Cassazione
Penale sez. VI, 31 agosto 2010 n. 32525.
FATTO
1.
Con ordinanza emessa ex art. 309 c.p.p. il 18 marzo 2010, il
Tribunale di Caltanissetta ha confermato la misura cautelare
carceraria disposta il 9 febbraio 2010 dal giudice per le indagini
preliminari nei confronti di T.G. per i delitti di cui ai capi:
A)
artt. 110 e 416-bis c.p., per partecipazione all'associazione mafiosa
denominata "cosa nostra" insediata nel territorio di
(OMISSIS), facendo parte della "decina" di tale "famiglia"
operante nella provincia di Milano, tramite la gestione di attività
imprenditoriali nel settore edile, anche in funzione degli interessi
del gruppo operante in Sicilia, in favore del quale venivano
destinati parte dei proventi dell'attività delittuosa svolta, e
ricevendo dai componenti della stessa il supporto e la protezione
nello svolgimento delle predette attività;
E)
art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2, in relazione all'art. 628
c.p., comma 3, n. 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 in qualità di
socio di fatto della ISI Service s.r.l., in concorso con M. G., T.A.,
F.C. e in danno di operai dipendenti A.G., Ma.Sa. e Tr.An.;
F)
artt. 110 e 644 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per erogazione di
prestito usurario di 35.000 Euro a Av.Gi., con interesse del 10% al
mese;
G)
artt. 110 e 644 c.p. e D.L. n. 152 del 1991 per erogazione di
prestito usurario di 244.000 Euro a B.N., con interesse del 10% al
mese;
H)
artt. 110 e 644 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per erogazione di
prestito usurario di 9.700 Euro a C.C., con interesse del 10% al
mese;
I)
artt. 110 e 644 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per erogazione di
prestito usurario d'importo non precisato a R.V., con interessi del
10% al mese, tramite pagamento di assegni postdatati emessi dal R.
per Euro 10.000 mese, oltre al ricavato della vendita di beni della
soc. ENMI di proprietà del R.;
L)
art. 110 c.p., D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies e D.L. n. 152
del 1991, art. 7 per avere fittiziamente attribuito a Ri.
C.
e t.c. la qualità di soci ISI Service srl, società nella
disponibilità del T. e del M., al fine di agevolare la commissione
del delitto di riciclaggio (art. 648- bis c.p.) e, in particolare,
per impiegare in tale società denaro proveniente dai delitti di cui
ai capi precedenti;
N)
art. 110 c.p., D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies e D.L. n. 152
del 1991, art. 7 per avere fittiziamente attribuito a Ri.
C.
la proprietà di un appartamento con annessa autorimessa, facendolo
figurare quale acquirente nell'atto di compravendita e quale
sottoscrittore del contratto di mutuo, al fine di agevolare la
commissione del delitto del delitto di riciclaggio (art. 648-bis
c.p.) e, in particolare, per impiegare in tale società denaro
proveniente dai delitti di cui ai capi precedenti.
1.1.
Il Tribunale ha, invece, annullato l'ordinanza cautelare in relazione
al capo B (art. 110 cod. pen., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 e D.L.
n. 152 del 1991, art. 7: dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni insistenti) e al capo M
(art. 110 cod. pen., D.L. n. 306 del 1991, art. 12-quinquies e D.L.
n. 152 del 1991, art. 7: fittizia intestazione a Ri.Cl. e T.G. della
soc. IGEA srl, al fine di agevolare il delitto di riciclaggio e
reimpiego di denaro proveniente da attività delittuose).
2.
L'ordinanza cautelare è stata emessa nell'ambito di una vasta
indagine, originata dal controllo di una movimentazione di risorse
finanziarie (un milione di Euro) da parte dei coniugi P. R. e B.L.,
che si sospettava finalizzata alla pulitura di capitali di dubbia
provenienza.
L'indagine
faceva emergere l'esistenza di un sistema imprenditoriale, per mezzo
del quale la famiglia mafiosa di P., attraverso soggetti di fiducia
ad essa legati, con propaggini anche in Lombardia, era riuscita a
penetrare nel circuito economico legale, veicolando tali capitali.
Tra
i soggetti coinvolti, gli inquirenti individuavano M. G., F.R.M. e
T.G. (socio anche dell'I. V. s.r.l. amministrata da P.R.), i quali
avevano costituito diverse società, con il medesimo oggetto sociale
(lavori generali costruzioni edifici), aventi sede in provincia di
Milano, di cui figuravano alternativamente rappresentanti legali.
Tre
di esse (GTM Costruzioni, M. costruzioni, Nettuno c. e restauri)
avevano la stessa sede in (OMISSIS), risultando in attività la
prima, mentre le altre due erano state poste in liquidazione a
distanza di due/tre anni dalla loro costituzione.
