a) il Gup non si era limitato ad
esprimere, in linea con la funzione propria dell'udienza preliminare,
una valutazione prognostica negativa sulla potenzialità espansiva,
nel futuro dibattimento, del quadro probatorio, ma si era avventurato
in una valutazione di merito delle acquisizioni investigative,
sconfinando dai suoi poteri, per accreditare, in modo contraddittorio
e parziale, un giudizio di innocenza dell'imputato; b) s'imponeva il
rinvio a giudizio dell'imputato per le stesse ragioni poste a base
dell'ordinanza con la quale il Gip, ex art. 572 c.p.; c) era stata
omessa qualunque doverosa valutazione in ordine ai possibili sviluppi
dibattimentali della prova, con riferimento anche alle testimonianze
di altre persone puntualmente indicate e mai ascoltate; d) la
ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie da lei rese
non era sorretta da argomenti validi ed era prevalentemente basata su
una erronea lettura delle relazioni medico-legali circa il suo stato
psichico; e) si era omesso qualunque vaglio critico delle
testimonianze prese in considerazione, e ritenute favorevoli
all'imputato; f) si era assertivamente tacciato di inattendibilità
il teste (...), il quale aveva riferito circa le aggressioni verbali
subite dalla ricorrente ad opera del (...).
3 - Il ricorso non è fondato
e deve, essere rigettato.
Rileva la Corte che la
valutazione operata dal Gup con la sentenza di non luogo a procedere
è sostanzialmente incentrata sulla constatazione del difetto delle
condizioni su cui fondare un giudizio prognostico di evoluzione, in
senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto. La
ritenuta inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in
giudizio è la risultante di una argomentata e logica valutazione in
fatto di tali elementi, che non si prestano a soluzioni alternative
o, per così dire, "aperte", suscettibili di essere meglio
chiarite e definite nel contraddittorio dibattimentale.
La sentenza in verifica,
sulla base dello standard probatorio richiesto per filtrare, al fini
del sollecitato rinvio a giudizio, l'ipotesi d'accusa formulata a
carico dell'imputato, perviene alla conclusione della insussistenza
dei presupposti per farsi luogo all'esperimento dibattimentale, che
si rivelerebbe del tutto superfluo, non sussistendo la ragionevole
previsione che la denunciata situazione fattuale, già chiaramente
delineata, possa essere ulteriormente integrata da altri elementi
idonei a legittimare una diversa soluzione.
Il principio costituzionale
della ragionevole durata del processo impone - peraltro - anche al
Giudice dell'udienza preliminare di evitare, per cosi dire, "comode
scorciatoie" burocratiche, devolvendo superficialmente alla
cognizione del Giudice dibattimentale la valutazione di una
determinata posizione processuale, che può invece essere definita
alla luce degli elementi già a disposizione del Gup.
Ed invero, prescindendo dalle
riserve avanzate in ordine all'attendibilità della persona offesa e
del teste (...), la sentenza impugnata sottolinea, in particolare,
che la denunciata conflittualità tra il (...) e la (...), pur
determinata - secondo la versione fornita da quest'ultima - da
atteggiamenti sconvenienti del primo, che non di rado si sarebbe
rapportato alla seconda in modo offensivo e mortificante, sarebbe
stata espressione di una caratteriale rigidità ed arroganza del
(...) nell’interpretare il proprio ruolo di caposquadra e non già
di una deliberata volontà di imporre all'operaia sottoposta al suo
controllo e alla sua autorità un regime di vita vessatorio ed
intollerabile.
Non va sottaciuto,
inoltre, che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del
lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d.
mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia
esclusivamente nel caso in cui il rapporto tra il datore di lavoro e
il dipendente o, per rimanere aderenti alla fattispecie in esame, tra
il preposto e il lavoratore soggetto all'autorità del primo assuma
natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense
e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla
soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia
riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre
la posizione di supremazia (cfr. Cass.
Sez. VI 6/2/2009 n. 26594, che fa
esemplificativamente riferimento al rapporto che lega il
collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge
la propria opera o al rapporto che può intercorrere tra il maestro
d'arte e l'apprendista).
Nulla di ciò è dato
riscontrare nella condotta contestata all'imputato, la quale, per
come descritta dalla stessa denunciante, è - in astratto -
riconducibile nel c.d mobbing, la cui nozione evoca appunto una
condotta che si protrae nel tempo con le caratteristiche della
persecuzione finalizzata all'emarginazione del lavoratore.
Nel nostro codice penale,
però, nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che
vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa
corrispondente, non v'è traccia di una specifica figura
incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita
mobbing.
Sulla base del diritto
positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non
appare praticabile.
E’ certamente
percorribile, invece, la strada del procedimento civile, costituendo
il mobbing titolo per il risarcimento del danno eventualmente patito
dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori
del datore di lavoro o del preposto. La responsabilità datoriale ha
natura contrattuale ex art. 41; il legittimo esercizio del potere
imprenditoriale, infatti, deve trovare un limite invalicabile
nell'inviolabilità di tali diritti e nella imprescindibile esigenza
di impedire comunque l'insorgenza o l'aggravamento di situazioni
patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando
allo stesso serenità e rispetto nella dinamica del rapporto
lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale
esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di
quello disciplinare.
Il mobbing è solo
vagamente assimilabile alla previsione di cui all'art. 572 c.p., ma
di questa non condivide tout court, quasi per automatismo, tutti gli
elementi tipici.
4 - Al rigetto del
ricorso consegue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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