Nella
stessa zona operava, con interessi nella G. C. s.r.l (amministrata da
T.A., fratello dell'indagato ricorrente), F.C., ritenuto l'anello di
stretto collegamento con M.G., capo della famiglia mafiosa di P..
Le
risultanze acquisite facevano ipotizzare come altamente probabile che
tutti gli indagati, tra cui T.G., fossero saldamente legati a
esponenti di vertice della cosca mafiosa di P. (specialmente al F.,
referente della famiglia per la decina da tempo operante nel
milanese) per conto dei quali, attraverso la costituzione di una rete
di società tra loro strettamente legate, immettevano nel circuito
legale, i proventi delle attività illecite.
In
particolare agli indagati è contestato di avere concorso alla
creazione di società o ditte individuali, succedutesi rapidamente
l'una all'altra, utilizzate come "paravento" per le
attività di usura e d'intermediazione di mano d'opera, intestate a
"teste di legno", realizzando illeciti profitti e
inserendosi anche nel mercato con offerta di emissione di fatture per
operazioni inesistenti ad imprese operanti nel settore edilizio, il
tutto finalizzato al riciclaggio dei proventi della famiglia mafiosa
di "cosa nostra" costituita e insediata da tempo in P..
3.
Con riferimento ai capi B) ed M) dell'imputazione provvisoria, in
ordine ai quali l'ordinanza applicativa della misura cautelare è
stata annullata dal Tribunale del riesame, ricorre il Procuratore
della Repubblica di Caltanissetta, deducendo, ex art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), vizio di motivazione e travisamento della prova.
4.
Avverso la stessa ordinanza, per la parte in cui ha confermato
l'originario provvedimento del giudice per le indagini preliminari,
ricorre anche l'indagato, a mezzo del suo difensore, e deduce:
a)
violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento
all'art. 546 c.p.p., lett. e) e in relazione all'art. 629 c.p.;
b)
violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento
all'art. 546 lett. e) e in relazione all'art. 644 c.p.;
c)
violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento
all'art. 546 c.p.p., lett. e) e in relazione al D.L. n. 306 del 1992,
art. 12-quinquies;
d)
violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento
all'art. 546 c.p.p., lett. e) e in relazione al D.L. n. 152 del 1991,
art. 7;
e)
violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento
all'art. 546 c.p.p., lett. e) e in relazione all'art. 416 c.p.
DIRITTO
5.
In accoglimento della richiesta formulata dal Procuratore generale,
il ricorso del Pubblico Ministero merita accoglimento per quanto
concerne il capo B) dell'imputazione provvisoria.
5.1.
Per l'integrazione del reato in quel capo contestato (previsto dal
D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) devono concorrere due elementi
oggettivi, l'avvalersi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti e l'indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi
presentata di elementi passivi fittizi. Per l'integrazione del reato
è, infatti, necessario, da una parte, che le fatture ideologicamente
false che dovrebbero supportare detta indicazione siano conservate
nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell'azienda,
perchè in ciò consiste l'atteggiamento di "avvalersi"
delle fatture come richiesto dalla norma; dall'altra, che la
dichiarazione fiscale contenga effettivamente l'indicazione di
elementi passivi fittizi (Cass. n. 14718/2008, De Franco).
Il
delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure
teleologicamente diretta al risultato dell'evasione d'imposta, ha
natura istantanea e si consuma con la presentazione della
dichiarazione annuale (Cass. sez. U, n. 27/2000, Di Mauro; n.
25483/2009, Daniotti; n. 626/2009, Zipponi).
Il
Tribunale ha ritenuto non dimostrato che la ISI Service s.r.l., e per
essa il T., socio di fatto della società, abbia presentato la
dichiarazione dei redditi e, perciò, ha escluso la sussistenza del
reato. Ha tuttavia omesso di confrontarsi con la contraria
affermazione di cui alla pag. 138 dell'ordinanza applicativa di
custodia cautelare e con la nota n. 021821/10 del 14.1.2010 del
G.I.G.O. della Guardia di Finanza di Caltanissetta acquisita agli
atti, e, pertanto, di fornire adeguata motivare sul punto.
L'omissione
integra un'assoluta mancanza di motivazione, con conseguente
annullamento dell'ordinanza e rinvio al tribunale di Caltanissetta
per nuovo esame sul punto.
5.2.
In ordine al capo M (art. 110 cod. pen., D.L. n. 306 del 1991, art.
12-quinquies e D.L. n. 152 del 1991, art. 7), il motivo dedotto dal
Pubblico Ministero ricorrente, sotto la formale rubrica del
"travisamento della prova (mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione risultante dal contenuto dei
documenti acquisiti agli atti, art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e))"
è inammissibile, risolvendosi in una censura alla valutazione
operata dal Tribunale del riesame e, sostanzialmente, nella richiesta
di rivalutazione da parte di questa Corte di legittimità, a cui
vengono sottoposte i contenuti di due conversazioni intercettate
(integralmente trascritte in ricorso).
6.
Il ricorso del T. non merita accoglimento.
6.1.
Destituito di fondamento è il motivo con cui l'indagato censura
l'ordinanza impugnata per avere confermato il provvedimento cautelare
in ordine alla contestazione di concorso in estorsione aggravata ai
danni di tre lavoratori dipendenti (capo E).
Si
deduce in ricorso che nessun passaggio argomentativo della
motivazione lascia trasparire le contestate minacce o le condizioni
prospettate ai lavoratori, mentre le sole circostanze concernenti la
sottoscrizione in bianco delle lettere di dimissioni richieste ai
dipendenti o le obiezioni e le resistenze ai congedi per malattie o
per infortuni sul lavoro "trovano una loro ragionevole
spiegazione fuori dalla ben determinata area delle presunte
estorsioni", appartenendo "alla normale dinamica di
rapporti di lavoro e alle tante variabili circa la gestione
dell'impresa".
Delle
cinquantuno pagine di cui si compone l'ordinanza impugnata, ben nove
sono dedicate all'argomentata valutazione della contestazione delle
condotte estorsive commesse ai danni di alcuni lavoratori alle
dipendenze della società ISI Service s.r.l., consistita nel
prospettare loro la mancata assunzione, il licenziamento o la mancata
corresponsione della retribuzione, nel caso in cui non avessero
accettato le condizioni di lavoro loro imposte, ed in particolare
costringendoli ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge
e alla contrattazione collettiva, quali: lavoro in nero, trattamenti
economici inferiori rispetto a quello pattuito, sottoscrizione di
lettere di dimissioni in bianco, rinuncia a godere di congedi per
malattia o per infortunio sul lavoro, procurandosi in tal modo
l'ingiusto profitto rappresentato dalla mancata erogazione delle
somme legalmente dovute, anche per oneri contributivi e previdenziali
e prestazioni di lavoro straordinario, con pari danno per i suddetti
lavoratori.
Emerge
dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che in nessun
caso può essere legittimata e ricondotta "alla normale dinamica
di rapporti di lavoro" un'attività minatoria, in danno di
lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o
della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro
consenso a subire condizioni di lavoro deteriori rispetto quelle
previste dall'ordinamento giuridico, in attuazione delle garanzie che
la Costituzione della Repubblica pone a tutela della libertà, della
dignità e dei diritti di chi lavora.
Se
anche la realtà dei rapporti economici e sociali evidenzia
asimmetrie di potere e disparità contrattuali ai danni dei
lavoratori dipendenti in contrasto con i principi di libertà,
uguaglianza e dignità riconosciuti dall'ordinamento giuridico, è
stato ripetutamente e condivisibilmente affermato da questa Corte che
integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro
che, in presenza di una legittima aspettativa di assunzione,
costringa l'aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro
contrarie alla legge e ai contratti collettivi (Cass. Sez. 2, n.
16656/2010); quella del datore di lavoro che, approfittando della
situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza
dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia
larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di
trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni
effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle
leggi ed ai contratti collettivi (v. Cass. n. 36642/2007); quella
dell'imprenditore che prospetti ai dipendenti, in un contesto di
grave crisi occupazionale, la perdita del posto di lavoro per il caso
in cui non accettino un trattamento economico inferiore a quello
risultante dalle buste paga (Cass. n. 656/2010).
Giova
anche ricordare che la minaccia, quale elemento costitutivo del
delitto di estorsione, non richiede necessariamente che la
coartazione avvenga mediante la minaccia di un male irreparabile alle
persone o alle cose, tale da non lasciare al soggetto passivo una
libertà di scelta, essendo sufficiente la prospettazione di un male
che in relazione alle circostanze che l'accompagnano sia tale da far
sorgere nella vittima il timore di un concreto pregiudizio (v. Cass.
n. 15971/1990).
Nel
caso in esame, il quadro che emerge dal provvedimento impugnato è
notevolmente più grave di quello preso in esame degli indicati
precedenti giurisprudenziali.
Non
solo il Tribunale ha dato conto dell'attività di "caporalato",
esercitata anche dall'indagato e dai coindagati, lucrando la
differenza tra il compenso pattuito per ciascun lavoratore con le
ditte committenti di mano d'opera e quanto poi effettivamente versato
ai lavoratori dalle società riconducibili al T., ma ha evidenziato,
sulla base di conversazioni intercettate, le pressioni sui lavoratori
(in parte provenienti da Pietraperzia) per interrompere legittimi
congedi per malattie o per infortuni sul lavoro, facendo
sottoscrivere lettere di dimissioni per eludere il preavviso di legge
per il licenziamento, nell'interesse degli imprenditori, volta a
realizzare chiusure di attività o messa in liquidazione di imprese.
L'accertata
prassi di far sottoscrivere lettere in bianco, poi utilizzate anche
all'insaputa dei sottoscrittori, è stata correttamente assunta dal
Tribunale a dimostrazione della situazione di permanente minaccia
sulla libertà di autodeterminazione dei lavoratori al fine di
assecondare richieste e decisioni dell'impresa.
Per
risolvere questioni insorte con taluni dipendenti, tuttavia, tali
prassi - secondo la ricostruzione motivatamente operata dai giudici
del merito - non venivano utilizzate sino alle estreme conseguenze al
fine di evitare "incidenti diplomatici". Per convincere il
dipendente A.G. (genero di R.P., soggetto ritenuto di notevole
spessore criminale e originario di Pietraperzia) a interrompere il
suo stato di malattia al fine procedere all'immediata liquidazione
dell'impresa, il T. richiese l'intervento di F.C., formalmente
estraneo alla società ISI Service, sia per rendere più forte la
pressione sia per evitare reazioni del R..
L'intervento
del F., secondo la plausibile e, perciò, insindacabile motivazione
del Tribunale, trova razionale giustificazione nel ruolo da lui
rivestito in seno alla famiglia mafiosa di Pietraperzia, costituendo
la diretta manifestazione della protezione assicurata agli
imprenditori della consorteria mafiosa operanti nel milanese.
6.2.
Inammissibile è il secondo motivo dedotto con riferimento alle
contestazioni di concorso in usura (capo F, G, I, H) con cui, al di
là della rubrica, si deduce vizio di motivazione, lamentando che il
Tribunale non abbia approfondito il "rapporto sottostante"
tra l'indagato e le vittime dell'usura ( Av., B., C. e R.).
A
fronte dall'articolata e motivata esposizione dei fatti e della
relativa valutazione espresse nell'ordinanza impugnata (pp. 18-39),
il motivo di ricorso non si da il minimo carico delle argomentazioni
del Tribunale e, pertanto, va considerato privo della specificità
richiesta dall'art. 581 c.p.p., lett. e) e art. 591 c.p.p., lett. e).
6.3.
Eguale conclusione va adottata per la denunciata violazione dell'art.
606 c.p.p., lett. b) ed e) e dell'art. 546 c.p.p., lett. e), in
relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, con riferimento
alle plurime fittizie intestazioni di beni operate dal T.. In
proposito va aggiunto che lo scrupolo e l'attenzione del Tribunale
sono palesate dalla differenza di valutazione tra le contestazioni di
cui alle lett. L ed N, per i quali è stata confermata l'ordinanza
cautelare, e quella di cui alla lett. M, per la quale il Tribunale è
pervenuto all'annullamento della misura, non avendo rinvenuto
elementi per poter desumere che anche tale attribuzione fosse
fittizia e finalizzata all'agevolazione del riciclaggio di proventi
delittuosi.
6.4.
Infondata è anche la censura sull'applicabilità alla concreta
fattispecie della L. n. 203 del 1991, art. 7.
I
giudici di merito hanno motivatamente valutato che i metodi
utilizzati dal T. e le finalità di agevolazione mafiosa perseguite,
sorreggono l'aggravante contestata, facendo corretta applicazione
della giurisprudenza di legittimità. L'intervento decisivo - su
sollecitazione del T. - del F., ritenuto il referente locale della
"decina" lombarda facente capo alla mafiosa pietrina,
costituisce di per sè una grave intimidazione che integra
l'aggravante contestata in relazione all'estorsione dei lavoratori
(cfr. Cass. n. 5783/2010, Marino). Per gli altri reati contestati, lo
stretto collegamento tra proventi delle attività delittuose,
parziale destinazione di essi alla cosca madre di Pietraperzia in
cambio della protezione mafiosa sono stati legittimante ritenuti,
allo stato, elementi idonei alla ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante.
6.5.
Inammissibile è, infine, il motivo con cui si deduce, ex art. 606
c.p.p., lett. b) ed e), l'inosservanza dell'art. 416 c.p.,
risolvendosi la censura in una lettura degli elementi indiziari
diversa e alternativa rispetto a quella operata dal Tribunale ed
espressa, nell'ordinanza impugnata, con motivazione giuridicamente
corretta e indenne da vizi logici, sindacabili ex art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e).
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso del T., che condanna al pagamento delle
spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui
all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
In
accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, annulla l'ordinanza
impugnata limitatamente al capo B) della contestazione e rinvia per
nuovo esame su tale capo al Tribunale di Caltanissetta.
Rigetta
nel resto il ricorso del PM. Così deciso in Roma, il 1 luglio 2010.
Depositato
in Cancelleria il 31 agosto 2010.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.